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AMICO DI MADRE TERESA

Leonard Cheshire, il pilota della Raf sarà santo?

Celebrato bombardiere al servizio della britannica Royal Air Force, sorvolò Nagasaki come osservatore della missione americana. L’ecatombe atomica e un colloquio con un guardiano di maiali gli cambiarono la vita. Si convertì al cattolicesimo. E da allora creò decine di centri per disabili nel mondo, divenendo pure amico di santa Teresa di Calcutta. Nel 2017 la diocesi dell’East Anglia ha fatto il primo passo per una causa di canonizzazione.

Cultura 09_08_2020

Sui cieli giapponesi di Nagasaki, il 9 agosto del 1945, fu sganciata la seconda bomba atomica. Tre giorni prima era toccato a Hiroshima, quando a guida dell’aereo che sganciò l’ordigno c’era il pilota americano Paul Tibbets: «Non ho mai perso una notte di sonno per quel lancio. È stato tanto tempo fa, ha perso di significato. Penso di aver fatto la cosa giusta», dichiarò Tibbets.

Tra coloro che sorvolarono Nagasaki come osservatore della missione americana, invece, c’era qualcuno a cui la duplice ecatombe stravolse letteralmente la vita. Si chiamava Leonard Cheshire (1917-1992). La vita di questo aviatore nato nel 1917 a Chester, in Inghilterra, è degna della più emozionante sceneggiatura. Al servizio della britannica Royal Air Force (Raf), è stato uno dei piloti bombardieri più celebrati della Seconda Guerra Mondiale, tanto da meritare la Victoria Cross, massima onorificenza militare inglese.

Quando il capitano Cheshire vide cadere su Nagasaki l’ultima bomba, quel grosso proiettile al plutonio che qualche spirito macabro aveva battezzato “Fat Man”, la sua esistenza prese tutt’altra direzione. Quella della fede cattolica. Ma è come il capitano abbracciò quella fede - molto prima di diventare amico di Madre Teresa e di aprire decine di centri per disabili nel mondo - ad essere davvero un film nel film.

Il guardiano di maiali

La svolta arrivò da un certo Arthur Dykes, un malato terminale di cancro che non poteva essere trattenuto oltre in ospedale ma che non aveva nessuno che lo volesse con sé. Dykes aveva saputo fare soltanto il nome del capitano Leonard Cheshire, nella cui residenza per un certo tempo aveva fatto il guardiano dei maiali. Senza sapere nemmeno cosa fare per assisterlo, Cheshire accettò di portarlo a casa. Dykes morì tre mesi dopo, ma in tempo per parlare di Cristo al suo vecchio datore di lavoro. Al giornalista che gli chiese di raccontare quell’incontro, Cheshire rispose così: «L’argomento fede non mi aveva mai interessato. Ma mi capitò di accudire un vecchio cattolico non più praticante, che però durante la malattia aveva recuperato la sua fede. Oltre a ciò che provocò in me la bomba di Nagasaki, devo a quel colloquio la mia nuova vita». L’illustrazione di quella notte si fa poi più precisa e lucida. «La notte in cui morì - continuò il capitano nell’intervista - ero solo con lui in casa. Poco prima che spirasse, presi dal suo comodino un libro, scritto da un famoso anglicano convertito al cattolicesimo, Vernon Johnson. “One Lord, One Faith”, ricordo bene quel titolo. D’improvviso, senza avere ancora una comprensione razionale della fede, percepii che Dio era una persona e che era presente lì, in quel momento. Fu come l’incontro con una persona. Prima non la conosci, poi la incontri».

Nasce la “Leonard Cheshire Disability”

Fu così che il capitano della Raf scoprì la sua nuova vocazione: accogliere a casa sua i disabili. La fondazione da lui creata nel 1948, anno in cui venne battezzato ed entrò nella Chiesa cattolica, è la Leonard Cheshire Disability. Oggi quest’organizzazione ha carattere mondiale, e conta oltre 280 case in 55 Paesi (qui il sito). Se in Italia, purtroppo, si sa ancora poco di questo incredibile aviatore dalle mille vite, non così, ovviamente, in Inghilterra. Nel 1992, anno della sua morte, la regina Elisabetta gli ha reso un commosso omaggio nel suo messaggio di Natale al Commonwealth.

