La marcia cattogay: lesbiche "predicano" dall'altare
A Pescara una coppia di lesbiche racconta dall'altare l'amore Lgbt tra «lunghi abbracci», «dolcezza degli occhi» e «mani delicate». Il parroco fa pure la direzione spirituale; a Parma il vescovo in campo per i cristiani Lgbt mentre il fedelissimo di Zuppi che dispensa i gay dalla castità entra nelle parrocchie di Modena, Reggio e Ferrara. A Trento il settimanale diocesano sostiene la settimana Lgbt e a Bolzano la pastorale per la famiglia ha uno sportello apposito su fede & omosessualità. La marcia per sdoganare l'omosessualità nella Chiesa è inarrestabile.
Dietro la cortina fumogena dell’espressione clericale “superamento dell’omotransfobia”, in realtà si cela il progetto di introdurre nella Chiesa prassi di accettazione della condizione e della vita omosessuale. Ne sono prova le ormai decine di “veglie”, che anche quest’anno da maggio a giugno sono state svolte in numerose diocesi italiane.
Si parla di omotransfobia, come se quella di non discriminare i gay secondo il linguaggio contemporaneo, che ha partorito obbrobri giuridici come la legge Zan e il gay pride blasfemo di Cremona sia diventata l’urgenza di una Chiesa in uscita, che non sa cos’altro proporre all’uomo d’oggi - l’altro tema forte sono le ideologie ambientaliste -, se non gli episodi spesso ingigantiti ad arte di discriminazione nei confronti degli omosessuali.
In realtà, a scavare a fondo, si comprende che l’obiettivo di queste operazioni non è quello di arginare l’omofobia, pericolo inesistente nelle cronache, ma dare un via libera all’omosessualità in ambito cattolico, tacciando di omofobia chiunque si opponga ad essa, fosse anche il magistero e la tradizione della Chiesa.
I preti – e i vescovi – che portano avanti questa agenda sono consapevoli attori di questo processo, spalleggiati dal nuovo corso Vaticano e da sempre più numerosi cardinali, teso a non chiamare più peccato il rapporto gay, tanto che oggi possiamo assistere persino a prediche dall’altare che mirano ad illustrare ai fedeli quanto sia conforme al volere di Dio una relazione omosessuale. È quanto è accaduto, ad esempio, a Montesilvano, in provincia di Pescara, in una di queste veglie il 17 maggio scorso.
Nella chiesa parrocchiale della Beata Vergine del Carmelo di Montesilvano, il parroco dopo aver invocato lo Spirito Santo lascia parlare Daniela e Arianna, che raccontano dall’ambone il loro rapporto omoerotico. È tutto nero su bianco dal minuto 26, quando Daniela, ad un certo punto, spiega che ha scoperto di essere lesbica dopo che alcune relazioni eterosessuali non avevano funzionato e soprattutto dopo aver perso ben 43 kg di peso per provare a piacersi di più, si è resa conto che in realtà era innamorata di un’altra donna.
«Un sentimento mai provato prima – ha detto – ma la purezza di amare contrastava con la paura del giudizio e del rifiuto. È stato difficile, ma l’amore e la felicità erano arrivate anche per me», ha raccontato non prima di elencare – siamo ancora sull’altare della chiesa – i palpiti “d’amore” che hanno scandito la sua personalissima “rivelazione”: «Volevo stare accanto ad Arianna e mi sono ritrovata in un suo abbraccio per ore ed ore, c’era tutto il mondo – ha raccontato con tratti vagamente erotizzanti con accanto l'ostensorio -. Mi sono innamorata di lei, è stato naturale, delicato, sono rimasta colpita dalla dolcezza, dagli occhi, dalle sue mani piccole e delicate, dal sorriso che portava il sole nella mia vita».
Insomma, afflati che neanche il Cantico dei Cantici potrebbe eguagliare e in tutto questo tsunami di emozioni e palpiti, Daniela e Arianna si sono chieste se tutto questo fosse per caso voluto dal Signore. La risposta affermativa è nella logica fallace del sillogismo: «Il Signore ci ha fatto trovare, non ci siamo cercate, ma riconosciute e dato che il Signore non sbaglia mai, significa che non ha sbagliato sul mio orientamento sessuale. Credo che sia davvero amore».
