Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Giovedì Santo a cura di Ermes Dovico
INTERVISTA ESCLUSIVA

La mamma e il papà di Alfie: «Ecco chi è nostro figlio»

Chi sono Thomas e Kate, i genitori di Alfie Evans? Come riescono a resistere a pressioni continue e a non perdere la speranza di fronte all'amministrazione di un ospedale molto potente che vuole uccidere il loro bambino e ad un giudice che giudica la sua vita «inutile»? L'intervista della NuovaBQ, raccontando la scoperta di essere genitori, il cambiamento della loro vita e il potere che loro figlio ha su di loro e sul mondo. "Dio ha dato ad Alfie i suoi diritti. Per lui abbiamo rinunciato a tutto, e questo ci ha resi felici".

- LA DOLOROSA LETTERA DI THOMAS AL VESCOVO

- L'APPELLO DELLA FAMIGLIA AL VESCOVO E AL PAPA - di Benedetta Frigerio
- ALFIE, LA POSTA IN GIOCO, di Riccardo Cascioli II ENGLISH VERSION
- DOSSIER: LA BATTAGLIA DI ALFIE

Attualità 15_04_2018

DA LIVERPOOL. È un vero schiaffo per il potere vacillare a causa di due ventunenni della classe popolare di Liverpool. Uno smacco vederli tenere testa all’amministrazione di un ospedale molto potente, sfidare tribunali e resistere per mesi a pressioni fortissime e continue, svelando ad un mondo dimentico che cosa vuol dire essere padri e madri. E dimostrando di avere più stoffa, tenacia, virilità e femminilità della media degli adulti della classe agiata, che oggi non regge nemmeno più la responsabilità di mettere al mondo dei figli.

Ma chi sono Thomas e Kate, i genitori di Alfie Evans? In questi giorni hanno raccontato alla NuovaBQ che provengono dallo stesso quartiere della periferia di Liverpool, sono fidanzati da quando avevano sedici anni. Lei seconda di quattro figli. Lui ottavo di nove. Lei cresciuta in una famiglia di tradizione protestante, lui cattolico. Ma c’è qualcosa che sfugge alla loro provenienza vedendoli tener testa ai giornalisti, non smettere di sperare e di lottare quando loro figlio è condannato a morte solo perché disabile e sorvegliato in ospedale da decine di poliziotti. E soprattutto sentendoli ragionare come se la mentalità nichilista, vittimista, stanca e depressa di oggi non avesse influsso su di loro.

Thomas, come vi ha cambiato Alfie?
Che domanda...È nato. 

Ricominciamo. Com’era la vostra vita prima e com’è adesso?
Alfie ha cambiato molto la nostra vita. Eravamo giovani quando è nato, messi di fronte alla più grande responsabilità che la vita ti può chiedere. Quindi ci siamo sentiti benedetti, incoraggiati e curiosi di vedere come saremmo cambiati. Questo cambiamento ci ha fatto maturare. Poi, siccome non avrei mai e poi mai voluto che la nostra famiglia si dividesse, allora da quel momento ho voluto che fossimo solo io Kate e Alfie insieme per sempre. Avremmo fatto la stessa esperienza, avremmo imparato insieme, avremmo dormito insieme, avremmo sorriso insieme, avremmo pianto, avremmo combattuto insieme.

Poi Alfie si è ammalato, cosa è successo Kate?
Ha cominciato ad avere degli episodi convulsivi, ho visto che c’era qualcosa che non andava, ma non si capiva bene perché era piccolo. Mi aspettavo di scoprire qualcosa che non andava, ma non è mai sembrato gravemente malato perché era un bambino ed era sempre meraviglioso. 

Thomas, che cosa pensavi delle preoccupazioni di Kate? 
Lei ha capito subito che qualcosa non andava, è un istinto, loro due hanno un attaccamento reciproco, qualsiasi cosa Alfie provava lei lo capiva molto più di me, lo riconosceva molto più di me, lo vedeva molto più di me. Come giovane coppia con poca esperienza cercavo di negare quello che Kate sosteneva. Mi diceva che c’era qualcosa che non andava e io le rispondevo di no, di dargli tempo. Ma lei da madre insisteva con me, con i dottori, con la mia famiglia, dicendo che Alfie non stava bene e che dovevamo fare degli accertamenti. Era lei da sola contro tutti. Alla fine siamo venuti all’Alder Hey e Kate spiegava ai dottori che c’era qualcosa che non andava, eravamo nel migliore ospedale di tutto il Nord Ovest, ma loro ci dicevano che non avevamo esperienza e che il bambino non aveva nulla prima ancora di averlo esaminato.

Cosa accadde poi?
Fu Kate a spiegare ai medici, alle nostre famiglie e a me quale era il problema, ma loro la smentivano dicendo che era giovane e che loro sapevano più di tutti quello di cui parlavano e che Alfie sarebbe stato bene. Quindi io pensai che in un paio di giorni lo avrebbero dimesso ma Kate continuava imperterrita a dire di “no”. Io stesso, da papà, pensavo che fosse lei a sbagliarsi. Ero convinto che saremmo andati presto a casa e che saremmo stati felici. Invece aveva ragione.

