Lo statalista Galantino ignora la Dottrina sociale
A proposito di immigrati, il segretario della Cei ha detto che non li accoglie a casa sua perché ci deve pensare lo Stato con i soldi delle tasse. Una concezione molto lontana dalla Dottrina sociale della Chiesa, ma non stupisce visto come funziona la formazione dei preti.
In fondo non sorprende la conoscenza non sempre precisa, anzi qualche volta molto lacunosa, che i vertici ecclesiastici dimostrano della Dottrina sociale della Chiesa. Non sorprende perché nei seminari, ove anch’essi hanno studiato, la Dottrina sociale della Chiesa o la si contesta o la si insegna male. L’arcivescovo Sorondo ha affermato essere la Cina comunista il luogo ove oggi si realizza meglio la Dottrina sociale della Chiesa, il cardinale Marx che la Dottrina sociale della Chiesa è debitrice della propria nascita al marxismo, ed ora il segretario della CEI, il vescovo Nunzio Galantino, ha esposto una strana teoria dello Stato.
Parlando alla presentazione dell’ultimo numero di “Limes” mercoledì 21 giugno, egli ha dichiarato di non voler accogliere gli immigrati in casa sua perché ci deve pensare lo Stato: il cittadino paga le tasse perché sia lo Stato a risolvere i problemi. Forse voleva dire che queste cose richiedono professionalità politica e non improvvisazione, ma in ogni caso la concezione che ne esce del ruolo dello Stato è scarsamente in linea con quella insegnata dalla Dottrina sociale della Chiesa.
Davanti a questa affermazione vien subito da chiedersi cosa c’entrino allora le Caritas diocesane nell’azione di accoglienza degli immigrati. Esse non sono lo Stato. A meno che le Caritas non svolgano il loro lavoro a nome e in funzione dello Stato, sicché se non ci fossero le Prefetture e i Comuni esse non avrebbero motivo di impegnarsi per gli immigrati. Ma così non è.
Ci si chiede poi come mai, se così stanno le cose, Papa Francesco abbia chiesto ad ogni parrocchia di accogliere almeno tre immigrati. L’appello è stato ampiamente disatteso, ma di ciò non ci sarebbe da rammaricarsi se al problema ci dovesse pensare lo Stato in via esclusiva. Le parrocchie, infatti, non sono lo Stato.
Per continuare su questo filone, se ci deve pensare lo Stato, cosa ci sta a fare la Fondazione Migrantes? E perché i vertici ecclesiastici continuamente premono sul governo perché si impegni maggiormente su questo fronte? Se ci deve pensare lo Stato, si tratterebbe di invasioni di campo.
Ma c’è dell’altro. Dicendo che i fenomeni immigratori sono compito dello Stato, si ammette che lo Stato può e deve fare una politica delle immigrazioni e non limitarsi ad aprire incondizionatamente i confini, come i vertici ecclesiastici sembrano invece pretendere. Se è suo compito agire in questo campo, lo Stato deve controllare i confini, deve selezionare gli ingressi, deve fronteggiare la criminalità organizzata per il traffico di migranti, deve non farsi prendere in giro dall’Unione europea, deve considerare i limiti reali dell’accoglienza, deve difendere l’identità culturale della nazione, e cose di questo genere. É una contraddizione dire che ci deve pensare lo Stato e poi contestarlo quando ci pensa effettivamente, chiamandolo populismo.
Come è una contraddizione dire che ci deve pensare lo Stato e poi accettare che i giochi veri si facciano a livello trans-statale, dalla pianificazione internazionale delle migrazioni fino ai giochetti dell’Unione europea. Il governo italiano oggi sta facendo qualche passo contro questa logica, facendo valere le ragioni di Stato (il cosiddetto sovranismo) ma i vertici ecclesiastici, secondo i quali deve però pensarci lo Stato, lo criticano.
Tornando alla Dottrina sociale della Chiesa, va ricordato che lo Stato ha una funzione di coordinamento e di regolamentazione e non di erogazione diretta di servizi, se non in funzione sussidiaria. Il controllo dei confini, l’ordine pubblico o la regolamentazione per legge del settore spettano allo Stato, ma l’accoglienza immediata può essere fatta – come di fatto avviene – dalla società civile, e l’integrazione può essere fatta dalle imprese tramite il lavoro, dalla scuola, dalle comunità locali, dall’associazionismo, dalla Chiesa…
La posizione espressa da mons. Galantino è statalistica e non tiene conto dell’organizzazione sussidiaria della comunità politica, come non tiene conto di una solidarietà corta, da attivarsi di fronte ai casi acuti e alle emergenze, e una solidarietà lunga da attivarsi mediante meccanismi più strutturati che coinvolgano il mercato del lavoro, la solidarietà sociale, la condivisione di valori e principi di vita comunitaria. Il buon samaritano, come noto, ha fatto tutte e due le cose.
Un ultimo punto interessante del discorso del Segretario della CEI è quello del pagamento delle tasse. Io cittadino – ha detto – pago le tasse appunto perché ad operare sia poi lo Stato e per questo non sono io a dover intervenire nei confronti degli immigrati ma lo Stato. Questa visione del pagamento delle tasse come deresponsabilizzazione civica e politica è assai strana. Anche in questo caso viene meno il principio di sussidiarietà ed anche quello del bene comune. Il pagamento delle tasse non è una delega in bianco allo Stato, come non è una deresponsabilizzazione etica del cittadino che le paga. Ciò che legittima sia l’imposizione che il pagamento delle tasse è il dovere morale di perseguire il bene comune, finalità che deve orientare anche le politiche immigratorie.