Parigi, la rivolta dopo la vittoria. Il piacere di distruggere
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Ennesima rivolta delle banlieus parigine e in altre città francesi, stavolta il pretesto è stato dato dalla vittoria della Champions della squadra parigina Paris Saint Germain. Autori: immigrati africani che vivono di sussidi e di spaccio.

Sabato notte, Parigi è stata per l’ennesima volta teatro di una guerriglia urbana che ha ricordato lo stile delle primavere arabe degli anni ’10 del 2000. Doveva essere la notte della finale di Champions League, dove si contendevano la coppa la squadra di Parigi, il PSG, e una squadra di Milano, l’Inter, ma è passata alla storia per le “tre notti di violenza” che hanno devastato ancora la capitale francese e parte della provincia.
Alle 22, ben prima del fischio finale, la questura aveva già registrato 59 arresti. Poi le tensioni si sono spostate da Porte de Saint-Cloud, accanto allo stadio del Paris Saint-Germain, dove la tangenziale è stata più volte invasa mentre le auto circolavano regolarmente, fino agli Champs-Élysées, poi al Pont d’Iéna, il ponte che attraversa la Senna e collega la Torre Eiffel, il Trocadéro e il resto della città. E poi Pau, Lione, passando per Grenoble, Alençon, Nantes e Coutances: in ognuna di queste città sono stati devastati, fino ad essere inutilizzabili, autobus, negozi e arredo urbano.
Alle 2 del mattino, il numero di arresti era già salito a 294. Erano stati mobilitati oltre 5.400 agenti di polizia – sebbene la finale della partita di calcio non si stesse disputando nemmeno a Parigi – e sono stati i primi a subire i soprusi dei facinorosi, in preda a un delirio di violenza incontenibile: le forze dell’ordine sono diventate il bersaglio tra proiettili e fuochi d’artificio, come avviene nelle banlieues, ma sabato lo sono state sul viale più bello del mondo – secondo i parigini – e sotto gli occhi di tutto il mondo.
Il bilancio conta 563 arresti, di cui 491 solo a Parigi, nella notte tra il 31 maggio e il 1° giugno. Domenica, in 202 sono stati trattenuti in custodia cautelare. Secondo il capo della polizia di Parigi, Laurent Nunez, la cifra sale a 323 se si includono gli arresti nelle periferie di Hauts-de-Seine, Seine-Saint-Denis e Val-de-Marne. Nella Val-de-Marne, le violenze hanno portato all’arresto di una quindicina di minorenni; a Val-d’Oise, i minorenni arrestati sono stati cinque.
Mentre scriviamo, sono 192 i feriti gravi – di cui circa 30 agenti di polizia, uno in coma farmacologico – e due i morti. Sono stati registrati 692 incendi, 264 veicoli bruciati.
Non serve essere esperti di ordine pubblico per capire che sabato le forze dell’ordine sono state sopraffatte. E che le Olimpiadi sono state un intermezzo magico (i problemi sono stati altri) nel caos di questi anni – le rivolte del 2005, le rivolte del lockdown del 2020, quelle per la morte di Nahel nel 2023 e il caldo autunno del 2024 – ma che hanno avuto un prezzo elevatissimo, dato che sono stati necessari bonus speciali per garantire che tutti fossero presenti e l’aiuto di uomini dal resto d’Europa per garantire sicurezza.
D’altronde, quale messaggio manda uno Stato ai teppisti di ogni tipo quando incoraggia i negozi del «viale più bello del mondo» a barricarsi, in prossimità di una partita di calcio, perché nessuna forza di polizia è in grado di garantire loro sicurezza?
Ma anche dopo aver preso queste precauzioni, non è stato sufficiente. Abbiamo visto orde furiose abbattere le gigantesche lastre protettive delle vetrine e distruggere tutto.
Secondo il capo della polizia, che cita un rapporto iniziale, almeno quattro negozi sono stati saccheggiati nella zona degli Champs-Élysées, e altri sono stati presi di mira da tentativi di effrazione nella giornata di domenica.
L’impressione è quella di uno Stato impotente davanti a una violenza giovanile che si ripresenta con inquietante regolarità. Il problema non riguarda più soltanto l’ordine pubblico: è l’immagine stessa della Francia a vacillare agli occhi del mondo. «Perseguiremo, puniremo, saremo implacabili», ha promesso domenica Macron dopo aver condannato fermamente le violenze della notte.
