Legalizzare e privatizzare il suicidio porterà a una società più cinica
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Se approvato, il Ddl del centrodestra sul suicidio assistito avrà serie ricadute socioeconomiche. L’esclusione del SSN non equivarrà a uno Stato con le “mani pulite” e farà nascere un business per dare la morte. All'utilitarismo dietro l’eutanasia bisogna dire no, senza compromessi.

Ho da poco ricevuto via posta la pubblicità di una impresa che vende apparecchi acustici di ultima generazione. Probabilmente sono entrato nel loro indirizzario perché ho superato un qualche criterio di tipo anagrafico. La pubblicità offre prove audiologiche gratuite. Mi sono chiesto quando comincerò a ricevere messaggi pubblicitari che, con tono partecipato e rassicurante, mi faranno sapere che posso essere "aiutato" a realizzare il mio percorso di suicidio assistito.
Perché questo tetro pensiero? A causa dell’attivismo della maggioranza di centrodestra intorno al disegno di legge che mira a trasformare la sentenza n. 242/2019 della Corte Costituzionale in legge dello Stato. I relatori Ignazio Zullo e Pierantonio Zanettin hanno proposto una serie di emendamenti al loro stesso testo unificato, emendamenti che nelle intenzioni dovrebbero ulteriormente «blindare» la legge, una volta approvata, contro forzature giurisprudenziali. Tommaso Scandroglio ha già mostrato sulla Bussola labilità e inconsistenza di queste proposte.
In questo articolo ci soffermiamo invece su alcune conseguenze di natura economico-sociale che il Ddl del centrodestra inevitabilmente genererebbe. Per la volontà di evitare qualsiasi coinvolgimento dello Stato nei suicidi che il Ddl rende legittimo agevolare, il testo stabilisce che «il personale in servizio, le strumentazioni e i farmaci, di cui dispone a qualsiasi titolo il servizio sanitario nazionale non possono essere impiegati per agevolare l'esecuzione del proposito suicidario» (emendamento 4/100 dei relatori). Bisogna subito precisare che lo Stato sarà comunque coinvolto. In primo luogo attraverso l’operato del Centro di Coordinamento dei Comitati Etici Territoriali, il quale verrà integrato da esperti che, secondo il testo dei relatori, dovranno avere competenze specialistiche e che, per questo motivo, saranno nella stragrande maggioranza dei casi persone stipendiate dallo Stato (i professori universitari, i medici, gli infermieri…). Inoltre saranno medici e avvocati iscritti ai rispettivi Albi (regolati da legislazione nazionale) che forniranno consulenza agli aspiranti suicidi per dimostrare che esistono le condizioni per farsi aiutare a morire. Infine l’ultima parola spetterà in ogni caso a un giudice (pagato dallo Stato), che deciderà se l’aiutante del suicida la farà franca penalmente o no. Lo Stato, uscito dalla porta, rientrerà dunque dalla finestra.
Ma quello che più colpisce della proposta è l’idea che la fornitura del “servizio” di aiutare qualcuno a suicidarsi debba essere assicurata da privati, cioè, in ultima analisi, dal mercato. Per chi fa l’economista di mestiere, non è difficile prevedere alcune conseguenze non intenzionali di una eventuale approvazione del Ddl.
I pacchetti sanitari offerti dalle assicurazioni private (un settore già in crescita per la progressiva riduzione del perimetro delle prestazioni fornite dal SSN) includeranno molto presto anche la possibilità di assistere le persone fino ad essere “aiutate a suicidarsi”. Pubblicità mirate a modificare la percezione di questo tipo di morte cominceranno a circolare con diverse modalità: dal mail marketing fatto con criteri anagrafici, fino all’inserimento di apposite scene con scopo pubblicitario nelle serie televisive.
Bisogna poi considerare che il business del “suicidio sereno” potrebbe essere assai remunerativo, visto che non richiede di ammortizzare ingenti investimenti in strutture sanitarie avanzate per la cura dei pazienti: il cliente infatti deve essere aiutato a morire, non a vivere. Si può quindi immaginare che molte imprese verranno avviate per cercare di conquistare una quota di un mercato reso promettente dall’invecchiamento della popolazione, aumentando la competizione.
