L’eclissi di Macron, il disastro perfetto dell’enfant prodige
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Dall'ascesa inarrestabile alla parabola discendente del macronismo. Il mito dell'"uomo nuovo" europeista otto anni dopo è infranto dai numeri e dalle proteste di un Paese più fragile e in balia di continue tensioni.

L’estate francese 2025 ha avuto una sola parola d’ordine: «Bayrou se ne deve andare». Un ritornello insistente, che puntava a un bersaglio più alto: il presidente della Repubblica. Mai, nella storia recente del Paese, un capo dello Stato è stato bersaglio di un’ondata di ostilità così travolgente.
«Rivoluzione». Così si intitolava il libro-manifesto con cui Emmanuel Macron, nel novembre 2016, annunciava la sua ambizione. Oggi, quella stessa parola torna a tormentarlo. Il giovane presidente, che allora conquistò l’Eliseo tra un mare di bandiere europee, è diventato il simbolo del fallimento di ciò che va sotto il cappello dell’europeismo.
Quando fu eletto nel 2017, a 39 anni, Emmanuel Macron divenne il più giovane presidente della storia della Repubblica francese. Oggi Macron ha l’aspetto di un uomo ingrigito, risentito, segnato dall’impatto con la realtà. Rivoluzione, nel senso di parabola discendente, è l’unico manifesto che gli calza.
Il suo percorso è fulmineo: studi di prima classe, filosofia e tirocinio accanto al pensatore Paul Ricœur – protestante incline alla postmodernità culturale –, banca per qualche anno, partnership in Rothschild con accumulo di ricchezza, poi amministrazione pubblica come alto funzionario, quindi l’Eliseo come consigliere finanziario e vicesegretario generale con François Hollande. D’improvviso, ministro dell’Economia. Fonda così un movimento che porta le sue iniziali e un anno dopo, non ancora quarantenne, conquista la presidenza. Tutto oltre la velocità della luce. Il suo primo guanto di sfida all’ordine già costituito fu, «la cultura francese non esiste». Mandò in brodo di giuggiole la sinistra europea.
Fu Henry Hermand, ricchissimo imprenditore socialista scomparso lasciando agli eredi 220 milioni di euro, il primo a investire su Emmanuel Macron. O meglio, a costruirne l’immagine di “uomo nuovo”. Se ne “innamorò” e lo introdusse a Terra Nova, il think tank d’ispirazione socialista da lui sostenuto, dove Macron affinò il linguaggio sociale. Hermand sarà il suo testimone di nozze e gli presterà il denaro per acquistare casa a Parigi.
Oggi, Macron è esattamente una baguette che hanno tentato di far lievitare senza successo. Presidente dell’élite, s’è sempre presentato distante dalla vita reale. Lo dimostra la recente visita di re Carlo: per la cena a base di aragoste e macarons alla rosa ha speso 475 mila euro – denaro pubblico, ovviamente, mentre il bilancio francese vacilla.
Quando arrivò all’Eliseo, non era il centrista dipinto in campagna elettorale. Il socialismo restava il fil rouge della sua ascesa: dietro le quinte, Ismaël Emelien, stratega e capo comunicazione, già consulente della campagna di Nicolás Maduro nel 2013. Il programma di Macron rifletteva quell’impronta: proposte di spesa pubblica in abbondanza e attenzione al cambiamento climatico come questione cruciale. Adesione all’economia di mercato, ma intesa come strumento al servizio di una “giustizia sociale” guidata dal governo più che dalla libertà di scelta. Come molti altri leader del continente, Macron vedeva nell’immigrazione la risposta al calo demografico e all’invecchiamento della popolazione. Gérard Collomb, storico sindaco socialista di Lione e scelto da Macron come ministro dell’Interno, lo abbandonò dopo pochi mesi: il presidente non stava facendo nulla per arginare l’emorragia di territori della Repubblica ormai passati sotto l’influenza islamista.
Durante la presidenza Macron, la Francia ha visto sgretolarsi gli ultimi frammenti della sua influenza africana: una serie di colpi di Stato nelle ex colonie ha costretto al ritiro le truppe francesi, subito sostituite da presenze russe. In Medio Oriente, la scelta di riconoscere la Palestina ha incrinato i rapporti con Israele, senza però conferire a Parigi un ruolo rilevante. Il bilancio del “macronismo” resta dunque problematico. Sul piano interno, la Francia appare più fragile e divisa, attraversata da tensioni sociali e politiche continue. Sul piano internazionale, il Paese appare ridimensionato, incapace di trasformare le ambizioni di grandeur in risultati concreti. Definire questa stagione politica non è semplice: Macron ha cambiato più volte linea, compiendo svolte e contraddizioni spettacolari, ma sempre con l’aria di chi si percepisce al di sopra di cittadini, oppositori e partner. Si è autodefinito via via — con una certa modestia — «primo della cordata», «Jupiter», «maestro degli orologi». Ma non ha vinto nessuna delle grandi sfide.
Debito al 113% del Pil, deficit al 6%. Riforme essenziali come le pensioni sempre al palo. E a peggiorare il quadro c’è l’impressione che Macron sia pronto a qualsiasi compromesso pur di restare all’Eliseo: i diversi premier da lui nominati hanno oscillato tra aperture sinistre e proposte di nuove imposte sui più abbienti, senza però spingersi oltre annunci parziali né convincere. Del resto, la Francia partiva già da una posizione gravata da una pressione fiscale tra le più pesanti al mondo.
Otto anni dopo, la Francia di Macron appare come un disastro perfetto. Con lui il wokismo incendia le piazze, mentre la più numerosa popolazione musulmana d’Europa detta i ritmi della paura: professori sgozzati, cattolici e preti uccisi, l’ombra dei Fratelli Musulmani che tiene in allerta il ministero dell’Interno, perché ormai sono infiltrati in tutti gli apparati. Il Paese fronteggia guerriglia urbana periodica guidata da giovani immigrati di seconda e terza generazione, mantenuti dallo Stato ma ostili a esso. Le Olimpiadi di Parigi 2024 sono passate alla storia come lo spettacolo di una decadenza su misura di Macron, tra mondo distopico, insostenibilità dell’ecologismo e rivendicazioni woke. Ed è con lui che l’aborto è entrato in Costituzione.
I numeri parlano da soli: il debito pubblico è passato da 2.263 miliardi nel 2017 a oltre 3.345 miliardi nel 2025, il rapporto sul PIL dal 98,8% al 113,9%. L’industria automobilistica ha perso quasi il 40% della produzione, scesa da 2,2 milioni di veicoli a 1,34 milioni. Gli stranieri irregolari sono raddoppiati, da 300–400 mila a 600–900 mila. Nel 2024, si contano quasi 50 attentati o incendi dolosi contro chiese cattoliche e 854 atti anticristiani: quasi tre al giorno. Ogni due settimane scompare una chiesa: fra vandalismo, roghi, attentati e profanazioni, le chiese sono perennemente sotto attacco.
Ora che il cosiddetto “macronismo” e la modernità tecnocratica dell’efficacia si sono ormai sgonfiati, lasciando dietro poco più che un’etichetta vuota, non gli resta che ammettere solo una cosa: ciò che si muove in Francia è lo stesso rifiuto del nichilismo culturale dell’establishment che ha spinto abbastanza elettori in America a eleggere Trump presidente due volte.
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