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IL LIBRO

La storia segreta del Covid in un libro-inchiesta di Gatti

Gli errori commessi da scienziati e governi, i ricercatori mandati per più di un decennio dalle autorità comuniste cinesi a raccogliere escrementi di pipistrelli a fini di ricerca, le mistificazioni della Cina e dell’Oms, ecc. Basato su oltre 10.000 documenti e testimonianze inedite, ecco il libro-inchiesta del giornalista Fabrizio Gatti, “L’infinito errore. La storia segreta di una pandemia che si doveva evitare” (La nave di Teseo).

Attualità 21_05_2021

L’analisi di oltre 10.000 documenti, l’accesso alle banche dati che registrano l’identità genetica dei virus, testimonianze e informazioni inedite, sono le fonti di un’analisi seria, ben lontana dalla versione ufficiale di cui colpevolmente sembra che molti vogliano accontentarsi. È il lavoro che ha occupato per più di un anno Fabrizio Gatti, giornalista dell’Espresso, famoso per le sue inchieste realizzate in scenari pericolosi, per esempio in Africa lungo le rotte dei migranti e dei trafficanti di uomini. Gatti descrive nei minimi dettagli la catena di errori commessi dagli scienziati e dai governi, che avevano il dovere di prevenire e fermare il contagio. Ci svela gli esperimenti militari segreti in Cina, gli insufficienti standard di sicurezza di molti centri di ricerca di regime, le bugie dell'Oms sui legami del virus con le precedenti epidemie di Sars. Ripercorre il viaggio compiuto dal coronavirus dalle grotte infestate di pipistrelli ai laboratori cinesi, dove i nuovi agenti patogeni sono stati studiati in collaborazione con americani, australiani e francesi. E giunge fino alle nostre città, ai nostri ospedali e alle nostre vittime, per spiegarci come il virus sia arrivato da noi.

Si dimostra come la debolezza della politica, gli interessi dell’economia e la forza strategica della Cina, abbiano aperto la strada alla diffusione del virus. Ciò che più impressiona delle oltre 600 pagine, che si leggono con grande curiosità, è la mole e la qualità dei documenti riportati alla fine di ogni capitolo. A dimostrazione del fatto che ciò che racconta il giornalista non è inaffidabile dietrologia ma la pura verità, cercata con instancabile determinazione e con la capacità di porre le domande giuste (vera chiave di ogni indagine degna di rispetto). Gatti è serio e rigoroso, e parte da una profonda convinzione: “Ciò che conta in un’indagine, così come nella ricerca scientifica, non sono le risposte. La differenza la fanno le domande che si pongono: cosa si cerca, come lo si cerca e quando lo si cerca”. E l’inviato ha trovato tanto, non ha potuto svelare solo quello che è stato deliberatamente cancellato dalle autorità cinesi, come “lo strettissimo grado di parentela tra il coronavirus umano che stava colpendo gli abitanti di Wuhan e i due coronavirus isolati dai militari nei pipistrelli”. Spiega: “Se il presidente cinese ce lo avesse detto, forse non sarebbe andata così e il mondo avrebbe aiutato la Cina a isolare l’epidemia. La Cina sapeva, ma ha taciuto”.

