La missione navale Ue nel Mar Rosso è diversa da quella americana
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Mar Rosso, l'Ue lancia l'Operazione Aspis per la scorta alle navi mercantili. Mentre continua il lancio di missili degli Houthi. Una missione difensiva, diversa da Prosperity Guardian a guida Usa.
Nel Mar Rosso meridionale continuano a intensificarsi i raid anglo-americani contro le basi delle milizie Houthi e i lanci di missili e droni da parte di questi ultimi contro le navi mercantili in transito e quelle militari statunitensi. Il cacciatorpediniere americano ha abbattuto un missile antinave lanciato dal territorio yemenita mentre il Regno Unito ha annunciato che dispiegherà in quell’area una delle sue due portaerei, la Prince of Wales, nel momento in cui la portaerei statunitense Eisenhower verrà ritirata da quelle acque. «Noi cooperiamo con gli americani e siamo disponibili a colmare eventuali vuoti» degli alleati, si è limitato a commentare il ministero della Difesa britannico.
L’operazione a guida statunitense Prosperity Guardian sembra quindi voler intensificare lo scontro con gli Houthi (nei giorni scorsi il Washington Post ha rivelato piani Usa per un conflitto prolungato) che ha già costretto il 90% del traffico mercantile che attraversava il Mar Rosso a deviare lungo la più lunga rotta intorno all’Africa proprio mentre l’Unione Europea si appresta a varare una propria missione autonoma conosciuta col nome di Aspis (o Aspides) e che vedrà impegnate navi tedesche, francesi, italiane e forse di altri partner Ue.
L'alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la Sicurezza comune, Josep Borrell, ha annunciato a margine del Consiglio Difesa informale in corso a Bruxelles che a breve verrà definito il comando della missione a cui aspirano Grecia, Italia e Francia.
«Il mondo delle imprese ci sta chiedendo di lanciare questa missione a causa dei costi che comporterebbe la rotta alternativa che le navi sarebbero obbligate a percorrere dal Sudafrica: noi puntiamo a lanciare l'iniziativa il 19 febbraio», ha aggiunto Borrell. L'alto rappresentante ha ricordato che la missione Aspis si occuperà «di intercettare gli attacchi degli Houthi verso le navi commerciali», ma senza «partecipare a nessuna operazione armata contro il gruppo di ribelli. Non tutti i Paesi europei parteciperanno, ma chi non vorrà farlo ha già dichiarato che non ostacolerà il lancio della missione», ha detto ai giornalisti con un chiarito riferimento alla posizione assunta dalla Spagna, schieratasi al fianco della causa palestinese in seguito all’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza (vicenda che costituisce la motivazione degli attacchi Houthi ai mercantili in transito diretti in Israele o di proprietà di armatori israeliani).
Tale missione si aggiunge all'operazione Atalanta, avviata dall'Ue nel 2008 per contrastare il fenomeno della pirateria nel Corno d'Africa ma anche all’Operazione Emasoh Agenor in atto da tre anni nel Golfo Persico per garantire la sicurezza dei traffici marittimi.
La Grecia si era proposta per assumere il comando della missione navale, come ha detto il ministro della Difesa greco, Nikos Dendias, aggiungendo che Atene proporrà inoltre di insediare "quartier generale dell'operazione" nella base di Larissa. Anche l’Italia si era detta pronta, con il ministro della Difesa Guido Crosetto, ad assumere la guida dell’operazione navale di scorta ai mercantili mentre la Francia ha posto la candidatura più “pesante”, potendo mettere sul piatto della bilancia le sue basi navali ad Abu Dhabi e soprattutto a Gibuti, che si trova proprio di fronte alle coste yemenite controllate dagli Houthi.
Francia e Italia sono al momento le uniche nazioni Ue a schierare già navi militari nello Stretto di Bab el Mandeb, al momento poste sotto comando nazionale, mentre la Grecia sembrava inizialmente disposta ad aderire all’operazione guidata dagli Stati Uniti, che hanno peraltro appena autorizzato cospicue forniture ad Atene che includono 40 caccia F-35.
L’Operazione Aspis, se riuscirà a dispiegarsi in tempi ragionevoli (forse entro fine febbraio) e ad avere le dimensioni e le capacità militari necessarie a scortare e proteggere il traffico mercantile, potrà ridare all’Europa un ruolo distinto e autonomo dall’egemonia anglo-americana. Un ruolo quanto mai necessario dopo che gli attacchi anglo-americani, invece di neutralizzare la minaccia Houthi stabilizzando l’area dello Stretto di Bab el Mandeb, hanno solo ingigantito la reazione delle milizie yemenite.
Come era stato preannunciato da diversi osservatori, i raid anglo-americani non hanno stabilizzato la situazione perché non hanno compromesso le ampie capacità degli Houthi di assemblare e impiegare (con l’aiuto iraniano) droni e missili contro il traffico mercantile. Il risultato ottenuto è stato invece l’opposto, determinando un’escalation il cui prezzo lo pagherà in termini economici l’Europa e soprattutto l’Europa mediterranea, già provata dal conflitto in Ucraina.
Non è un caso che, nonostante le pressioni di Washington, nessuna nazione araba partecipi all’operazione Prosperity Guardian e la Ue questa volta sembra volersi ben guardare dal mischiare i propri interessi e i propri militari con quelli di Londra e Washington. Resta tuttavia da chiedersi perché Bruxelles non abbia aperto un canale di comunicazione e negoziato con gli Houthi per ottenere garanzie circa il transito dei mercantili europei dallo Stretto del Bab el-Mandeb. Perché nessun inviato della Ue è mai andato a Sana’a a parlare con gli Houthi?
Certo si tratta di una milizia e non di uno stato riconosciuto, ma lo erano anche i talebani con cui gli USA hanno stretto accordi per riconsegnare loro l’Afghanistan così come Israele negozia da sempre con Hamas ed Hezbollah.
Alcuni sostengono che gli Houthi siano terroristi ma lo era anche l’Ira con cui Londra ha negoziato la fine della guerra civile in Ulster. In fondo gli stessi Houthi hanno negoziato accordi con sauditi ed emiratini per far cessare i bombardamenti con missili e droni su porti, aeroporti e raffinerie nel Golfo Persico e concludere la guerra nello Yemen scoppiata nel 2015, con un accordo che ha visto la milizia sciita rappresentare un interlocutore diretto delle Nazioni Unite.