Lite sulla spesa militare: solo un gioco di Conte
In Italia anche le cose serie a volte si trasformano in farsa. Ed è un po' quello che sta accadendo in queste ore nella discussione sulle armi. C’è chi sostiene che possa addirittura cadere il governo sul rifinanziamento dell’industria bellica, ma è solo un gioco delle parti. E l'obiettivo di Conte è soprattutto la sua leadership nel M5S.
In Italia anche le cose serie a volte si trasformano in farsa. Ed è un po' quello che sta accadendo in queste ore nella discussione sulle armi. C’è chi sostiene che possa addirittura cadere il governo sul rifinanziamento dell’industria bellica, ma la verità è che anche su un tema così delicato si stanno scatenando polemiche sterili e i vari attori in campo, più che altro per ambizioni personali, cavalcano posizioni estreme.
Lo scontro tra Giuseppe Conte e Mario Draghi è un po un gioco delle parti ed è animato da intenti non dichiarati. Il primo, che ha appena ricevuto una nuova investitura on-line dal popolo grillino (salvo nuovi ricorsi invalidanti), punta i piedi sulle spese militari, dimenticando di essere stato proprio lui, da premier, a firmare accordi sul tema con la Nato. «Nel 2018 – ha sottolineato Draghi nel faccia a faccia di martedì con il suo predecessore - si registravano circa 21 miliardi, mentre nel 2021 se ne registravano 24,6…». Quindi Conte, mentre era a Palazzo Chigi, avrebbe aumentato le spese militari del 17%. Ora si sta parlando di un incremento del 5,6%, secondo fonti della Presidenza del Consiglio, dunque inferiore a quei livelli di crescita. L’inserimento nel Documento di programmazione economica e finanziaria (Def) della quota del 2% di spese militari rispetto al Prodotto interno lordo (Pil) non trova d’accordo molti pentastellati, ma neppure le forze di estrema sinistra e ampi settori della Lega. Ecco perché, pur di non far franare l’impalcatura governativa, è assai possibile che venga posta la fiducia. Nel qual caso, Conte ha già fatto sapere che i grillini voteranno a favore, per non essere accusati di aver impallinato l’esecutivo.
Conte gioca, però, una partita tutta sua per la leadership. Sa che il rivale Luigi Di Maio, da una posizione di forza, quella di ministro degli Esteri, sta provando a sfilargli il Movimento, e dunque vuole distinguersi da lui con posizioni alternative, in grado di solleticare lo spirito identitario delle origini grilline. Le battaglie sulla democrazia diretta e sul green, ma anche e soprattutto quelle pacifiste e contro le lobby delle armi possono fargli riconquistare terreno tra i simpatizzanti del Movimento. E possono consentirgli di contendere ad Enrico Letta la premiership del centrosinistra alle prossime elezioni politiche.
Dunque, l’avvocato del popolo usa bastone e carota, perché non vuole passare per sfasciacarrozze (sarebbe una posizione minoritaria che lo additerebbe all’attenzione internazionale come inaffidabile), ma non vuole neppure appiattirsi sull’atlantismo e l’europeismo di Draghi, perché quel suo eventuale allineamento lascerebbe alla destra e alla sinistra ampi spazi per conquistare voti nel bacino grillino.
Draghi, invece, punterebbe a ingraziarsi ulteriormente la Casa Bianca e il fronte atlantista ed europeista per conquistare la poltrona di Segretario generale della Nato. D’altronde, fra meno di un anno ci saranno le elezioni politiche e quindi lui, a meno di sorprese, non sarà più premier. Non sembra interessato a candidarsi in Italia, mentre sta sempre più guardando oltre i confini nazionali per una sua ricollocazione. C’è chi profetizza che possa, nel 2024, andare a presiedere la Commissione Ue al posto di Ursula Von der Leyen. Tutti ragionamenti di fantapolitica, ma che potrebbero avere un fondamento, visto l’atteggiamento di distacco che il Presidente del Consiglio continua a tenere rispetto ai partiti che lo sostengono. Tranne qualche ministro fedelissimo, gli altri fanno anticamera per essere ricevuti da lui e i suoi rapporti con i leader di partito sono ridotti al minimo sindacale. Unico suo interlocutore abituale è il Presidente della Repubblica, che lo ha ricevuto anche martedì dopo il colloquio tra Conte e Draghi, non andato benissimo, come si è visto.
Nel frattempo, si fa melina. Una soluzione in grado di ricomporre il fronte governativo e di mettere il silenziatore alle polemiche potrebbe essere l’approvazione di un ordine del giorno che impegni il governo a rispettare gli impegni con la Nato sul tetto alle spese militari, con una crescita graduale, nell’arco degli anni. Ci stanno lavorando i cosiddetti “pontieri” e infatti il Def potrebbe arrivare in Consiglio dei ministri il 5 o il 6 aprile, anziché oggi o domani, proprio per essere messo a punto dal Ministero dell’Economia e dalla Ragioneria dello Stato.
Rimane comunque importante intavolare una discussione sul futuro esercito europeo e sugli investimenti in armi, ma va ricordato anche il monito lanciato nei giorni scorsi dal Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, che ha parlato di povertà dilaganti in Europa e della necessità di destinare maggiori risorse alle fasce di popolazione più disagiate e che sono state particolarmente colpite dalla pandemia e ora dalle difficoltà socio-economiche legate alla guerra.
Dunque, sentir parlare quasi solo di riarmo, proprio mentre si moltiplicano gli sforzi diplomatici per arrivare a un “cessate il fuoco” sul fronte russo-ucraino e proprio quando la crisi sembra turbare i sonni di milioni di cittadini europei appare davvero surreale.