Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
INTERVISTA

La suora placcatrice, gli ecologisti e il progetto per il Cuore di Maria

Ascolta la versione audio dell'articolo

Un progetto che unisce fede e cura del creato, ma un gruppo di ambientalisti anticlericali lo ostacola. Dopo le immagini del placcaggio di una suora su un ecologista-disturbatore, la Bussola intervista fra Paul della Famiglia Missionaria di Nostra Signora.

Libertà religiosa 27_10_2023
Progetto del sito della Madonna delle Nevi

La giovane suora vestita di blu, che, zainetto in spalle, intercetta nella corsa e abbatte un uomo che si sta allontanando a grandi falcate con materiale da cantiere, è una scena che ha fatto il giro del mondo. Non c’è quotidiano internazionale che non le abbia dedicato almeno un po’ di spazio. Episodio certamente sui generis, facilmente soggetto ad ogni sorta di battuta e che è stato subito battezzato come “il placcaggio della suora che manda ko l’ambientalista”.

Siamo in Francia, nella regione sud-orientale dell’Alvernia-Rodano-Alpi, dipartimento di Ardèche, nel minuscolo comune di Saint-Pierre-de-Colombier, circa 450 abitanti. Luogo della fondazione della Famiglia Missionaria di Nostra Signora, di cui fa parte la suora immortalata. L’Istituto di vita consacrata ha diciotto focolari (case) tra Francia, Germania e Roma, e quello a Saint-Pierre-de-Colombier è il centro principale.

Suor Benoîte è però, se vogliamo, protagonista di una storia molto più drammatica e seria di quel che può sembrare un banale raccontino su una “suora esperta in placcaggi”.

La Nuova Bussola ne ha parlato con fra Paul della Famiglia Missionaria di Nostra Signora.

Fra Paul, ci può raccontare il perché di tutte quelle suore in un cantiere come ci mostrano i video finiti sulla stampa internazionale?
Il cantiere, che si intravede nel video oggetto di ilarità diffusa, rientra nel progetto di costruzione (nella foto in alto) della Chiesa del Cuore Immacolato di Maria a Saint-Pierre-de-Colombier, desiderio dei nostri fondatori sin dal 1946. È parte integrante della nostra missione diffondere la devozione alla Vergine Maria che invochiamo con il titolo di Madonna delle Nevi: Lei è la “capocordata” che ci aiuta a salire il monte della santità. Con il flusso di pellegrini sempre più numerosi a Saint-Pierre-de-Colombier, in particolare per la festa della Madonna delle Nevi nel mese di dicembre, la chiesa e gli altri luoghi di accoglienza erano diventati troppo piccoli, e la cosa stava iniziando a creare anche problemi di sicurezza. E così, da qualche anno, stiamo portando avanti il sogno di costruire una nuova chiesa.

I lavori sono iniziati da poco?
Nel 2015, e fino al 2018, c’è stato un intenso lavoro di progettazione in stretta collaborazione con i servizi competenti dello Stato francese per ottenere la concessione edilizia per il cosiddetto “Site Notre Dame des Neiges” (Sito di Nostra Signora delle Nevi) che prevede una chiesa di 1500 posti ma capace, con l’uso dei balconi interni, di ospitare fino a 3500 persone, secondo le stime dei vigili del fuoco; l’edificio di accoglienza dedicato a san Giuseppe; un’area preposta per l’arrivo dei pellegrini e un ponte pedonale di accesso al sito.

A giudicare dalle immagini, però, i lavori non sembrano iniziati da cinque o sei anni. Perché la realizzazione del progetto è in alto mare?
Già nel mese di giugno 2020, l’associazione anticlericale dei cosiddetti “Ami.es de la Bourges”, costituita da una decina di membri, invitò a creare una “zona da difendere”, così la chiamano gli ambientalisti, sul sito della costruzione. Sostanzialmente il cantiere venne occupato abusivamente e anche danneggiato. E i relativi tentativi di dialogo non hanno avuto successo. Il prefetto ordinò, allora, la sospensione dei lavori, per condurre ulteriori indagini ambientaliste. Il vescovo, monsignor Jean-Louis Balsa, dopo aver sostenuto il nostro progetto, firmò un decreto con il quale non dava più l’autorizzazione a procedere per l’edificazione della chiesa: solo per questa, infatti, è di sua competenza fornirci il permesso. Il nostro superiore scrisse, allora, alla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica promettendo che non avremmo iniziato i lavori di costruzione della chiesa senza l’accordo scritto del vescovo di Viviers. Ad oggi la sede vescovile è vacante. I lavori dell’edificio di san Giuseppe sono ripresi lunedì 9 ottobre, con tutte le autorizzazioni necessarie concesse dallo Stato francese.

