La rivoluzione conservatrice della giustizia americana
Una volta confermata alla Corte Suprema la nuova giudice conservatrice cattolica Amy Coney Barrett, cosa cambierà? Rimarrebbe deluso chi cercasse effetti e ricadute sulle elezioni presidenziali. Le nomine dei giudici, a tutti i livelli, da quello distrettuale fino alla Corte Suprema, è una rivoluzione conservatrice della giustizia americana, già compiuta. Ed è una buona notizia.
Una volta confermata alla Corte Suprema la nuova giudice conservatrice cattolica Amy Coney Barrett, cosa cambierà? Rimarrebbe deluso chi cercasse effetti e ricadute sulle elezioni presidenziali: ben 54 milioni di americani (quando questo articolo va online) hanno già votato e dunque non hanno fatto a tempo ad essere condizionati da questa vittoria di Trump al fotofinish. Difficilmente vi potrebbero essere dei cambiamenti nelle intenzioni di voto: sia la politica (come dimostra il voto in Senato) che l’opinione pubblica ha dimenticato cosa voglia dire “bipartisan”, dunque per tutti gli elettori di sinistra la Barrett non avrebbe neppure dovuto essere nominata, per quelli di destra è invece un’assicurazione sulla vita del conservatorismo, anche nel caso (più che probabile) che Trump perda le elezioni. Per cercare il reale significato della nomina della Barrett e degli altri giudici nominati in questi quattro anni occorre andare oltre le logiche elettorali. Stiamo infatti parlando di uno scontro culturale e giuridico pluri-decennale che va ben oltre i quattro anni di mandato di un presidente.
Prima di tutto è bene considerare le dimensioni del fenomeno. Le tre nomine di giudici supremi sono quelle più evidenti che fanno notizia in tutto il mondo, ma sono solo la punta di un iceberg di una rivoluzione giudiziaria. Oltre ai tre giudici supremi, infatti, sono stati nominati da Trump e confermati da un Senato a maggioranza repubblicana anche 53 giudici d’appello e 143 distrettuali, oltre a 2 per le corti commerciali internazionali. Altri 45 attendono la conferma in Senato, ormai scontata di qui a gennaio. Con più di 200 magistrati già nominati, il volto dei tribunali americani è già cambiato, a prescindere da chi vincerà le prossime elezioni. La rivoluzione conservatrice è stata resa possibile da una scorrettezza commessa dai Democratici, paradossalmente. Quando il Senato aveva una maggioranza democratica, per la nomina dei giudici, l’allora leader della maggioranza, Harry Reid, fece ricorso alla maggioranza semplice (51 a 49) cambiando la regola che richiedeva una maggioranza qualificata, di almeno 60 senatori. Se prima un giudice doveva essere quantomeno accettato anche dall’opposizione, nell’era progressista di Obama, invece, si pensò di superare questo “orpello”. E la partigianeria di allora si è ribaltata contro l’attuale opposizione, quando il Senato è tornato saldamente in mani repubblicane.
La scelta dei giudici, da parte dell’amministrazione Trump (un imprenditore estraneo agli ambienti conservatori almeno fino al 2016) è stata molto coerentemente conservatrice. Ad aiutare il candidato presidente a selezionare le nomine erano stati soprattutto l’avvocato Donald McGahn, poi consulente legale della Casa Bianca e Leo Leonard, della Federalist Society, fondata nel 1982 per contrastare la deriva militante liberal nella magistratura. Come ricordato da McGahn, nel 2017, la Federalist Society sottopose al presidente due liste alternative di nomi di giudici supremi papabili, una più bipartisan, accettabile anche dai Democratici e l’altra più coerente, anche se più “impresentabile” agli occhi di opposizioni e mass media. Trump ha cestinato la prima e tenuto la seconda.
Ma cosa distingue, realmente, un giudice conservatore da uno progressista? Un conservatore è essenzialmente un “originalista” e un “testualista”, termini cari al compianto giudice supremo Antonin Scalia, come abbiamo già visto nel discorso iniziale delle audizioni di Amy Coney Barrett. Originalista è chi dà alla legge l’interpretazione originaria di chi l’aveva scritta. Testualista è chi applica la legge per come è scritta. L’opposto, insomma, della scuola giuridica progressista, che re-interpreta le leggi in base allo spirito del tempo. Quali sono le ricadute pratiche di questa differenza? Il progressista tende ad essere militante, con la sua interpretazione della legge mira a creare leggi nuove attraverso le sue sentenze (che fanno giurisprudenza). Il conservatore no: tende a mettere da parte i suoi giudizi di valore per applicare quel che è già stato scritto e ritiene che il compito di cambiare eventualmente le leggi sia dei politici eletti, non dei giudici. Paradossalmente, mentre i progressisti temono che una conservatrice cattolica come Amy Coney Barrett sia ispirata dalla sua fede più che dalla legge degli Stati Uniti, l’approccio conservatore alla giustizia è quello più laico, nel senso pieno del termine, a favore di una vera separazione dei poteri. E’ semmai il giudice progressista che tende ad essere più politico nel suo approccio, a favore di uno Stato etico che cambia gli usi e i costumi del popolo anche in questioni fondamentali quali l’aborto, le nozze gay, l’eutanasia. Lo abbiamo visto anche in Italia dove, proprio su questi temi, la magistratura più militante ha spesso preceduto il legislatore. Un originalista, come la Barrett ritiene di essere coerentemente cattolica rimanendo fedele al testo della Costituzione, che riconosce e protegge i diritti naturali.
Cosa è lecito attendersi dai nuovi giudici? E’ ormai difficile, quando non impossibile, tornare indietro. Probabilmente nemmeno una super-maggioranza conservatrice potrebbe invertire la sentenza Roe vs. Wade che ha legalizzato l’aborto su scala nazionale nel 1973. Ma è possibile contenerla, o limitarla, soprattutto a livello statale. Idem dicasi per le nozze gay, ormai legalizzate su scala nazionale dalla sentenza Obergefell vs. Hodges del 2015. Mentre sulle battaglie che devono essere ancora affrontate, sicuramente un originalista alla corte suprema può veramente svolgere il ruolo di freno ad una deriva progressista e militante. Per questo, persa la battaglia, i Democratici vogliono ancora cambiare le regole. Appena nominata la Barrett, la deputata ultra-progressista Alexandria Ocasio Cortez ha immediatamente proposto la riforma della Corte Suprema, per ampliare il numero dei giudici e far saltare la maggioranza conservatrice.