L'ecologia integrale e la svolta antropologica
Nel discorso del Papa alla Pontifica Accademia della Vita, la bioetica globale è inserita nel più ampio quadro dell'ecologia integrale. Una visione che nasconde una svolta antropologica in sintonia con princìpi stabiliti in sede Onu.
Nel discorso rivolto da papa Francesco ai partecipanti all’Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita è interessante notare come la “bioetica globale” sia considerata «una specifica modalità per sviluppare la prospettiva dell’ecologia integrale che è propria dell’Enciclica Laudato si’». E sempre citando la Laudato si’ si richiama a una «visione olistica della persona» che richiede di «articolare con sempre maggiore chiarezza tutti i collegamenti e le differenze concrete in cui abita l’universale condizione umana». Il Papa richiama espressamente i no. 16 e 155 dell’enciclica dove si sottolinea l’interconnessione tra la persona umana e tutte le creature, nonché la relazione diretta del nostro corpo «con l’ambiente e con gli altri esseri viventi».
Si tratta di un linguaggio nuovo, che permette anche di mettere a fuoco un aspetto dell’enciclica Laudato Si’ passato un po’ sotto silenzio, ovvero lo spostamento nell’approccio antropologico. L’ecologia integrale che diventa chiave di interpretazione di ogni fenomeno – in questo caso la bioetica – sottende una concezione dell’uomo come parte del tutto, un «paradigma olistico» da cui metteva in guardia molti anni fa un corposo documento dei Pontifici consigli della Cultura e per il Dialogo interreligioso, “Gesù Cristo portatore dell’acqua viva – Una riflessione cristiana sul New Age”.
Più specificamente questa concezione di ecologia integrale si avvicina molto ai princìpi della Carta della Terra, un documento concepito e adottato in ambito Onu alla fine del XX secolo e fondamento delle politiche globali. Come si afferma nel sito ufficiale «la Carta della Terra è una dichiarazione di principi etici fondamentali per la costruzione di una società globale giusta, sostenibile e pacifica nel 21° secolo. La Carta si propone di ispirare in tutti i popoli un nuovo sentimento d’interdipendenza globale e di responsabilità condivisa per il benessere di tutta la famiglia umana, della grande comunità della vita e delle generazioni future». E ancora: «La Carta riconosce che gli obiettivi della protezione ecologica, dello sradicamento della povertà, lo sviluppo economico equo, il rispetto per i diritti umani, la democrazia e la pace sono interdipendenti e indivisibili».
Dal punto di vista antropologico la novità consiste nel fatto che l’uomo si concepisce all’interno di una più ampia «comunità vivente». «L’umanità – dice il testo della Carta della Terra - è parte di un grande universo in evoluzione. La Terra, nostra casa, è viva e ospita un'unica comunità vivente». Una concezione che riecheggia in tanti interventi del Papa a proposito di «casa comune».
In questo modo però l’uomo perde la sua specificità ontologica (vedi il Salmo 8 «…Che cosa è l’uomo perché te ne curi?»), il suo essere vertice della Creazione, per diventare una sorta di “primus inter pares”, primo fra uguali. Più evoluto delle altre specie viventi, ma per questo chiamato a una responsabilità maggiore, oltre ad essere l’unico che mette a rischio la sopravvivenza del pianeta.
Del resto da molto tempo anche nel mondo cattolico è cresciuto un pensiero che indica nell’antropocentrismo giudaico-cristiano la radice degli squilibri ambientali, accusandolo di giustificare la spoliazione delle risorse della terra, che invece appartengono a tutte le creature. In realtà si tratta di una visione distorta del pensiero cattolico: riconoscere che l’uomo è vertice della Creazione, l’unico essere vivente creato a immagine e somiglianza di Dio, significa anzitutto che la chiave dell’equilibrio sta nel rapporto tra l’uomo e Dio. Quando è vissuto in modo corretto, secondo la Rivelazione cristiana, anche il rapporto con il resto del Creato diventa sano.
Non per niente, in un colloquio con i sacerdoti della diocesi di Bolzano, spiegando magistralmente questo punto Benedetto XVI ebbe a dire che la minaccia più grave per l’ambiente è l’ateismo, e che quindi «istanze vere ed efficienti contro lo spreco e la distruzione del creato possono essere realizzate e sviluppate, comprese e vissute soltanto là, dove la creazione è considerata a partire da Dio».
Il rischio di inseguire un linguaggio mutuato da agenzie internazionali che riflettono sull’ambiente negando all’origine il Creatore, è proprio quello di ridurre il riferimento a Dio a un sostegno etico o a un pensiero spirituale, negandogli la forza di un giudizio.