L’Africa che resiste: no alla contraccezione, sì all’Humanae Vitae
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Le parole profetiche di Paolo VI nell’Humanae Vitae trovano conferma innanzitutto in Africa, vittima dei tentativi neomalthusiani dell’Occidente che subordina gli aiuti all’accettazione degli antivalori su sessualità e famiglia. Ma nel continente nero resiste una cultura pro vita più forte dell’ideologia.
Pochi ricordano che Paolo VI, nella sua ferma condanna della contraccezione, aveva chiara consapevolezza che le diverse tecniche che impediscono all’atto coniugale di mantenere il suo significato procreativo, sarebbero state sempre più utilizzate dalle agenzie neomalthusiane, nell’intento di porre un freno a quello che, secondo il loro punto di vista, costituirebbe la grande calamità della società mondiale: il sovrappopolamento. Humanae Vitae già vedeva ben chiara la grande «tentazione delle autorità di opporre a tale pericolo misure radicali» (§ 2).
Non solo una diagnosi, ma una vera e propria denuncia era uscita dalla penna di Paolo VI: «Si rifletta anche all’arma pericolosa che si verrebbe a mettere così tra le mani di autorità pubbliche, incuranti delle esigenze morali. Chi potrà rimproverare a un governo di applicare alla soluzione dei problemi della collettività ciò che fosse riconosciuto lecito ai coniugi per la soluzione di un problema familiare? Chi impedirà ai governanti di favorire e persino di imporre ai loro popoli, ogni qualvolta lo ritenessero necessario, il metodo di contraccezione da essi giudicato più efficace?» (§ 17).
Oggi è più che mai chiaro che il timore di Paolo VI è divenuto realtà ordinaria. E a ricordarcelo è soprattutto l’esperienza africana, cui è stata data voce durante il Congresso dedicato a HV, organizzato il 19-20 maggio scorsi, dalla Cattedra Internazionale di Bioetica Jérôme Lejeune, e del quale sono ora disponibili i video degli interventi e alcune relazioni scritte (vedi qui).
Obianuju Ekeocha, biologa, presidente di Culture of Life Africa, ha esordito con una grande, ma spesso dimenticata verità: «Non c’è posto nel quale la teoria e il pensiero malthusiani vengano tradotti in politiche nazionali quanto in tutto il continente africano», continente che è divenuto sinonimo di crescita incontrollata e irresponsabile della popolazione.
L’Africa registra in effetti il più alto tasso di figli per donna (4,5): un miraggio per la nostra Italia, la cui popolazione è ormai in via d’estinzione. Ma per quale ragione l’Africa continua ad avere questi tassi di natalità? La risposta della Ekeocha è tutt’altro che sulla difensiva: «Perché sappiamo poco della contraccezione? Perché non abbiamo educazione? O non abbiamo accesso alla contraccezione chimica? No, la contraccezione non riesce a sfondare, almeno in alcune parti dell’Africa, per l’atteggiamento che abbiamo nei confronti dei bambini». I bambini sono ancora considerati il compimento della vita matrimoniale; i bambini sono una festa. All’elevato tasso di natalità, corrispondono di fatto anche un modesto ricorso alla contraccezione e un alto tasso di interruzione della stessa contraccezione. Per questo si sta spingendo per diffondere gli impianti contraccettivi sottocutanei, come dimostra una massiccia campagna avvenuta in Kenya nel 2021.
Stiamo parlando di cifre folli, che si attestano attorno ai 9 miliardi di dollari all’anno, «per combattere il nemico immaginario della fertilità delle donne africane», spiega Ekeocha. Soldi destinati unicamente a questo scopo: «Ci sono molti casi in cui un ospedale che non dispone di antibiotici salvavita, è completamente rifornito di farmaci e dispositivi contraccettivi». Così come fioriscono progetti sulla “salute riproduttiva”, che ormai si rivolgono direttamente ai bambini africani, rendendo loro la contraccezione facilmente disponibile nelle proprie scuole. Scuole nelle quali molto spesso «non ci sono quasi libri nella biblioteca» o addirittura mancano le stesse biblioteche.
