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A. K. DISSANAYAKE

Lo Sri Lanka in crisi vota un presidente comunista

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Il paese, al collasso dopo la crisi del 2022 e alle prese con un difficile recupero, ha votato un nuovo presidente: il comunista Dissanayake. Filo-cinese, leader di un partito con un passato violento di terrorismo e guerriglia.

Esteri 24_09_2024
A. K. Dissanayake, nuovo presidente dello Sri Lanka (La Presse)

Anura Kumara Dissanayake è il nuovo presidente dello Sri Lanka. Il paese, collassato a causa di una crisi economica devastante nel 2022, ha eletto al secondo spoglio il leader del partito comunista Janatha Vimukti Peramuna (Jvd, fronte di liberazione popolare), nato negli anni ’70 e protagonista di ben due insurrezioni armate costate la vita a decine di migliaia di civili e militari.

Quella di Dissanayake non è stata una vittoria plateale. Delusi da tutti, gli srilankesi hanno distribuito i loro voti abbastanza equamente. Non è previsto un secondo turno vero e proprio, ma ogni elettore può esprimere sulla scheda una scelta multipla. Siccome nessuno ha superato la soglia del 50%, si sono contate le seconde scelte e in questo caso ha vinto Dissanayake. Il leader dell’opposizione, Sajith Premadasa, è arrivato secondo con il 32,7% dei voti e terzo il presidente uscente Wickremesinghe, l’uomo subentrato al presidente Rajapaksa e che ha dovuto sanare il disastro che questi aveva lasciato.

La battaglia non violenta contro il governo, nel 2022, si era conclusa con la fuga di Rajapaksa e l’occupazione del suo palazzo, da parte della folla. Avevano fatto il giro del mondo le immagini dei cittadini impoveriti dalla crisi che sguazzavano nella sua piscina privata, o si rilassavano su letti e divani lussuosi nelle numerose stanze della residenza presidenziale. Una vittoria di popolo che è stata ben sfruttata dalla propaganda populista dell’estrema sinistra, dall’attuale presidente, che ha puntato tutto sulla lotta alla corruzione. «Dobbiamo creare una nuova cultura politica pulita – ha dichiarato appena si è insediato - Ho già detto che non sono un mago, sono un cittadino comune. Ci sono cose che so e altre che non so. Il mio obiettivo principale è quello di riunire quanti hanno le conoscenze e le capacità per aiutare a risollevare il Paese».

Complimentandosi con il suo successore, il presidente uscente Wickremesinghe ha comunque rivendicato i suoi successi economici. «Ho completato con successo la responsabilità che la storia ha posto sulle mie spalle. Sono riuscito a salvare la mia madrepatria dalla bancarotta nel breve lasso di tempo di due anni». Nel suo breve interludio di meno di due anni, l’inflazione, da oltre il 70% del 2022 è scesa allo 0,5% e si prevede una leggera crescita nel 2024 dopo due anni di recessione. Durante il suo mandato Wickremesinghe era anche riuscito a negoziare un prestito di 2,9 miliardi di dollari statunitensi dal Fondo Monetario Internazionale, indispensabile per la tenuta dei conti. Tutto ha un prezzo e il presidente ha pagato introducendo stringenti misure di austerity, sotto forma sia di maggiori tasse e che di tagli alla spesa pubblica.

Il nuovo presidente promette invece di rinegoziare i termini dei prestiti dell’Fmi e di ridurre le misure di austerità. Ma difficilmente la sua elezione e le sue promesse facili possono essere lette come una buona notizia. Sicuramente piace a gran parte del movimento di protesta che nel 2022 cacciò Rajapaksa. Però il passato politico di Dissanayake e soprattutto quello del suo partito non fanno presagire una soluzione dei problemi dell’isola. Il Jvd è dichiaratamente marxista-leninista per ideologia, filo-cinese per scelta di schieramento. Una delle prime misure promesse dal nuovo presidente è l’annullamento del contratto con il colosso energetico indiano Adani per la costruzione di un nuovo campo eolico. Ufficialmente lo stop arriva per motivi economici e di trasparenza, ma il Jvd ha una lunga storia di ostilità nei confronti degli indiani, sia per motivi etnici (è un partito comunista, ma anche e soprattutto singalese, dunque nemico dei tamil induisti) sia per la scelta di campo a favore della Cina. Lo Sri Lanka è tuttora indebitato con la Cina, per la costruzione del porto internazionale di Hambantota. Le scelte strategiche di Dissanayake potrebbero portare a incastrare lo Sri Lanka ancor più profondamente nella rete di alleanze e partenariati della Cina, rendendo il paese ancor più dipendente da Pechino.

Il Jvd ha una storia molto sanguinosa alle spalle. Una prima insurrezione comunista, nel 1971, costò la vita a circa 6mila persone, soprattutto civili. Ma il peggio avvenne nel triennio rosso del 1987-89, proprio quando il giovane Dissanayake entrava nel gruppo giovanile del partito. In quel periodo, il Jvd costrinse intere città a chiudere tutte le attività, nei suoi scioperi ad oltranza. Dissenzienti e recalcitranti venivano puniti con la morte e i terroristi del partito impedivano anche di celebrare i loro riti funebri. I killer del partito furono continuamente in azione: non solo vennero condotti assalti a basi militari e vennero piazzate bombe su obiettivi sia militari che governativi, ma vennero assassinati leader ed elementi di spicco dei partiti non comunisti, sindacalisti non comunisti, imprenditori e quadri aziendali, giornalisti e intellettuali. Non esiste una conta precisa dei morti di quel triennio, ma siamo attorno alle 10mila vittime, a cui si aggiunsero anche migliaia di civili uccisi dalle forze dell’ordine e dell’esercito nelle dure azioni di contro insurrezione. La storia del Jvd riguarda direttamente anche Dissanayake che ha assunto la leadership nel 2008. Sei anni dopo, nel 2014, si è detto pentito per gli atti di terrorismo del suo partito, ma non ne ha rinnegato il programma comunista, né il nazionalismo singalese.

La crisi del 2022 è stata causata soprattutto da esperimenti arditi condotti dall’allora classe dirigente di Rajapaksa, come l’adozione di tecniche agricole interamente biologiche, basandosi sulle teorie ecologiste di Vandana Shiva. Il basso rendimento dei terreni, più l’impatto della pandemia di Covid che ha azzerato il turismo, sono stati alla base dell’impennata dei prezzi e della fase finale della crisi. Dissanayake troverà le risorse culturali e tecniche necessarie per risollevare le sorti del paese? Senza mettersi interamente nelle mani della Cina?