Studenti e ricercatori per più di un decennio sono stati mandati dalle autorità cinesi nelle grotte infestate da pipistrelli, per raccogliere escrementi da utilizzare nella ricerca scientifica, visto che l’ultima epidemia di Sars era stata causata proprio da coronavirus provenienti da questi animali. Nessuno studio analizza però il rischio di contaminazione di questi ricercatori. Senza adeguate protezioni hanno vissuto e operato nelle caverne ed è molto probabile che in queste condizioni pericolosissime i coronavirus isolati abbiano fatto il salto di specie diretto dai pipistrelli all’uomo. I cercatori hanno poi diffuso il virus nei laboratori dove veniva studiato. Naturalmente la Cina tiene segreta tutta questa attività di ricerca precedente la pandemia, ma documenti e foto forniti da Gatti nel suo studio sono lì a farci vedere la faticosa vita dei cercatori di virus e il caos dei laboratori cinesi, denunciato persino dal Global Times, il quotidiano in lingua inglese controllato dal Partito comunista cinese. Del resto, nella prima parte del libro, il giornalista dell’Espresso smaschera senza sconti i metodi menzogneri, violenti e lesivi di ogni libertà del regime comunista cinese in ogni campo, dalle proteste giovanili di Hong Kong ai campi di prigionia per i “dissidenti” e per gli appartenenti alla minoranza islamica, fino al vergognoso traffico di organi.

Ma perché l’Italia è stata la prima a finire nelle fauci della tremenda pandemia? Uno dei motivi per cui la Cina, nonostante potesse dare l’allarme in quattro ore (come è riportato nei loro piani pandemici, all’avanguardia nella lotta alla diffusione dei virus), per un mese e mezzo ha negato la pandemia, è terribile: il virus arrivato nelle nostre case è parente strettissimo di due virus isolati e trasmessi poi nei ratti dai laboratori dell’esercito popolare cinese. E in Cina parlare di questioni militari è proibito, per cui addirittura i primi scienziati che avevano sequenziato il virus arrivato da noi, citando i due virus isolati dai militari, hanno visto chiudere immediatamente il loro centro di ricerca. Da qui il ritardo drammatico nel sequenziamento del virus che ci ha colpito. E l’Oms ha taciuto, si è piegata alla volontà della Cina. Come se non bastasse, ragioni economiche tutte italiane hanno spinto l’allora governo giallorosso ad accettare la versione ufficiale dell’Oms e del governo cinese. Pur essendo il nostro Paese informato del diffondersi del contagio nel gigante orientale, il ministro dei trasporti Paola De Micheli il 13 gennaio 2020 disponeva il raddoppio dei voli con la Cina, aprendo le porte all’arrivo da noi di migliaia di cinesi, proprio nel momento in cui a Wuhan si cominciava a morire. È stata una violazione palese dei piani di profilassi internazionale, soprattutto se si pensa che solo otto giorni dopo, il 21 gennaio, il premier Giuseppe Conte sarà informato del gravissimo rischio di epidemia dalla Protezione Civile.

Abbiamo così scoperto di avere il virus in casa quando era troppo tardi, sprovvisti com’eravamo persino di un piano pandemico aggiornato. Incredibile poi essersi privati, nelle prime settimane, di un numero cospicuo di indispensabili mascherine e di respiratori, che lo sprovveduto ministro degli Esteri Luigi Di Maio aveva gentilmente pensato di spedire a Pechino, segno della nostra leale collaborazione. D’altra parte la Cina, nella sua opera di depistaggio, aveva addirittura scelto di chiamare l’epidemia Covid e non Sars, come veniva definita la prima epidemia derivata dai pipistrelli nel 2003, provocando in tal modo il “deragliamento” di tutte le misure di prevenzione, che avrebbero potuto essere adottate ovunque. Al punto che il direttore dell’Oms e l’istituto di virologia di Wuhan hanno condotto una battaglia per togliere il nome Sars dal virus. Se invece si fosse ricordata l’analogia con la Sars, sconfitta a suo tempo grazie a efficaci misure di contenimento dal nostro medico-eroe Carlo Urbani (morto il 29 marzo 2003, vittima egli stesso di quel virus), sarebbe stato possibile proteggere milioni di cittadini nel mondo. Ma la dittatura guidata da Xi Jinping ha imboccato un’altra strada, quella dell’opacità e della mistificazione, purtroppo avallata dalle democrazie occidentali prone al gigante cinese, tra cui tragicamente anche l’Italia, che ha pagato le proprie improvvide scelte politiche ed economiche con più di 120.000 morti.