La nuova etica procedurale della capsula per suicidarsi
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In Svizzera sono scattate le manette per gli operatori di Sarco, la capsula per suicidarsi. Il motivo? Perché non sono state rispettate le leggi, non perché si è data la morte a una persona. Il male si è burocratizzato.
Sarco. Così si chiama perché ricorda un sarcofago. Solo che nei sarcofagi venivano messi i cadaveri ed invece nel Sarco ci finiscono le persone vive per poi diventare cadaveri. Ne avevamo già parlato a suo tempo: Sarco è una capsula dove la persona entra, preme un pulsante e infine viene liberato nella capsula dell’azoto che provoca prima il sonno della persona e poi la sua morte. Questa bara per vivi e morituri è stata ideata da Philip Nitschke, il fondatore di Exit International, un'organizzazione pro eutanasia.
Per la prima volta lunedì è stata utilizzata in Svizzera. L’associazione di aiuto al suicidio The Last Resort (L’ultima risorsa) l’ha messa a disposizione di una donna statunitense di 64 anni che ha fatto collocare la capsula nel mezzo di una foresta nel canton Sciaffusa e poi è spirata al suo interno. In Svizzera l’aiuto al suicidio è legale, ciò nonostante sono scattate le manette per alcune persone. Cerchiamo di capirne il motivo.
Come da comunicato della Polizia di Sciaffusa, il capo di imputazione per questi sospettati è stato quello di istigazione e aiuto al suicidio per motivi egoistici. L’art. 115 Codice penale elvetico così recita: «Chiunque, per motivi egoistici, istiga alcuno al suicidio o gli presta aiuto è punito, se il suicidio è stato consumato o tentato, con una pena detentiva sino a cinque anni o con una pena pecuniaria». Dunque il reato non è consigliare a qualcuno di uccidersi o aiutarlo a togliersi la vita, bensì fare tutto questo mossi da motivi egoistici. La Polizia non ha voluto indicare i nominativi delle persone sotto custodia e quindi è anche difficile solo intuire se c’è fondamento a questo tipo di accusa.
Ma non finisce qui. Ci sono alcune criticità legali inerenti proprio all’uso di questa capsula. Il consigliere federale Elisabeth Baume-Schneider, rispondendo a un quesito durante la tradizionale Ora delle domande al Consiglio nazionale, ha dichiarato: «La capsula per suicidio Sarco, presentata lo scorso mese di luglio dall'associazione The Last Resort, non è conforme alla legge sotto due aspetti». In primo luogo «la capsula non soddisfa i requisiti sulla sicurezza dei prodotti. Per questo non dovrebbe quindi essere immessa sul mercato». In secondo luogo «l'uso dell'azoto al suo interno non è compatibile con la legge sui prodotti chimici».
Ora appare paradossale che una macchina pensata per dare la morte non sia sicura, tanto insicura che c’è scappato il morto. Probabilmente il consigliere federale alludeva alla sicurezza di terze persone. Interessante poi il rilievo della Baume-Schneider che l’azoto non andrebbe bene per uccidere le persone secondo la normativa vigente.
Il problema è dunque duplice. Il primo: puoi aiutare qualcuno a morire a patto che lo fai in modo disinteressato – non per motivi egoistici, recita la legge – ossia se non ne ricavi un utile. Il primo problema apre la porta ad altre difficoltà. Con quale strumento valutare una mozione dell’animo come le motivazioni interiori? Come sondare e quindi appurare i motivi egoistici? Attraverso gli atti, eventualmente gli scritti e le testimonianze? Strumenti imprecisi visto l’oggetto dell’indagine. Un’altra difficoltà è la seguente: quando un motivo è egoistico? Quale criterio usare? Aiutare la nonna affetta da demenza senile ad andarsene perché affranti dal dolore di vederla così poco lucida è un motivo egoistico? Collaborare al suicidio di una persona non tanto perché si è vicini alla sua sofferenza ma perché si crede nell’eutanasia è un motivo egoistico? Tali incertezze interpretative sono lesive del principio di tassatività delle norme penali che impone di delimitare con precisione e chiarezza il confine tra ciò che è legittimo e ciò che non lo è.
Un secondo problema è legato al fatto che, come visto, l’azoto non sarebbe sostanza legittima per uccidere. Dunque le persone sotto custodia sono in carcere non perché hanno aiutato qualcuno a morire, ma perché hanno aiutato qualcuno a morire non rispettando le norme vigenti. Il problema è quindi meramente procedurale. Se la signora americana fosse morta tramite intervento farmacologico, come si usa nella clinica elvetica Dignitas, nessuno sarebbe finito dietro le sbarre. Questo ci porta a dire che si è perso completamente di vista l’aspetto morale principale della vicenda: è moralmente illecito aiutare qualcuno a suicidarsi. Tale aspetto è stato sostituito da una preoccupazione puramente procedurale. La condotta antigiuridica è dunque solo quella che non rispetta alcune procedure. Il male si è burocratizzato.
Non è questione che riguarda solo l’aiuto al suicidio in Svizzera, ma più ampiamente buona parte delle condotte contrarie ai principi non negoziabili: in Italia ad esempio non puoi accedere al suicidio assistito se non rispetti i quattro criteri indicati dalla Consulta. Finisci poi nei guai con la giustizia se abortisci o ricorri alla fecondazione artificiale in strutture non deputate a farlo. È la nuova etica. L’etica procedurale.