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ORA DI DOTTRINA / 37 - IL SUPPLEMENTO

La preghiera e quel segreto inaspettato - Il supplemento

La preghiera dev’essere spontanea, deve nascere dal cuore, non deve essere meccanica. Sono espressioni vere, ma non dicono tutto della preghiera. L'evangelico Thomas Howard inizia un'esperienza del tutto nuova per la sua comunità: ogni giorno alle 17 in punto smette di lavorare e inizia a recitare le stesse preghiere. Così facendo scopre uno dei più grandi segreti della preghiera....

Catechismo 18_09_2022

La preghiera dev’essere spontanea. La preghiera deve nascere dal cuore. Non bisogna pregare in modo meccanico. Sono tutte espressioni che circolano negli ambienti religiosi devoti, che appaiono come evidenti e che sembrano non ammettere contraddittorio. Perché una disciplina della preghiera, di testi precostituiti, di una regolarità di modi e di tempi ci danno subito l’idea di qualcosa di noioso, di non autentico, di “impostato”. Qualcosa che, in altre parole, non può e non deve entrare nel rapporto con Dio.

Nella sua permanenza biennale in Inghilterra, Thomas Howard inizia un’esperienza nuova, irreperibile nella comunità evangelica di Philadelphia, in cui era stato formato alla fede. Ogni sera, alle 17.00, puntualissimo, chiudeva i suoi libri di studio nella biblioteca, attraversava la strada ed entrava nella cappella dell’Università per la preghiera serale: venti minuti di salmi, orazioni e letture bibliche, che si ripetevano ciclicamente; nessuno spazio per l’estro e per la spontaneità; nessuna concessione a quella “libertà dello spirito” che riteneva così necessaria per una preghiera autentica.

Quell’appuntamento serale corrispondeva esattamente al modello di preghiera che nella sua comunità di origine aveva imparato a bollare come decadente, distante dalla vivacità della “Chiesa primitiva”: «Per quanto riguarda la Chiesa, pensavo che avesse perso ben presto il suo zelo pentecostale. E naturalmente essa si era adagiata nella routine». Era l’idea più mitica che reale della Chiesa apostolica, brevemente dipinta negli Atti degli Apostoli a provocargli un’avversione istintiva verso questa routine; era l’assenza nei testi del Nuovo Testamento di riferimenti espliciti ad una precisa regola della preghiera a spingerlo verso l’idealizzazione di una preghiera più “spirituale”: «Non mi veniva in mente che altri, prima di me – decine di migliaia e di milioni di loro – si erano sforzati di pregare e che la loro esperienza avrebbe potuto essermi di aiuto. Non mi veniva in mente che il libro degli Atti e le Epistole non hanno mai preteso di fornire un’immagine della Chiesa così come si sarebbe declinata nel lungo corso di quella vigilia che è la storia». Howard riconoscerà che il principio della sola Scriptura lo aveva portato lontano dalla “saggezza della Chiesa”.

Invece, sera dopo sera, gli si dischiudeva un orizzonte inatteso e insperato: egli si rendeva progressivamente conto che «la disciplina abilita, la struttura rende liberi». Espressioni che, in un mondo come il nostro, suonano decisamente come un ossimoro; San Benedetto avrebbe al contrario benevolmente sorriso di fronte all’ovvietà. Testi quotidianamente ripetuti come il Nunc dimittis o il Magnificat erano in grado di scavare qualcosa nel cuore dell’uomo di ogni tempo - incluso il suo -, di operare dei cambiamenti profondi e duraturi, che sforzi decennali non erano stati capaci di compiere: «Come dei cortesi tutor o dei vecchi saggi, essi mi parlavano in modo solenne e autorevole, sistemandomi, riorganizzando le mie priorità capovolte, e conducendomi ancora una volta in quel centro dove l’anima umana si trova a casa».

Ma è solo una preghiera intesa come disciplina e combattimento ad essere in grado di ricondurre l’anima umana “a casa”, nel suo centro, ove abita Dio stesso. Il culto nella chiesa di St. Andrew, la preghiera serale nella cappella dell’Università e poi il libro Preces Privatae del vescovo anglicano Lancelot Andrewes, che ordinava la preghiera quotidiana, gli insegnavano giorno dopo giorno che accostarsi a Dio nella preghiera «non ha nulla a che fare con quanto uno sente», bensì con quanto uno fa. Bisogna porre degli atti di preghiera ordinati, ripetitivi, collaudati dalla tradizione della Chiesa, i quali «lungi dall’essere un dovere scialbo, ordinano la tua vita, la sostengono e le danno un ritmo». Non che non si senta il peso della preghiera, o che non si possa rimanerne appesantiti; ma si impara a lottare, ad andare contro le proprie sensazioni, il proprio stato d’animo, sapendo che il frutto della perseveranza nella preghiera è impagabile.

I momenti di consolazione interiore, quando la sensazione sostiene l’azione, quando soffia il vento in poppa, non sono un male, ma non costituiscono la quotidianità; essi sono piuttosto imprevedibili e instabili. «Questa disciplina mi ha insegnato che la vita di preghiera, se dev’essere qualcosa di più di un evento sporadico, per uno come me che non può dipendere dal fervore per andare avanti, dev’essere regolata e indipendente da inclinazioni effimere, come mangiare e dormire lo sono nella vita fisica». Non si può mangiare solo quello che alletta il gusto; non si può bere solo se si ha voglia: la mensa è precisamente ciò che è misurato (participio passato del verbo mētĭri), seconda una giusta misura, conforme ai bisogni dell’uomo.

Entrare nel flusso continuo della preghiera, che sgorga dalle Scritture e percorre le valli di duemila anni di storia del Cristianesimo, ogni volta arricchendosi e purificandosi, lo porta anche a comprendere che la dimensione dello sforzo personale sta soprattutto nel rimanere dentro questo corso, senza farsi abbagliare da rivoli laterali, che finiscono inevitabilmente dentro delle secche: «[Questa disciplina] mi ha anche insegnato, o meglio, ha iniziato ad insegnarmi che la preghiera è ben lontana dall’essere solo qualcosa che proviene dai miei sforzi. Mi trovo con una innumerevole compagnia di intercessori davanti alla Sede della Misericordia in favore di tutti gli uomini, ovunque. La preghiera è salita incessantemente dagli uomini giusti fin dall’inizio dei tempi, come il fumo dell’incenso. Se ancora non posso concepire me stesso come un membro davvero esemplare di questa compagnia, posso almeno aspirare ad essere uno di quegli uomini che prega ogni giorno per tutti».