La manovra del popolo: pochi vantaggi, tanta confusione
Nella manovra faticosamente portata a casa a fine anno, ci sono sicuramente misure positive che riducono qualche imposta per le imprese, migliorano le agevolazioni per la maternità, aumentano le pensioni minime. Ma nel complesso si caratterizza negativamente per diversi motivi; soprattutto per garantire le misure-simbolo (reddito di cittadinanza e quota 100 per le pensioni) si è trovato i fondi con interventi che danneggiano il popolo.
- APPALTI PUBBLICI DIRETTI, PORTA APERTA ALLA CORRUZIONE, di Ruben Razzante
Non è certamente tutta da criticare la manovra che faticosamente il Governo giallo-verde ha portato a casa alla fine dell’anno. Non è “tutta” da criticare perché ci sono molte misure positive che tagliano qua e là le tasse sulle imprese, che riducono le imposte sul lavoro autonomo, che migliorano i bonus e le agevolazioni per la maternità, che aumentano le pensioni minime, che introducono nuovi sussidi per i poveri e i disoccupati.
Ma questa manovra del Governo che si è autonominato “del cambiamento” si caratterizza negativamente soprattutto per quattro caratteristiche:
- è una manovra che ripercorre con tutti i difetti le manovre dei governi precedenti di destra o di sinistra: un insieme di tagli, ritagli e modifiche senza nessuna visione complessiva e con la volontà di dare mance, mancette e agevolazioni a pioggia con una logica del tutto clientelare ed elettorale;
- è una manovra che non affronta in maniera strutturale lo squilibrio dei conti pubblici, anzi aggiunge un deficit fissato nel 2,04% interrompendo un percorso che aveva portato negli ultimi anni a stabilizzare il debito pubblico;
- è una manovra imposta al Parlamento, bloccando qualunque tentativo di discussione e di modifica;
- è una manovra uscita da un duro quanto assurdo confronto con l’Unione europea: duro perché iniziato sotto il segno del “non si indietreggia di un millimetro”; assurdo perché rispettare le regole e gli accordi europei era considerato un vincolo, mentre nella realtà si trattava di limiti e condizioni nello stesso interesse dell’Italia.
E’ così che il Paese, e in particolare i risparmiatori, ha pagato a caro prezzo ad una velleitaria posizione anti-europea esaltata fin dai primi giorni. Il rialzo dei tassi di interesse, di pari passo con la sfiducia che si è diffusa sui mercati finanziari sulla capacità del Governo di mantenere sostenibile il debito, ha provocato una perdita di valore rilevante e stimato nell’ordine dei cento miliardi. Un valore che non si è spostato da una parte ad un’altra, ma che è semplicemente andato in fumo. E’ stata una tassa occulta che il Governo ha imposto nella più classica logica della stupidità: far del male ad un altro senza avvantaggiare se stessi.
Fortunatamente il realismo delle cose si è alla fine imposto anche perché era sempre più evidente che il Paese sarebbe stato esposto a rischi crescenti. Qualcuno deve aver spiegato ai responsabili del Governo che nei primi mesi del 2019 si sarebbe trattato non solo di cercare almeno in parte i capitali per finanziare il deficit (il 2% vale una quarantina di miliardi), ma anche di rifinanziare i titoli di Stato in scadenza (un centinaio di miliardi nei primi tre mesi) in una situazione in cui non si può più contare sulla politica accomodante che ha contraddistinto negli ultimi tre anni la Banca centrale europea. Il problema sarebbe stato non solo quello di pagare più alti tassi di interesse, ma anche quello di convincere i risparmiatori ad aprire il portafoglio: e l’ultima prova, nel novembre scorso, con l’offerta in gran parte inevasa dei BTp Italia, è stata un significativo campanello d’allarme.
In pratica la manovra è nata in uno scenario in cui il Governo si è complicato la vita da solo nel tentativo di dimostrare a parole che era necessario (e sufficiente) fare diversamente dal passato.
Alla fine accanto agli interventi positivi di cui abbiamo accennato all’inizio si sono tuttavia ritrovati una serie di interventi che hanno la caratteristica di andare nella direzione esattamente opposta agli interessi del popolo. Basti citarne due. La prima: il taglio delle agevolazioni fiscali alle società non profit, un taglio dapprima difeso e su cui rapidamente si è fatta marcia indietro, anche se solo con la promessa di una “ricalibratura”. La seconda: il blocco della perequazione per gran parte delle pensioni al di sopra del minimo.
Nella volontà di trovare le risorse per finanziare le due misure simbolo del Governo (il reddito di cittadinanza e la quota cento per andare in pensione) si sono messi insieme interventi che non aiuteranno certo le famiglie e le imprese. Senza dimenticare il fatto che vengono ridotti gli investimenti indispensabili alla crescita del Paese e che si prospetta un blocco del tutto ideologico delle grandi opere, come l’alta velocità tra Torino e Lione.
In pratica se l’ingrediente fondamentale per rilanciare il Paese è la fiducia, di questa se ne vedono poche ragioni. Anzi.