Lunedì 2 giugno si sono aperte le prime udienze per gli arrestati nei disordini del fine settimana. I profili sono ricorrenti: giovani tra i 16 e i 25 anni, spesso già noti alle forze dell’ordine. Di nazionalità francese, ma immigrati di seconda o terza generazione, principalmente dal Maghreb o dall’Africa sub-sahariana.
Ali, per esempio, ha ammesso di aver lanciato proiettili contro i poliziotti che lo fronteggiavano sugli Champs-Élysées. Al giudice ha parlato di “adrenalina”, l’effetto a catena causato dalla folla intorno a lui. L’avvocato ha rispolverato i classici della psicologia sociale, citando Gustave Le Bon. E quando il pubblico ministero ha osato chiedere se un tunisino residente in territorio francese, come Ali, non dovrebbe rispettare un po’ di più la divisa sormontata dalla bandiera tricolore, l’imputato l’ha liquidato con un semplice: «Non ero consapevole».
Un altro degli arrestati, Brahim, ha fatto fatica a spiegare la presenza in tasca del passamontagna con cui è stato arrestato. Sulla sua fedina penale ci sono solo precedenti per danni in luoghi pubblici nel 2017, ma era ancora minorenne.
Mohamed Taher S., 21 anni, è stato processato per aver devastato un autobus indossando una maglietta con la scritta ‘CIAD’, un riferimento al Paese della sua infanzia. È il padre di un bambino di sette mesi e ha cercato di minimizzare il suo coinvolgimento.
Insieme a lui, Abouzar O., 33 anni, è stato condannato a sette mesi di carcere con pena sospesa. Arrivato in Francia nel 2017, il giovane sudanese è stato riconosciuto colpevole di violenza, insulti e ribellione contro gli agenti di polizia. Arrestato, ha colpito ai genitali l’agente al grido: «Ti troverò, ti ucciderò, sporco bianco». Vive in un’occupazione abusiva dal suo recente rilascio di prigione. La maggior parte degli arresti si è risolta, finora, tra multe e corsi obbligatori di cittadinanza.
Come per le rivolte per la morte di Nahel, non si tratta di poveri. Ma più spesso di adolescenti, o poco più grandi, che vivono senza mancare di nulla nelle banlieues. Lì, hanno due fonti di reddito: i sussidi enormi erogati dallo Stato sociale francese e lo spaccio di droga.
La cosa è da decenni oggetto di studi di sociologia. I protagonisti delle rivolte sono le cosiddette persone “senza attività”. Possono permettersi di vivere senza lavorare e quindi hanno tempo libero a sufficienza per andare a devastare tutto. A differenza di altre categorie di immigrati, questo tipo di ozio assistito gioca un ruolo incredibile.
Nel frattempo, sul piano politico, è scontro tra il Ministro dell’Interno e il partito di Mélenchon. Per la sinistra estrema francese, lo scandalo non sono le violenze né i delinquenti armati di spranghe, ma le parole di Bruno Retailleau. Il Ministro dell’Interno, infatti, è stato giudicato colpevole di aver definito i teppisti come “barbari”, espressione con la quale il dizionario indica gli “incivili”. E infatti, in un sabato sera che doveva essere di festa, la Francia ha contato mortai, sirene, coltelli, agenti feriti e vittime, travolte da stupidità, malvagità e impunità. A sinistra, però, è il lessico a far gridare allo scandalo. Coquerel, il deputato di France Insoumise, ha parlato di “connotazioni razziste”. Ma basterebbe ricordargli che lo stesso Mélenchon definì barbari i poliziotti.
Intanto, il sindaco di Chalon-sur-Saône, Gilles Platret, ha promesso: «Vieterò la bandiera palestinese». Secondo il primo cittadino del Comune di oltre 45mila abitanti, devastato anch’esso dalle proteste, la bandiera è stata il vessillo delle rivolte urbane di sabato notte. Il sindaco non usa mezzi termini: per lui, quel simbolo è diventato «il segno di riconoscimento delle bande islamiste determinate a sfidare la Repubblica».
L’impressione è che, di fronte all’ennesima emergenza che la Francia si trova a vivere, ci sia una sfida di fondo: il desiderio di distruggere i momenti di piacere condivisi nella società occidentale. Per il gruppo attaccante, il piacere è quello di colpire, di distruggere. Ogni ragionamento è assente, resta solo l’ebbrezza della barbarie, la mimica e la disinibizione della conquista.