Nel racconto c’è anche spazio per l’accettazione della Chiesa. Il parroco Don Valentino, infatti, «ci accompagna nel percorso di coppia» per – sono parole di Arianna - «coltivare il nostro amore».
Insomma: dopo le ambiguità degli ultimi anni, nelle quali, le veglie erano tentativo per sdoganare il falso vittimismo omosessuale e spalancare le porte all’agenda omosessualista, il piano prosegue ora con l’ostentazione di testimoni della causa gay, effusioni sull’altare comprese e direttori spirituali. Omosessuali, dunque, che non hanno alcun problema a presentarsi mano nella mano in chiesa e a occupare lo spazio sacro con un proclama che chiamano testimonianza, termine curioso che rimanda ai martiri, ma che invece è una palese rivendicazione di orgoglio omosessualista.
Ritengono che la Chiesa debba benedire la loro unione come buona, giusta e voluta dal Signore. E chi lo contesta, è appunto omofobo, come questo articolo sicuramente apparirà ai loro occhi. Funziona così per quelli che credono di lavorare per la Chiesa mentre in realtà è la Chiesa che pretendono lavori per loro, per giustificare ciò che la Parola di Dio invece ha condannato senza appello.
Ma la storia di Daniela e Arianna è solo la punta dell’iceberg di un movimento sotterraneo che quest’anno ha implementato le sue tappe dentro le chiese: a Parma, per giunta, è stato il vescovo in persona Enrico Solmi a presiedere la veglia organizzata da un’associazione di Cristiani Lgbt. Cristiani, e non solo cattolici, perché queste iniziative spesso si fanno sotto la campana dell’ecumenismo insieme ai valdesi, confessione quest’ultima molto liberal in tema di sessualità & affini.
E pure a Ferrara, Reggio Emilia e Modena dove, il “cerimoniere” è sempre lo stesso: quel don Paolo Cugini (in foto), che della causa omoeretica dentro la Chiesa è uno dei principali artefici. Nel 2018 destò clamore nella parrocchia di Reggio Emilia da lui retta, la prima veglia e dopo un periodo di sette mesi di missione in Amazzonia e un altro di discernimento sulla sua vocazione, Cugini è tornato in Emilia, ma non più a casa, bensì in diocesi di Bologna. Qui è entrato in amicizia con il vescovo – e neopresidente Cei – il cardinale Matteo Maria Zuppi, che non solo gli ha dato una parrocchia, ma lo ha anche degnato della sua penna per firmare insieme un libro. E si sa che se Zuppi crede in un progetto editoriale non disdegna di mettere la sua firma, come testimonia la sua prefazione all’edizione italiana di Building a bridge, il libro-manifesto del gesuita padre James Martin, considerata la “Bibbia” della causa cattogay e il libro del redattore di Avvenire Luciano Moia Chiesa e omosessualità.
Insomma, con coperture così in alto, e simpatizzanti dell'agenda omo, don Cugini scorrazza qua e là per la via Emilia a portare avanti e indietro il "vangelo" Lgbt nel nome dell’inclusione e della non discriminazione. Discriminazione che non lo tocca, del resto, quando ad essere discriminati sono la fede e il sentimento religioso, come accaduto per il pride di Cremona e le note “Madonne blasfeme”. Ma si sa che il sacerdote ha per la causa gay una predilzione particolare tanto da dispensare gli omosessuali dalla castità «perché è già un giogo difficile per noi preti», frase questa che non ha mai smentito e che resta ancora un problema dottrinale non di poco conto per un sacerdote a cui il presidente Cei affida un compito così gravoso.
Il tour termina in Trentino-Alto Adige. È qui che il settimanale diocesano Vita trentina ha dedicato una pagina intera per pubblicizzare la settimana di eventi Lgbt impreziosendo il lavoro con un’intervista a due travel blogger omosessuali che, abbracciandosi, lamentano di ricevere insulti. Sarà, ma nulla come il turismo gay oggigiorno è tutelato e foraggiato dal mercato.
Restando sulle Alpi, si segnala anche l’iniziativa della diocesi di Bolzano dove l’ufficio diocesano di pastorale famigliare ha insediato un apposito sportello rivolto a fede & omosessualità.
Dalle Alpi all’Adriatico, la causa cattogay corre veloce e occupa spazi. O come piace dire al primo inquilino di Santa Marta, apre processi.