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IL BONUS

L’aborto e Amazon, l’uso dei soldi contro la verità

Il colosso fondato da Bezos rimborserà le spese di viaggio per recarsi ad abortire. La mossa di Amazon, seguita anche da altri grandi gruppi, è una risposta alla bozza anti-aborto della Corte Suprema statunitense. Alle motivazioni sul piano giuridico si risponde con la leva del denaro, per influire sulla coscienza collettiva e quindi sul piano sociale.

Editoriali 10_05_2022

Amazon finanzia l’aborto. Sì, è proprio così. Jeff Bezos, fondatore e presidente esecutivo dell’azienda di logistica più importante e fiorente al mondo, ha deciso di rimborsare alle proprie dipendenti e ai loro mariti/compagni le spese di viaggio per recarsi in una clinica abortista. Un rimborso che può arrivare sino a quattromila dollari. Non pochi soldi, se teniamo conto che i dipendenti di Amazon superano il milione in tutto il mondo.

Perché proprio le spese di viaggio? Perché molti Stati Usa hanno ultimamente reso più difficoltoso abortire e quindi alcune donne sono costrette, per fortuna, a viaggiare fino a un altro Stato più permissivo. Ad esempio, lo scorso anno nel Texas 1.400 donne hanno deciso di abortire in un altro Stato.

Un’altra domanda, forse ancor più significativa: perché proprio ora questa decisione di Bezos? Si tratta di una risposta alla bozza della Corte Suprema che intende rovesciare la sentenza Roe vs Wade del 1973 che ha legalizzato l’aborto procurato in tutta la Nazione (clicca qui e qui per un approfondimento), bozza che è stata pubblicata qualche giorno fa dal quotidiano Politico. La scelta di Bezos sta facendo scuola: anche i gruppi Yelp e Citigroup hanno annunciato che prenderanno decisioni simili.

Dopo la pubblicazione truffaldina della bozza della Corte Suprema le piazze, i media, molti politici e vip hanno protestato e inveito. Ma, come abbiamo visto, si mobilitano anche i grandi colossi dell’imprenditoria per impedire che la guerra al nascituro in corso da quasi 50 anni negli Usa non veda la fine.

Interessante notare la natura degli avversari nel caso specifico: da una parte un tribunale e dall’altra una multinazionale. Un soggetto giuridico ed uno economico. Il primo sferra l’attacco alla sentenza abortista del 1973 naturalmente sul piano giuridico. Il secondo, al fine di difendere tale sentenza, usa uno strumento economico - il bonus aborto - per creare dibattito mediatico e quindi influenzare la coscienza collettiva, producendo infine effetti significativi sul piano sociale. I pro-choice hanno capito che se il percepito collettivo rifiuterà il contenuto della bozza della Corte, questa difficilmente potrà diventare definitiva. Infatti nel diritto gioca un ruolo fondamentale il principio di effettività. Una legge può essere anche valida, ossia può essere efficace e quindi produrre effetti giuridici previsti dalla legge stessa, ma se poi non è effettiva - ossia se non è seguita dalla maggioranza dei cittadini - diventa una legge inutile, perché se tutti disobbediscono a questa legge non è realistico riuscire a sanzionare tutti. Se un governo avesse tutta la piazza contro, la società sarebbe ingovernabile e le sue leggi carta straccia.

Bezos & Co. lo sanno bene. La sua iniziativa infatti si inserisce in quella strategia politica volta a contrapporre la gente alle istituzioni - tra l’altro, nel nostro caso, ad una parte delle istituzioni, perché ad esempio l’amministrazione Biden è fortemente filoabortista - isolando queste ultime e quindi costringendole a cambiare rotta per evitare di pronunciare una sentenza che, se va bene, rimarrebbe lettera morta, ma, se va male, innescherebbe una guerra civile culturale, sociale e giuridica pressoché perenne (ad esempio sarebbero infinite le cause in materia di aborto intentate nei tribunali di tutto il Paese). Questo secondo scenario sarebbe quello più probabile e dunque è assolutamente indispensabile che le realtà pro-vita dimostrino, come stanno già facendo, tutto il loro sostegno ai giudici della Corte Suprema che hanno firmato la bozza, perché la battaglia dell’aborto si vincerà solo se si vinceranno alcune singole battaglie che si svolgono in ambiti diversi, come quello giuridico, sociale, culturale, economico, religioso, politico, etc. Non si può quindi pensare che basti una sentenza per cambiare le cose. Occorre anche creare un ambiente sociale e culturale adatto perché questa sentenza cresca, fiorisca e porti i suoi frutti.

Un’ultima nota. Le reazioni scomposte e rabbiose, che il parere dei giudici della Corte Suprema sta scatenando in tutto il mondo, erano prevedibili. È sempre così quando di mezzo c’è la verità. Si ripete in buona sostanza quello che è accaduto duemila anni fa a Stefano, protomartire: “All’udire queste cose, fremevano in cuor loro e digrignavano i denti contro di lui. […] Proruppero allora in grida altissime turandosi gli orecchi; poi si scagliarono tutti insieme contro di lui, lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo” (At 7, 54, 57-58).