E poi i rischi per la salute collegati alla contraccezione: «Aumento di peso, perdita di capelli, perdita di densità ossea, di libido, nausea, perdite vaginali, coaguli di sangue potenzialmente letali». Danni aggravati dalle “cliniche mobili”, che arrivano in un villaggio, «impiantano contraccettivi e se ne vanno altrove. Se hai un problema, devi andare dal tuo dottore, che sta a 1-2 miglia di distanza. Immaginate per le donne che hanno avuto, come effetti indesiderati, dei coaguli di sangue».
Padre Apollinaire Cibaka Cikongo, rettore dell’Università di Mbujimayi, nella Repubblica Democratica del Congo, a sua volta denuncia «la distruzione della sessualità e della famiglia avviata dall’Occidente da diversi decenni, in particolare per quanto riguarda la contraccezione e l’aborto anche nei nostri villaggi più remoti, talvolta con l’assistenza dolorosa o interessata delle istituzioni mediche e caritative delle chiese».
Il caso più recente è avvenuto a Bulengo, nel villaggio di Goma, nell’ex Congo belga. Dall’11 aprile all’11 maggio l’Ong Ipas RDC ha lanciato un’operazione di aborto sicuro. Il dott. Célestin Iyango, a capo dell’organizzazione, ha dichiarato che si è trattato «di fornire cure legate all’aborto, alla pianificazione familiare, alla gestione delle infezioni sessualmente trasmissibili. Abbiamo avuto più di duecento casi di richieste di accesso alle cure per l’aborto sicuro». Aborto e pianificazione familiare come cure: un linguaggio decisamente “occidentale”.
P. Cikongo ha denunciato l’assenza di microscopi in moltissimi ospedali, mentre si trovano «tutti i mezzi più moderni di contraccezione, che vengono distribuiti gratuitamente e a volte da dei religiosi»! Così come in qualsiasi villaggio dell’Africa è ormai possibile accedere gratuitamente ai siti con materiale pornografico. I grandi finanziatori non sono interessati ai veri problemi dei popoli africani, ma a raggiungere gli obiettivi delle loro agende ideologiche. E lo fanno con metodi ricattatori e neo-colonialisti, subordinando gli «aiuti allo sviluppo, pubblici o privati, all’accettazione degli antivalori su famiglia, sessualità e procreazione, con progetti popolari o educativi contrari alla legge naturale e ai fondamenti della cultura tradizionale dell’Africa nera», spiega il religioso. E riporta un’esperienza personale: «Quanti progetti non sono stati finanziati perché abbiamo dichiarato che nel mio villaggio non ci sono persone Lgbt»!
Per questo l’Humanae Vitae «è anzitutto un esempio dell’autonomia e della libertà di discernimento e di decisione che l’Africa nera deve riconquistare e proteggere contro le ideologie, le pressioni e i ricatti della modernità», spiega Cikongo.
Gli fa eco Ekeocha, che però ricorda a noi occidentali di non essere certamente al riparo dai ricatti dei poteri forti. Pensare che da noi certe cose non accadranno mai, che non si possa finire dentro a versioni analoghe a quella della “politica del figlio unico” cinese, è un enorme errore. «Se voi pensate che i governi non hanno questo potere e che questo mai accadrà, pensate a cos’hanno potuto fare per due anni [mostra a tutti una mascherina, n.d.a.]. Potranno imporre che ogni donna debba installare dentro di sé un contraccettivo». Applausi dalla sala. «Se e quando un governo deciderà di controllare la popolazione, sicuramente potranno farlo. Spingeranno le proprie popolazioni verso direzioni che nemmeno riusciamo a immaginare». Esattamente come è accaduto durante la pandemia, e ora con la cosiddetta emergenza climatica.
«Dobbiamo essere grati alla Chiesa che continua a presentare l’insegnamento contenuto in questa enciclica. Qualunque sia la pressione dei governi e dell’industria farmaceutica, la Chiesa continua a rimanere ferma. In Africa, la contraccezione è questione di diritti umani. Se verrà meno l’insegnamento dell’Humanae Vitae, le persone non saranno più protette; perciò alziamoci e difendiamo l’Humanae Vitae», ha concluso Ekeocha.
La triste novità è che oggi dobbiamo difendere l’Humanae Vitae da uomini di Chiesa che occupano posizioni molto, troppo in alto.