La rottura del 1054, una data troppo sopravvalutata
Nell’XI secolo ci fu una grave crisi tra Roma e Costantinopoli, che condusse alla rottura del 1054. Ma le tensioni erano di molto precedenti. Inoltre, la comunione con Roma proseguì ancora per diverso tempo. Spinte successive portarono allo scisma vero e proprio.
L'XI fu un secolo di grande prova per la Chiesa. La lotta senza esclusione di colpi per liberarsi dalle maglie del potere secolare (vedi qui) in Occidente veniva accompagnata da gravi tensioni con il patriarcato di Costantinopoli, che condussero allo scisma del 1054.
Questa data di “rottura” è stata troppo sopravvalutata; tensioni e fratture erano di molto precedenti, così come la comunione con Roma proseguì ancora dopo la data in cui la Santa Sede scomunicò il patriarca di Costantinopoli. La crisi più acuta si ebbe due secoli prima, quando un laico di nome Fozio (810 ca - 897), maestro di filosofia all'Università imperiale di Costantinopoli, venne scelto dall'imperatore Michele III (840-867) per divenire il nuovo patriarca della capitale dell'impero.
Cos'era accaduto? Michele III, non per nulla soprannominato “l'Ubriacone”, essendo molto giovane, decise di avvalersi della cooperazione dello zio Bardas (816-866), che divenne di fatto reggente dell'impero. Bardas aveva una moglie, ma iniziò una relazione illecita con la nuora. L'adulterio venne risaputo e il patriarca Ignazio I (797-877), che sia la Chiesa cattolica che quella ortodossa venerano come santo, gli rifiutò pubblicamente la Santa Comunione nel giorno dell'Epifania dell'858.
L'imperatore reagì, rimuovendo Ignazio e imponendo come nuovo patriarca Fozio, il quale in cinque giorni dovette ricevere tutti gli ordini, per essere poi ordinato vescovo; papa san Nicola I (820 ca - 867) non stette a guardare: egli fece subito valere il principio che, senza il consenso della Sede petrina, non era lecito ad alcuno deporre e nominare vescovi. L'Epistola 8 del Papa a Michele III costituiva una sintesi cristallina e decisa sulle prerogative della Sede di Pietro, in particolare sul diritto di esercitare un’immediata giurisdizione in tutto l'orbe. Principio che tradusse nella pratica nell'863, condannando Fozio e riabilitando Ignazio, nonostante un sinodo costantinopolitano di due anni prima avesse deciso il contrario.
Sia Fozio che l'imperatore rifiutarono di accettare la competenza del Papa sulle questioni che riguardavano Costantinopoli. Nicola I rispose proclamando nuovamente la piena potestà di cui Cristo stesso aveva investito l'apostolo Pietro e i suoi successori sulla Sede romana. La risposta greca fu una scomunica del Papa da parte di Fozio, che lo accusava di aver adulterato il Credo e introdotto una nuova dottrina, aggiungendovi il famoso Filioque. Il Papa, che nel frattempo era Adriano II (792-872), rispose con la condanna e la deposizione di Fozio (869) e fece firmare a tutti i vescovi convenuti a Costantinopoli per un Concilio la Formula di Ormisda, espressione della dottrina sul primato di Pietro.
Fozio fece spallucce rispetto alle sanzioni romane e rimase al suo posto. Fu papa Giovanni VIII (820 ca - 882) a cercare di ricomporre la rottura, accettando di riconoscerlo come patriarca di Costantinopoli, ma a precise condizioni: convocò un nuovo Concilio (879) nel quale, ancora una volta, venne espressa la dottrina della supremazia del Romano Pontefice su tutta la Chiesa, incluso il patriarcato di Costantinopoli, così come era stato fatto durante il Concilio di dieci anni prima. E volle che tutti i vescovi, Fozio incluso, la approvassero. È di fondamentale importanza notare che di nuovo i vescovi intervenuti nell'assise, incluso Fozio, sottoscrissero questo insegnamento; e di fatto riconobbero questa suprema potestà del Papa quando egli decise, come segno di riconciliazione, di annullare le decisioni del Concilio dell'869 (che aveva condannato Fozio).
La lunga parentesi degli scontri con il patriarca di Costantinopoli va dunque compresa per quello che storicamente emerge: il primato dei successori di Pietro era stato calpestato di fatto, perché premessa necessaria per continuare a rivendicare la legittimità della propria autorità sulla sede di Costantinopoli, di fronte alla deposizione che proveniva da Roma; ma fu successivamente accettato sia in linea di diritto, con l'accettazione della lettera di Giovanni VIII, sia di fatto, quando Fozio ammise che il Papa aveva l'autorità di annullare le decisioni disciplinari di un concilio precedente.
La situazione che si venne a creare con il patriarca Michele Cerulario (1000-1059) non fu molto dissimile. Il casus belli non riguardava infatti il primato del Papa, ma la questione degli azzimi. Le chiese dell'Italia meridionale, l'Italia bizantina, vennero uniformate agli usi latini, come appunto quello di utilizzare pane non lievitato come materia dell'Eucaristia, anziché il pane fermentato. Il vescovo Leone di Ocrida, con il consenso del Cerulario, inviò una lettera all'arcivescovo di Trani, mettendo addirittura in dubbio la genuinità dell'Eucaristia dei Latini e accusandoli che, con l'utilizzo del pane azzimo, non erano «né giudei né cristiani». In sostanza, si trattava di ritenere che gli usi latini non solo si distaccavano dalla tradizione greca, ma erano persino eretici.
Michele Cerulario optò per la rappresaglia: dispose di chiudere le chiese di rito latino nel territorio di Costantinopoli e fece profanare le ostie consacrate, sostenendo appunto l'invalidità dell'Eucaristia celebrata con pane azzimo. Papa Leone IX (1002-1054) incaricò il cardinale Umberto da Silva Candida († 1061) di rispondere al Cerulario. Una lettera dai toni non proprio conciliatori, ma che di fatto ravvivò alla memoria del patriarca di Costantinopoli la giurisdizione del successore di Pietro sulla Chiesa universale, dal momento che Cerulario rivendicava una pari autorità e autonomia.
Il Papa inviò a Costantinopoli una delegazione di suoi legati, tra i quali lo stesso cardinale Umberto; ma Cerulario trovò pretesti per sottrarsi al loro giudizio e arrivò ad impedirgli di celebrare la Santa Messa. La risposta fu una solenne scomunica, comminata il 16 luglio 1054, all'ora terza, al patriarca, a Leone di Ocrida e al sacellario Costantino. Nessun altro membro della Chiesa costantinopolitana fu colpito dalla sanzione, né alcun altro vescovo diede sostegno a Cerulario. È importante sapere che, nemmeno cinquant'anni dopo, il patriarca Nicola III Grammatico (+1111) rendeva noto a papa Urbano II (1042-1099) che non vi era traccia di scisma e che il nome del Papa veniva regolarmente pronunciato nei dittici, durante la Divina Liturgia, ad indicare che l'episodio del 1054, pur nella sua gravità, non aveva coinvolto tutta la Chiesa di Costantinopoli e ancor meno tutte le Chiese d'Oriente.
L'incomprensione della questione degli azzimi e dell'inserimento del Filioque nel Credo andò tuttavia gradatamente a logorare la dottrina del primato, che i Greci avevano fino ad allora accettato, e allontanò sempre di più i due mondi. Due spinte più forti portarono ad un totale distacco con la Chiesa latina: dapprima il sacco di Costantinopoli del 1204 e, in modo ancora più definitivo, il rifiuto del Concilio di Firenze del 1439.
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