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IL PAPA AI VESCOVI USA

Lettera sugli abusi, una strada e tante amnesie

Nella lettera inviata ai vescovi americani riuniti per gli esercizi spirituali, sul tema degli abusi sessuali, papa Francesco chiama anzitutto alla conversione, ma circoscrive «la crisi di credibilità» agli Stati Uniti, dimenticando che è a Roma la chiave per comprendere alcuni scandali.

Editoriali 05_01_2019

Può la lettera del Papa inviata ai vescovi statunitensi rappresentare l’indicazione della via d’uscita dalla crisi degli abusi sessuali, come il neo-direttore dei media vaticani Andrea Tornielli suggerisce? C’è da dubitarne. Nella lunga lettera inviata ai vescovi riuniti per una settimana di esercizi spirituali, papa Francesco richiama giustamente alla conversione («della nostra mente (metanoia), del nostro modo di pregare, di gestire il potere e il denaro, di vivere l’autorità e anche di come ci relazioniamo tra noi e con il mondo») che deve accompagnare qualsiasi misura venga presa. È chiaro infatti che la questione degli abusi sessuali non è principalmente un problema organizzativo, di strategie, organigrammi e best practices, come richiama il Papa. Non tutte le misure, per quanto possano apparire giuste, hanno «sapore di vangelo», dice ancora Francesco.

Benissimo. Ma i cattolici americani, così come quelli cileni, tedeschi e di qualsiasi altra parte del mondo si aspettano anche che questa conversione si traduca in qualcosa di visibile, anche a Roma. Ed è qui il primo punto critico della lettera: Roma si chiama fuori, «la crisi di credibilità» cui fa riferimento il Papa è solo quella della Chiesa americana.

Più che una via d’uscita, qui si tratta di un tentativo di fuga: lo scandalo del cardinale Theodore McCarrick, che per decenni ha abusato di seminaristi e anche alcuni minorenni, riguarda direttamente Roma, il come sia stato possibile nominarlo vescovo prima e cardinale poi malgrado ci fossero voci insistenti e anche denunce chiare arrivate alla Curia Romana e documentate nel memoriale di monsignor Carlo Maria Viganò. Un memoriale che chiama in causa direttamente anche papa Francesco, il quale non ha mai voluto confermare o smentire le circostanze che lo riguardano. Ed è lo stesso papa Francesco che ha negato alla Conferenza episcopale statunitense l’accesso ai documenti romani su McCarrick, rimandando tutto al vertice di febbraio, quando (dal 21 al 24) saranno presenti in Vaticano i presidenti delle Conferenze episcopali di tutto il mondo per discutere della vicenda degli abusi sessuali. Per di più lo stesso papa Francesco ha voluto nel comitato organizzativo del vertice l’arcivescovo di Chicago, il cardinale Blaise Cupich, personaggio che deve la sua carriera ecclesiastica all’amicizia con il cardinale McCarrick: una nomina quantomeno inopportuna, quasi una provocazione.

Il testo della lettera e i precedenti interventi, peraltro, lasciano già intendere il binario su cui il Papa intende indirizzare la discussione al vertice di febbraio: la causa degli abusi sta nel clericalismo e in un distorto esercizio del potere. Nessun accenno dunque al problema che, se si vuole davvero affrontare il problema degli abusi, è ineludibile: l’omosessualità. Come abbiamo già ripetuto altre volte, almeno l’80% degli abusi commessi da preti sono atti omosessuali ed è qui che si deve agire con decisione. È certo che sarebbe molto impopolare per il Papa sollevare questo tema, ma è illusorio cercare una via d’uscita che non contempli il fare i conti con la realtà.

E qui è l’altro punto critico: nella lettera non si fa mai cenno alla necessità che emerga la verità di quanto accaduto, la parola non ricorre neanche una volta. Invece è il discernimento (8 volte nel testo) il concetto chiave, qualsiasi cosa voglia dire. Ma una conversione non può essere credibile senza il riconoscimento e la confessione dei propri peccati. Far emergere la verità non deve significare giustizialismo o voglia di rivalsa, ma è semplicemente riconoscere con dolore quanto accaduto, prendersi carico delle vittime, e fare tesoro degli errori passati per evitarli in futuro. A scandalizzare non è il male, ma il tentativo di occultarlo.