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IL CASO CREMONA

Cristianofobia, l'unico odio ammesso dall'omertà gay

Sindaco e vescovo prendono le distanze dalle immagini blasfeme del Cremona pride, ma tutti sono allineati all'omertà Lgbt e nessuno ammette che è il gay pride ad essere progettato ontologicamente per essere cristianofobo e come tale va contrastato: questa falsa indignazione porterà ad accettare pride clericalmente corretti, privi di bambole e mascheramenti blasfemi, ma in cui trionferà l'ideologia anticristiana. Mentre il vescovo dice che c'è da pregare per il dialogo e contro le discriminazioni, 100 fedeli e solo tre preti riparano fuori dalla cattedrale. (VIDEO)

Libertà religiosa 07_06_2022

È inutile prendere le distanze da una blasfemia al gay pride. È il gay pride ad essere intrinsecamente e ontologicamente anticristiano. Condannare le “Madonne desnude” e i Gesù Cristi arcobaleno, come se stigmatizzare un eccesso consentisse di accettare però tutto il resto, è una scappatoia troppo comoda e l’assist perfetto per organizzare dei futuri gay pride clericalmente corretti: senza mascheramenti blasfemi, ma in fondo accettati nella loro portata distruttiva anti cristiana e anti umana perché anti creazionista.

Le lobby gay non aspettano altro. Sarebbe l’ultimo errore di una Chiesa che non ha saputo affrontare e prendere il gaio toro scatenato per le corna dicendo quello che è: una diabolica manifestazione nella quale l’orgoglio gay di facciata rivela una rivendicazione di odio verso Dio. Il pride è ormai un problema di libertà religiosa, non di rivendicazione. 

A Cremona, dove immagini blasfeme hanno sfilato nel corso del Cremona pride di sabatoin fondo è stato fatto quello che ogni gay pride è progettato per fare: ferire al cuore una Chiesa che i clan omosex avversano di un odio di conquista, per costringere la Chiesa a cambiare la verità sulle relazioni omosessuali anche se un movimento sempre più influente al suo interno lavora per farlo condizionando le gerarchie e orientandone le politiche.

Diversamente, se si trattasse di un incidente di percorso, di uno sgambetto non voluto, avremmo i cantori del love is love prendere per primi le distanze di fronte ad un’offesa alla fede: avremmo Vladimiro Guadagno in arte Luxuria ergersi per primo a difesa del sentimento religioso così orrendamente vilipeso dai suoi compagni di cordata; vedremmo Alessandro Zan (parlamentare e organizzatore a sua volta di pride simili), tuonare contro l’odio e la discriminazione e auspicare un’estensione di repressione nel suo vergognoso progetto di legge anche per questi campioni di libertà, ascolteremmo pastori illuminati e teologicamente includenti come James Martin o come Aristide Fumagalli pretendere un trattamento di rispetto verso la Chiesa mentre loro portano avanti la corretta agenda dell’omoeresia e dei cristiani Lgbt+. Avremmo le guide scout del’Agesci, la cui deriva omosessualista è sempre più evidente, difendere il sentimento religioso. Leggeremmo di deputati e giornalisti liberal alla Gramellini o alla Selvaggia Lucarelli, sempre pronti a stracciarsi le vesti per i soprusi, tuonare.

Invece non c’è nulla di tutto questo, tutti sono opportunamente omertosi di fronte a queste performance che delineano sempre più quella gay, come un’ideologia anti cristiana che affascina anche tanti cantori della Chiesa aperta e del dialogo.

Di dialogo e di dolore ha parlato infatti il vescovo di Cremona, in un comunicato insufficiente che in fondo accetta le premesse del pride: «Esprimo dolore per la presenza di immagini offensive ed evidentemente blasfeme che non possono avere alcun valore educativo o comunicativo di valori e diritti», ha detto Antonio Napolioni in un comunicato. Perché, invece, il resto delle immagini che si vedono nei cortei, dei corpi nudi e profanati, delle rivendicazioni politiche sull’utero in affitto che accompagnano i cortei del pride senza tirare in ballo la Chiesa comunicano forse valori? Difendono diritti? Basterebbe quindi per essere accettabili, non eccedere ed essere un po’ più educati?

È significativo, ma al Rosario di riparazione recitato domenica sera davanti alla cattedrale di Cremona, su 100 laici, erano presenti soltanto tre preti e a guidare la preghiera non era uno di loro. Segno che i laici hanno ben presente la necessità di riparare pubblicamente questo atto, molto più del clero che dovrebbe invece guidare il popolo affidatogli. E anche questo vorrà pur dire qualcosa. Ma le diocesi, purtroppo, sono ormai strette nella morsa di ordini di scuderia che arrivano da troppo in alto per poterli scansare. Con la promozione dell’agenda gay dentro la Chiesa, il vescovo si adegua come può. Per questo, sentir parlare Napolioni di diritti, dialogo e discriminazioni, in fondo fa parte del copione, peccato che non si accorga che è la sua Chiesa che viene discriminata.

E vorrà pur dire qualcosa se il sindaco di Cremona, che ha concesso entusiasta il patrocinio al pride partecipandovi in prima persona e definendosi entusiasta, si limita a condannare anche lui la blasfemia come un semplice incidente di percorso. «Fa più notizia il gesto sbagliato, volgare e sciocco di dieci incivili che i colori e l’entusiasmo di migliaia di persone», ha detto Gianluca Galimberti, primo cittadino con un passato di attivista nell’Azione Cattolica. Ma anche per lui, il pride non si tocca, tanto che appena 24 ore prima della manifestazione che con orgoglio aveva sponsorizzato con i soldi dei contribuenti diceva: «A chi mi chiede se c’era proprio bisogno di questo Cremona pride, rispondo: Sì. C’era proprio bisogno».

Ma quello che sindaco e vescovo non riescono ad accettare perché ormai avviluppati nell’ideologia gaia è che la blasfemia è solo il sintomo: il male è il gay pride in sé. Un evento che ormai ha preso possesso di un mese, giugno, che tradizionalmente – o guarda caso – è dedicato al Sacro Cuore di Gesù e che in ogni sua manifestazione non manca di irridere la fede cristiana mentre i suoi adepti gridano alla discriminazione o pretendono di chiudere la bocca con leggi liberticide agli stessi di cui si fanno beffe.