“Socio” di Madre Teresa

Un capitolo a parte meritano gli incontri avuti da Cheshire dopo la sua conversione. Lo scrittore pugliese Paolo Tritto racconta che l’impegno caritativo di Cheshire lo portò, durante un viaggio in India, a incontrare anche Madre Teresa di Calcutta. Fu un incontro determinante. Innanzitutto perché la santa lo aiutò a fare ordine nella sua vita sentimentale. Leonard sposò così Sue Ryder, una donna inglese, anche lei impegnata nel soccorso delle persone bisognose, in particolare tra i reduci della Seconda Guerra Mondiale. Insieme a lei fondò la Ryder-Cheshire Foundation, istituita per costruire residenze per i malati nei Paesi più poveri. «Madre Teresa - ricordava Cheshire in un’intervista ripresa da Tritto - aveva suggerito che ci consociassimo. Recentemente, ricordandosene, m’ha detto: “Quella società non s’è mai fatta, ma è andata bene lo stesso. Perseguiamo i nostri scopi su strade differenti, ma soci di fatto lo siamo. Soci non materialmente ma spiritualmente”».

“Se potessi toccare la Sindone...”

Tra le tante avventurose vicende che hanno costellato la vita di questo capitano della Raf, ce n’è una particolarmente commovente. Riguarda una bambi­na inglese, Josephine Woo­lam, affetta da una grave forma di osteomie­lite. A raccontarla con dovizia di particolari è stato don Pier Giuseppe Accornero, scrittore, sindonologo, per anni caporedattore dell’Eco di Bergamo. Ecco come andò la vicenda. Durante la sua convalescenza, Josephine ricevette dal padre un settima­nale con un articolo sulla Sindo­ne scritto proprio da Cheshire. Raccontò poi la Woolam: «Io allora non sapevo leggere, guar­davo solo le figure. Ma quel­l’immagine mi colpì. Pensai che se avessi potuto toccare anche solo per un istante la Sindo­ne, il lenzuolo che ha avvolto il corpo di Cristo, sarei guarita». La madre della piccola scrisse una lettera ac­corata all’eroe della Raf. Questi non solo andò a tro­varla ma interessò sia Pio XII per ottenere il consenso della Santa Sede, sia Umberto II, proprietario della reliquia. Alla fine, il 7 luglio 1955 il caparbio capitano riuscì ad accompagnare l’undicenne Josephine Woo­lam a Torino. Padre Accornero racconta che «era stato predisposto un tavolo coperto da una tova­glia bianca, mentre il cardinale Fossati sedette e fece accomodare Josie accanto a sé». Dopo un momento di raccoglimento e di preghie­ra, fu consentito a Josephine di toccare il Sacro Lino.

Il miracolo della guarigio­ne non avvenne, almeno nel modo in cui la bambina l’aveva immaginato, ma anni dopo Josephine confessò: «Non mi sentii assolutamente delusa. Quando tornai nel Gloucestershire, mi resi conto che quest’e­sperienza mi aveva donato una profonda pace interiore». Una pace e una forza d’animo che le consentirono di superare le difficoltà della malattia, di costruirsi una fami­glia e di avere un figlio. Ancora una volta il capitano Cheshire aveva compiuto la sua missione per conto di Dio.

Cheshire diventerà santo?

Nel settembre del 2017, in occasione del centenario della nascita di Cheshire, il vescovo della diocesi dell’East Anglia ha avviato il processo di beatificazione. Sono molti ad augurarsi, e non solo in Inghilterra, che questo si concluda positivamente. Se così fosse, il mondo cattolico avrà un santo che, dopo aver seminato terrore nei cieli infuocati della Seconda Guerra Mondiale, ha aperto il suo cuore alla Carità, sugellando il suo impegno con le parole che ognuno dei 7000 volontari della sua Fondazione a favore dei disabili conosce a memoria: «Dobbiamo mirare in alto, essere soddisfatti con niente di meno del meglio e impegnarci totalmente e senza riserve a partecipare alla lotta per costruire un mondo più vivibile». Come ricordò il giorno del suo funerale il cardinale Basil Hume, presidente della Conferenza episcopale d’Inghilterra e Galles, «il capitano Cheshire aveva permesso a Dio di entrare nella sua vita, e Dio lo aveva completamente trasformato».