Perché gli eco-attivisti si aggirano attorno al cantiere fino ad averlo praticamente bloccato?
Vogliono impedire la costruzione di qualsiasi cosa appartenga alla Chiesa cattolica. Lo scorso 16 ottobre, i nostri frati e suore hanno semplicemente cercato di impedire pacificamente una nuova invasione illegale. La violenza degli attivisti è unica. La nostra suor Benoîte è intervenuta nel tentativo di sottrarre, a quello che sembrava uno dei leader del movimento ambientalista, i tubi di plastica e renderli inoperanti. Fa parte di questa loro protesta usare dei tubi di plastica nei quali poi infilano il braccio per incatenarsi ai macchinari in modo tale che risulta poi molto difficile allontanarli senza il rischio di ferirli.

Che cosa c’è sul terreno, o intorno ad esso, che interessa tanto gli ambientalisti?
Inizialmente sono state avanzate diverse “cause” ecologiche. “Rospi protetti”, “livello del fiume da tutelare”, presenza di un tipo di reseda (una pianta erbacea) protetta: ma ogni istanza è stata poi abbandonata perché smentita da uffici indipendenti specializzati nell’ambiente.

Il gruppo Les ami.es de la Bourges, in un comunicato, ha dichiarato: «La famiglia missionaria di Notre Dame è una congregazione religiosa cattolica tradizionalista. La congregazione ha l’obiettivo di costruire un complesso religioso su larga scala in questo piccolo villaggio di 400 abitanti. Una “capel” con 3.500 posti a sedere! È un progetto arrogante per una comunità religiosa». Più che “ambientaliste”, le ragioni sono ideologiche?
Un’ideologia antireligiosa è stata espressa con violenza in diverse manifestazioni del gruppo: «Rospi, non sacerdoti»; «Le vostre madri avrebbero dovuto abortire»; «Lascia perdere, Dio è morto»; «No ai cattolici integralisti»; «Se Gesù fosse vivo sarebbe eco-terrorista»: sono questi gli slogan che scandiscono nel protestare contro la costruzione della chiesa. Insomma, si capisce che la lotta non è ambientalista ma antropologica, culturale e religiosa.

La Chiesa ha sempre mantenuto e insegnato la sua impostazione equilibrata considerando il rapporto dell’uomo con la terra nei termini di una custodia e non di un dominio arbitrario.
Esatto. La nostra congregazione sostiene l’insegnamento costante della Tradizione della Chiesa che vede nel compito affidato da Dio all’uomo, agli albori della creazione (cfr. Gn 1,26), non una dominazione di distruzione, ma una dominazione di servizio. Dio chiama l’uomo a coltivare e custodire il giardino (cfr. Gn 2,15), come una partecipazione alla Sua opera creatrice.

Infatti, una delle principali idee ispiratrici del progetto è stata quella di creare un ambiente naturale intorno al sito della Madonna delle Nevi. La bellezza del sito sarà valorizzata: non ci saranno linee elettriche visibili e davanti alla chiesa sarà realizzata una zona boschiva e la parte posteriore sarà invece interamente preservata per valorizzare la bellezza naturale della valle.

Proteggere dall’inquinamento spirituale che distrugge l’atmosfera in cui può vivere lo spirito e che avvelena il cuore: da questo nasce il desiderio di costruire un nuovo complesso religioso?
È chiaro che stiamo vivendo in un’epoca segnata da diverse crisi: economica, antropologica, di fede. L’uomo contemporaneo spesso soffoca in quest’aria inquinata. Siamo convinti che il centro spirituale di devozione alla Madonna delle Nevi permetterà a tante persone di ritrovare, tramite l’incontro rinnovato con i Cuori di Gesù e di Maria, quell’atmosfera divina in cui, come dice il Salmo, «amore e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno». Solo nell’armonia ritrovata col Creatore si può arrivare all’armonia con sé stessi e con il creato.

Qualcuno ha provato a spiegare a chi vi perseguita che, tra le specie da proteggere, c’è anche quella umana?
La sfida maggiore sta probabilmente nell’aprire una conversazione in merito, ma qui non sembrano molto disposti a nessun tipo di dialogo.