La vera vacanza è ritrovare se stessi
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Chi parte, in genere e quasi sempre senza che se ne accorga, parte da ciò che lo estrania da sé per giungere a casa in cerca della pienezza della propria identità, che è l'autentica felicità.
Nella parola “vacanza” riechieggia il termine latino vacuum. Vuoto. È il vuoto delle attività ordinarie che, con il medesimo ordine, ti consumano. È il vuoto del tuo lavoro, dei posti a te usuali, delle compagnie solite, degli impegni stantii. Spesso un girare in tondo. Una pausa in un film dove tu sei attore o solo comparsa. Vacanza quindi indica una privazione, prima di indicare una pienezza. Eppure è questa che noi cerchiamo quando partiamo per mari e per monti.
La felicità, alla fine, è plenitudo essendi, la perfezione di sé, la pienezza della propria identità. Chi parte, in genere e quasi sempre senza che se ne accorga, non parte da sé, ma parte da ciò che lo allontana da sé, da ciò che lo estrania da sé, per giungere a casa. Ognuno con il proprio percorso. Il mare è condizione orizzontale dell’esistenza: la sua piatta infinità avvolge il mondo e ti persuade ad espandere lo spirito nella stessa direzione. È la quiete animata, il tempo nella parte superiore della clessidra laddove la sabbia è immobile, la circolarità dei pensieri che però procedono per moto retto come i palloni in spiaggia. La montagna è condizione invece verticale dell’esistenza: trascende se stesso chi cammina in salita, chi cerca una vita a piombo, chi macina pensieri in perpendicolare, chi eleva preghiere alle cime.
Trovano la propria India coloro che ritornano al paese natio e che diede i natali ai primi desideri di bambino. E lì, tra viottoli che commuovono e volti che commuovono ancor di più, ci si scopre impostori oppure autentici. Perché tra quelle case e tetti ritrovi la parte pulsante e viva di te, quell’originale che il tempo ha tentato di falsificare in numerose copie. Lì incontri il ragazzo che sei stato e l’uomo che avrebbe voluto essere. E allora la verità appare nitida: o ti sei adulterato oppure sei rimasto fedele a te stesso. Nel primo caso hai mentito a quel ragazzo che giocava a pallone nella piazzetta del paese e ti sei perso dietro alle lusinghe di cosmi artefatti, hai rinunciato – per viltà, tornaconto, pigrizia, mediocrità o solo per la vertigine che dà il coraggio – a soffrire, a soffrire per costruire nel silenzio e nella solitudine il marito, la madre, il figlio, l’amica, l’uomo e la donna di Dio che dovevi essere. Nel secondo caso hai trovato compimento, sei giunto in porto, hai riempito fino all’orlo il tuo boccale, hai colto il bersaglio seppur la freccia è stata scoccata nell’oscurità di questi tempi così tragici, così mostruosi.
In vacanza trova e ritrova se stesso – un se stesso spaesato in questo mondo che non è un paese per saggi – chi vive il tempo come un passato remoto. Perché da sempre la cresta di una vetta tra lo svaporio delle nubi, la bordatura bianco spumeggiante della costa vista dall’alto, il mare di prati dove correvi da bambino, il catino di stelle estive, il capriolo perso nel tuo giardino, la musica nel chiostro tratta dal vangelo secondo Bach, connettono il tuo presente con quello antico. Costui coglie immediatamente l’infinitesima irrilevanza delle supposte grandi questioni contemporanee – tra barconi e ghiacciai, pigmenti cutanei e ardori lombari omofiliaci – nel contemplare la chiara semplicità dell’arte di Dio nel plasmare la Terra e di quella degli uomini nel plasmare suoni, pietre e colori. Costui non si sente più in vacanza, ma vagante, profugo oppure in vacanza da tutto e tutti perché tutto e tutti stranieri. Ormai si percepisce forestiero, estraneo all’inessenziale, a ciò che non è decisivo, radicale per giungere al succo dell’esistenza. Al di fuori di quelle vette adorne di nuvolosi cappelli e di quel vitreo e feroce sole agostano, tutto gli appare remoto, inutile, esausto di senso. Quell’uomo vive fuori dalla storia presente. Quell’uomo è tornato finalmente a casa.
Elogio del tempo della vacanza
La nostra società ci gestisce spesso il tempo ora per ora, ma l’uomo continuamente occupato si conosce di meno. Così corre il rischio di non cogliere bene la complessità dell’animo umano, quel senso di vuoto che è ad un tempo desiderio di compimento e di infinito. Le vacanze sono per eccellenza il momento in cui abbiamo a disposizione più tempo libero: da come lo usiamo si può capire meglio chi siamo.
Laudato sì per questi spruzzi di vacanze...
Il torrente rimbalza fresco e tonante, raccogliendo le nevi sciolte dal sole che splende imperterrito. Lo scoiattolo saltella dagli alberi al terreno. Laudato sì mi Signore per nostra madre terra. Madre e sorella che ti serve e ti apre il respiro. Regina che nel giro dei monti ti mostra il suo regno. Come nella salita al Monte Bianco.