La signora è tornata indietro. Fine di Liz Truss
Nominata dalla regina Elisabetta II, ieri ha rassegnato le dimissioni nelle mani di re Carlo III. Pur avendo attraversato due regni, Liz Truss è stata la premier meno longeva della storia del Regno Unito: quarantacinque giorni. Un breve governo che può anche segnare la fine del conservatorismo, per come lo abbiamo finora conosciuto.
Era stata nominata dalla regina Elisabetta II, ieri ha rassegnato le dimissioni nelle mani di re Carlo III. Pur avendo attraversato due regni, Liz Truss è stata la premier meno longeva della storia del Regno Unito: quarantacinque giorni, di cui dieci sospesi per il lutto di Elisabetta II. Un record negativo assoluto. Come è stato possibile? Le risposte sono molte e potrebbero interessare anche noi, non solo i britannici.
Le dimissioni sono state annunciate da una Truss incredibilmente serena, con uno dei discorsi più brevi della sua carriera, meno di tre minuti. “Sono giunta al governo in un periodo di grave instabilità economica e internazionale”, ha premesso, come per scusarsi. Non ha accennato alle molte difficoltà delle ultime due infernali settimane, ma ha solo detto “Riconosco, data la situazione, di non poter rispettare l’impegno preso una volta eletta dal Partito Conservatore”.
Due le tappe della crisi nel suo brevissimo governo. L’annuncio del taglio delle tasse ha subito provocato uno shock nei mercati, con conseguente crollo della sterlina e ammonizione da parte del Fondo Monetario Internazionale. La crisi è stata solo tamponata con la sospensione del taglio fiscale e il licenziamento del Cancelliere dello Scacchiere (equivalente del ministro dell’Economia) Kwasi Kwarteng e la sua sostituzione con Jeremy Hunt. Il quale, di fronte ad un’impassibile Truss, ha annunciato alla Camera dei Comuni, la sua intenzione di cestinare e sostituire completamente la politica economica della premier appena eletta.
Seconda fase: con i consensi già ridotti ai minimi termini, la Truss ha messo in agenda il voto per sbloccare le operazioni di fracking per l’estrazione del gas sul suolo britannico. Il partito, spaccato, è stato richiamato all’ordine con metodi durissimi: chi non vota per il governo se ne va dal partito. Risultato: risse fra deputati e la “chief whip” (responsabile della disciplina interna) che minaccia le dimissioni. Nel frattempo anche il ministro dell’Interno, Suella Braveman, si licenzia. Quando era ormai chiaro che non vi fosse più una maggioranza a sostenerla, dopo un giorno dal voto sul fracking, ieri la Truss ha rassegnato le dimissioni.
Perché è bastato così poco? Ostentando una punta di razzismo, la stampa britannica (l'Economist giusto per dirne uno famoso), parla di "italianizzazione" della politica inglese. La stampa italiana, in compenso, ha la risposta pronta, automatica, dal 2016 ad oggi: colpa della Brexit. Sarebbe infatti l’uscita del Regno Unito dall’Ue a rendere il suo sistema politico insolitamente instabile. Ma la Brexit, spiegazione omnibus della stampa italiana per tutte le disgrazie britanniche, non c’entra nulla con le ultime due crisi di governo. Boris Johnson, che della Brexit era il campione, ha ottenuto, al voto, un chiaro mandato popolare. È stato il party gate, semmai, la sua violazione delle regole del lockdown, che lo ha travolto. Liz Truss, in compenso, era contraria alla Brexit, ma è stata travolta dall’onda di instabilità dei mercati causata dai suoi annunci (nemmeno dalle sue politiche, che non ha avuto il tempo di attuare, ma solo dagli annunci).
La Brexit, semmai, c’entra solo indirettamente. Proprio perché è fuori dall’Ue, il Regno Unito è molto più soggetto al “giudizio” dei mercati. Se un governo commette un errore, il mercato lo “condanna” subito con una fuga di capitali, o con altri segnali inequivocabili e immediati. L’errore che la Truss ha commesso è stato quello di annunciare un taglio delle tasse senza indicare le coperture, andando ad aumentare il debito pubblico. Anche altri governi lo hanno fatto, ma lei lo ha annunciato in un periodo di inflazione galoppante e di estrema incertezza. Quindi ha pagato subito e ha pagato caro. Nell’Ue questo non succede, perché il mercato è drogato dalle politiche europee, che sono in grado di ammortizzare quasi ogni shock. Ma non è un bene per noi: infatti gli errori che stanno commettendo ora li pagheremo, prima o poi. E non sapremo nemmeno perché.
La realtà dietro a questi continui ribaltoni (Cameron, May, Johnson, Truss, ora arriverà un quinto premier in sei anni) è quella di un Partito Conservatore profondamente spaccato sulla sua stessa ideologia, sulla sua stessa anima. Liz Truss era portatrice di un conservatorismo come lo avevamo sempre conosciuto: difesa dei valori tradizionali e libero mercato. Questo conservatorismo non è accettato dalle nuove correnti che, dalla premiership di Cameron in poi, dunque nell’ultimo quindicennio, caratterizzano la destra britannica: abbraccio dell’ecologismo, dei nuovi diritti, molto più statalismo. Il nuovo conservatore è una specie di laburista moderato e vede la Truss, o i thatcheriani vecchio stampo, come dei dinosauri. Benché sconfitti nelle elezioni interne, i nuovi conservatori hanno ripreso il sopravvento alle prime gravi difficoltà.
La Truss non ha avuto la determinazione necessaria per resistere all’assalto. “La signora non torna indietro”, diceva la Thatcher, a cui si ispirava. Lei invece è tornata subito indietro sulle tasse, guadagnandosi il nomignolo di “Lady U-Turn” (la signora che fa l’inversione a U) che le ha fatto perdere il consenso anche della sua corrente del partito. Ma alla fine, la sua uscita di scena può essere una sconfitta anche per il cattolicesimo britannico. Nel vecchio conservatorismo, quello thatcheriano, benché protestante, anche i cattolici potevano trovare spazio. Lo dimostrava la presenza di due cattolici praticanti nel governo Truss, quali Jacob Rees-Mogg (al ministero Imprese ed Energia) e soprattutto Theresa Coffey al ministero della Salute, strategico per tutte le questioni eticamente sensibili, a partire dal diritto alla vita. Ora in che mani finirà?