Ma una crescente competizione richiede un ruolo di sorveglianza dello Stato: il mercato, infatti, non funziona se non all’interno di un sistema di regole, quelle necessarie ad esempio per evitare che avventurieri tentino di fare pressioni su persone e famiglie che sono già in una condizione di fragilità, per convincerle al fatidico passo. Anche le cure palliative, la cui attivazione secondo il Ddl è condizione per legittimare l’aiuto al suicidio, entrerebbero nei pacchetti proposti sul mercato, in funzione sostitutiva di un SSN incapace di provvedere, oppure per sveltire i tempi di tutto il processo verso la fine. Anche questo richiederebbe sorveglianza, linee guida, autorizzazioni, perché imprese senza scrupoli, una volta acquisito il consenso, potrebbero non curarsi affatto della “dignità” degli aspiranti suicidi, risparmiando su cure palliative e assistenza psicologica, facendo scivolare l’aiuto al suicidio verso l’omicidio del consenziente (che del resto ha già una copertura giuridica nella legge 219/2017, sulle Disposizioni anticipate di trattamento).
Un altro aspetto da non trascurare è il fatto che le imprese avrebbero tutto l’interesse non solo a fornire consulenza legale agli aspiranti suicidi, ma anche a forzare a suon di giurisprudenza le condizioni stabilite dalla legge, per ampliare il loro business potenziale. Non avremmo più bisogno di volenterosi politici per generare casi favorevoli alla giurisprudenza creativa, ci penserebbero gli incentivi economici, la “mano invisibile” del mercato. Del resto, l’intervento sulle legislazioni è una strategia tipica del lobbying economico. Perché dunque scandalizzarsi?
Il punto che forse i parlamentari della maggioranza non colgono è che la filosofia che ispira tutte le pratiche para-eutanasiche, quelle cioè che mirano a introdurre surrettiziamente l’eutanasia (Dat, aiuto al suicidio, omicidio del consenziente), puntano sempre alla privatizzazione della morte. Legittimare queste pratiche significa affermare che la morte della persona coinvolta è un fatto esclusivamente privato, che riguarda il singolo individuo e non ha alcuna rilevanza sociale. Ora, questo è falso perché la società umana non è mai solo la somma di tanti soggetti isolati, ma è qualcosa di più. Dal punto di vista sociale tutte le persone sono “singolarità”. La loro esistenza cambia radicalmente la società, facendola diventare qualitativamente diversa. Per questo la nascita e la morte hanno un valore sociale e le leggi che se ne occupano sono fondanti per una società giusta e meritano un impegno politico a difesa della vita. Ammettere che la morte di una persona sia un fatto privato significa sposare in pieno il principio utilitaristico, che pretende di definire il valore della società come somma algebrica di utilità e disutilità (disinvoltamente assimilate a felicità e infelicità) provate dalle singole persone. È lo stesso ragionamento che porta l’economista alla moda Jeffrey Sachs e il suo collega Amar Hamoudi a scrivere che il tempo sottratto al lavoro da una madre per assistere il figlio destinato a morire presto, perché nato in condizioni di indigenza, è tempo sprecato.
Il centrodestra ha scelto la via del compromesso politico, piantando oggi paletti contro l’eutanasia, come vent’anni fa furono piantati i paletti contro il far west procreativo. Sappiamo che fine hanno fatto i paletti. Facendo così, però, il centrodestra non solo tradisce molte promesse fatte ai suoi elettori, ma conferma in qualche modo le accuse che ha ricevuto in questi anni di voler smantellare il Servizio sanitario nazionale a favore del privato; di voler smantellare la solidarietà sociale a favore dei profitti. Paradossalmente mette argomenti politici di questo genere in mano a coloro che per primi, ideologicamente, vogliono spingere verso una non-società basata sull’individualismo dell’autodeterminazione, permettendo loro di figurare come i veri paladini della compassione verso i sofferenti. Quanto ci vorrà perché la legge venga accusata di discriminare i più poveri, che non potranno permettersi le consulenze legali e i servizi per essere “aiutati a suicidarsi”? Tali critiche, per quanto ipocrite, colpiranno nel segno. Rendere legale aiutare qualcuno a suicidarsi (qualunque sia la legge approvata), privatizzare la morte e poi lasciare al mercato la fornitura del servizio è un tentativo di girare politicamente lo sguardo dall’altra parte: “Se proprio lo vuoi fare, fallo, io non c’entro”. Davvero?
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