Nonostante questo i medici non si fidano ancora di voi. Cosa si prova?
Ci dicono ancora che siamo dei ragazzini, davvero ti senti manipolato. Come se fossi uno stupido. Ma noi non siamo stupidi. Sì, io posso pure dire qualche stupidata, come quando ho detto che Alfie sarebbe potuto andare in piscina, ma dai, non ho mai detto che avrebbe nuotato, che si sarebbe tuffato in piscina, ma che ci sarebbe andato nelle sue condizioni di bambino disabile, insieme a me e a Kate. Saremmo stati insieme per fargli fare questa esperienza e faremo di tutto per fargliela fare. Ma lei come mamma che non si è mai sbagliata è stata ignorata, sentendosi dare della bambina. Sì, Kate ha frequentato i corsi al college di hair stylist e make up, quindi non ha studiato medicina, eppure capiva più di loro. 

È così Kate?
Sì, penso che una mamma lo capisca, lo vedo tutti i giorni qui in ospedale.

Quando avete concepito Alfie avevate 18 anni, non pochi nella vostra condizione avrebbero abortito. Non ti è mai venuto in mente Kate?
No, mai. Non è mai stata un’opzione.

Thomas?
Siamo insieme da quattro anni, quando abbiamo avuto Alfie lo eravamo da due e mezzo e quindi il rapporto era già consolidato. Quando è rimasta incinta Kate era molto più felice di me, ve lo posso garantire (ride). Perché dicevo: «Oh, ho solo 18 anni, sono ancora giovane. Non sono ancora potuto entrare in un club, non so nemmeno che cosa sia». Ma lei mi disse: «Avremo un bambino, io non abortisco, questo è mio figlio». Se fai l'amore sai le possibili conseguenze. Non dico questo perché siamo credenti o perché lo abbiamo programmato, ma perché una volta che hai un bambino è lì, è tuo. Beh più suo che mio, sfortunatamente. Ma una volta che l’ho preso in braccio, è diventato mio (ride). Comunque Kate durante tutta la gravidanza sapeva quale responsabilità avrebbe dovuto affrontare, ma non ci ha mai ripensato. 

Al papa avete chiesto asilo politico in Vaticano, parlate di Alfie come di un figlio di Dio. Cosa significa per voi la fede?
Kate è nata in una famiglia protestante. Solo io e Alfie siamo battezzati cattolici. Quando ero piccolo andavo a Messa, credo in Dio e so che Dio ha dato ad Alfie i suoi diritti. 

Siete giovani e vi sono già stati chiesti sacrifici enormi. 
Per Alfie abbiamo rinunciato a tutto nella nostra vita, ma abbiamo voluto farlo e siamo stati felici di farlo.

Parlate di felicità quando vostro figlio di due anni non dice una parola ed è fermo in un letto di ospedale. Come ve lo spiegate?
Il suo volto, il suo corpo, la sofficità della sua pelle... Alfie è una parte di me. Alfie ha conquistato il cuore di Kate e il mio. E una volta che ha conquistato il tuo cuore non pensi più a te stesso. Pensi solo ad Alfie. Non pensi più a te individualisticamente. Sì, Alfie ci ha allargato il cuore. 

Kate, puoi dire lo stesso?
Alfie riesce a unire le persone, le cambia, ha unito le nostre famiglie. Ha fatto tanto.

Passate il giorno e la notte con vostro figlio, dormendo pocchissimo. Come vivete le lunghe ore nella sua stanza?
Ne vale semplicemente la pena. Lo amo, è mio figlio. Dicono che siamo egoisti perché vogliamo che Alfie continui a vivere, ma se fossimo veramente egoisti spegneremmo il ventilatore, lo lasceremmo morire e torneremmo alla nostra vita. Può non sorridere, non fare fare i risolini, ma chissà cosa può succedere in futuro? Nessuno è Dio. Voglio dire, c’è qualcuno che può spiegarci come siamo venuti al mondo, per esempio? So che ci sono teorie, ma la scienza non spiega tutto: non sa dire sempre perché succedono certe cose e non altre. E in ogni caso se voglio prendermi cura del mio piccolo, indipendentemente dal fatto che si svegli o meno, devo poterlo fare senza essere giudicata male. Dicono che non ha dignità, ma è solo un bambino di due anni, non potrebbe comunque fare le cose da solo, qualcuno dovrebbe comunque pulirgli il sedere fino a quando avrà cinque anni. Capite cosa voglio dire? È solo un bambino. Quindi perché se non soffre nemmeno non possiamo continuare a prenderci cura di lui. Anche se non fa quello che fanno gli altri bambini, Alfie compie la nostra vita. Il solo fatto di averlo qui con noi ci dà la forza di andare avanti, ci riempie la vita. Alfie è un sogno. 

Thomas?
Quando vedo Alfie sento solo amore e calma, positività e benedizione. Mi sento benedetto. Tutto il mio corpo si sente benedetto, mi sento come un angelo. Le cose stanno così, anche se so che è strano da dire, ma mi sento come in un sogno con questo bambino così bello, nato da me e da Kate. Forse quando Kate lo guarda magari può soffrire e il cuore batte sempre più forte, ma in ogni caso io mi sento benedetto, come se volassi, non so se è mai successo anche a voi. È la cosa più bella di tutto l’universo. Non esiste nessuno come Alfie Evans.