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PRINCIPI FONDAMENTALI

L'Onu è sempre stata la fabbrica di nuovi diritti

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L'Onu vorrebbe dichiarare l'aborto un diritto umano, porlo in continuità con la Dichiarazione universale dei diritti umani. Come si può arrivare a una simile contraddizione? È un diritto umano la negazione del diritto alla vita? Sin da subito l'Onu ha rifiutato di basare i diritti sulla legge naturale.

Cultura 24_06_2023
La Dichiarazione letta da Eleanor Roosevelt

L’Onu vuole dichiarare l’aborto un diritto umano, ossia porlo in essenziale continuità con la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948. Ci si chiede se l’orrendo proposito sia una assurda forzatura oppure se possa trovare in quella Dichiarazione qualche appiglio. Potrebbe essere, infatti, che già nella fase di produzione di quella Dichiarazione ci fossero alcuni presupposti che possano servire non a giustificare ma a spiegare questo triste esito, a distanza di tanti anni.

È opportuno ricordare che fu allora istituita una Commissione presso l’Unesco per discutere i criteri e i contenuti della Dichiarazione dei diritti umani di successiva redazione. A questa Commissione parteciparono intellettuali e studiosi nei vari campi del sapere e di varia origine culturale e religiosa. Come noto, vi partecipò anche Jacques Maritain che proprio nel 1948 pubblicava il suo libro, edito dall’Unesco, Les droits de l’homme. Il fatto forse più importante del lavoro della Commissione fu il riconoscimento della impossibilità di conoscere un fondamento ultimo dei diritti umani. Per la tradizione filosofica e teologica classica e cattolica il fondamento prossimo dei diritti umani è il diritto naturale e quello ultimo è Dio. Invece per la tradizione politica derivante da Hobbes, Locke e Rousseau, era la convenzione pattizia tra gli uomini con la quale essi diventavano cittadini. Per le altre correnti di pensiero e religiose presenti nella Commissione i fondamenti erano altri ancora. L’Onu rinunciò ad affrontare il problema dal punto di vista conoscitivo e scelse la via pratica: si sarebbe dovuto mettere da parte l’aspetto teoretico o di principio e percorrere la via di un “pensiero pratico comune” cercando di elencare i diritti utili per la vita sociale.

Il punto non è da sottovalutare, perché esso rifletteva una visione della realtà e dell’uomo. Il buon senso dice che prima si pensa e poi si agisce in base a quanto si pensa. Il pensiero viene prima dell’azione. Sui diritti umani, invece, l’Onu rovescia i termini e l’aspetto pratico viene prima di quello del pensiero. L’uomo, quindi, pensa in base a quello che fa e non più viceversa: il giudizio dell’intelletto pratico precede il giudizio dell’intelletto teoretico. Va anche notato che mediante questa decisione di rinunciare ad un accordo di principio sui fondamenti, le esigenze pratiche non solo avevano la meglio su quelle della ragione ma anche su quelle della Rivelazione. Parlo qui naturalmente per i cristiani e i cattolici in particolare, come appunto Maritain. Privo della necessità di avere un fondamento ultimo di verità sia razionale che rivelata, l’aspetto pratico veniva lasciato alla libera e immotivata volontà, aprendo la possibilità, già allora, di “nuovi diritti”, come infatti sta ora avvenendo.

Tutto questo va posto in relazione con il fatto che dopo la Seconda Guerra Mondiale i “diritti umani” divennero la grande ideologia con cui il nuovo ordine voleva plasmare le costituzioni degli Stati. Sappiamo che Arabia Saudita o Sud Africa non aderirono al progetto, ma molti altri Stati invece lo fecero proprio. I diritti che l’Onu andava a definire erano certamente figli della Dichiarazione del 1789, agli inizi della Rivoluzione Francese (che tuttora è parte integrante della costituzione francese), ma più che di Rousseau subirono l’influenza di Locke e assunsero una pretesa di universalità. Essi vennero intesi come una nuova visione dell’uomo definitivamente acquisita e da sovrapporre, come un cappello introduttivo e fondativo, alle varie dichiarazioni che fossero in seguito prodotte. Infatti, se ne produssero poi tante, da quella sui diritti dell’infanzia del 1959 alla Carta sui diritti fondamentali dell’Ue del 2000 e così via. L’Onu divenne la “fabbrica dei diritti”, come scrive Bernard Dumont nell’ultimo numero della rivista francese Catholica. Tutte derivanti dalla prima, quella del 1948, che però aveva rinunciato a fondare ultimamente i diritti umani, il che spiega come oggi la stessa Onu diventi la “fabbrica dei nuovi diritti”. Si sa che senza il fondamento ultimo, anche i fondamenti prossimi cadono, e quindi anche il fondamento pratico suggerito da Maritain.

Tornando a Maritain, egli, in L’uomo e lo Stato (1951) scrive che nella discussione interna alla Commissione dell’Unesco si era arrivati ad un accordo, ma “a condizione che non ci si chiedesse perché”. E continua “Sino a quando non vi sarà unità di fede e unità di filosofia nello spirito degli uomini, le interpretazioni e le giustificazioni saranno tra loro in conflitto. Nell’ambito, invece, dell’affermazione pratica, un accordo su una dichiarazione comune è possibile grazie ad un approccio più pragmatico che teorico e mediante uno sforzo collettivo di confronto, rielaborazione e perfezionamento dei progetti di redazione”. Maritain mantenne sempre questa sua posizione, anche nel Contadino della Garonna, dove però vi accosta almeno l’avvertimento di “non gettare ai cani la verità”. La sua era un'illusione ottica, perché l’accordo pratico privo di un consenso sui principi avrà sempre il carattere del nominalismo e i diritti nominalmente elencati verranno poi applicati in modo alquanto diverso. Ma quella che per lui era un'illusione, per l’Onu era un'ideologia. Senza un fondamento, i diritti possono essere “fabbricati” dalla stessa Onu.


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