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LA CUCINA LETTERARIA / 3

La letteratura si fa sapore: il risotto alla milanese di Gadda

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In un testo sorprendente, Risotto patrio. Rècipe, Carlo Emilio Gadda si trasforma in cuoco-poeta. Scrive con ironia e reverenza, mescolando termini tecnici, dialettali e mitologici, per celebrare un vero e proprio rito: il risotto alla milanese.

Cultura 28_07_2025

Dietro le contorsioni linguistiche e le nevrosi esistenziali di Carlo Emilio Gadda (1893-1973) si cela una voce unica e irripetibile della letteratura italiana del Novecento tanto che Elio Gioanola lo definisce «il maggiore scrittore italiano di pieno Novecento», mentre Gianfranco Contini lo colloca accanto ad Alessandro Manzoni e Carlo Porta come uno dei grandi milanesi della parola.

Come molti intellettuali del suo tempo, Gadda non nasce umanista: si laurea in Ingegneria, pratica la professione per anni, ma è la scrittura il suo vero demone. Contini, che lo conosce bene, lo paragona a Manzoni per la nevrosi, ma con una differenza sostanziale: «Della sua nevrosi Gadda non fa che discorrere. […] Della sua, Manzoni parlava il minimo indispensabile». Eppure Gadda ama Manzoni, lo legge fino agli ultimi giorni, ne percepisce la «tragica sinfonia» sotto la scorza pedagogica.

Il caos come cifra del reale

Nei suoi romanzi, Gadda non cerca la linearità. Al contrario, la sua scrittura è un pastiche linguistico: latino, dialetti, tecnicismi, neologismi. Non è esercizio stilistico, ma deformazione espressionistica della realtà, un modo per smascherare le ipocrisie borghesi e restituire il caos del mondo. Il comico in tutte le sue sfumature (dal grottesco all’umorismo) è l’arma dello scrittore.

Con La cognizione del dolore Gadda raggiunge il vertice della sua introspezione nevrotica. Nel romanzo tutto resta irrisolto, come in un giallo senza soluzione. Il linguaggio diventa difesa, maschera, labirinto. Il lettore è trascinato in una spirale verbale che può stancare, ma anche affascinare.

In Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, invece, il commissario Ingravallo cerca di mettere ordine nel disordine, ma fallisce. L’assassinio di Liliana Balducci resta senza colpevole. Il caos trionfa.

Il risotto alla milanese: una visione del mondo

Eppure, in mezzo a questo universo di nevrosi e disordine, Gadda trova spazio per celebrare un rito tutto milanese: il risotto alla milanese. Lo fa in un testo delizioso e sorprendente, Risotto patrio. Rècipe, pubblicato nel 1959 sulla rivista Il Gatto Selvatico e poi incluso in Verso la Certosa (1963). L’ingegnere-scrittore si trasforma in cuoco-poeta. La ricetta diventa un’ode alla precisione, alla qualità, alla tradizione.

Quali sono gli ingredienti? La scelta del riso è già una dichiarazione di intenti: il Vialone, dal chicco grosso e tozzo, non interamente sbramato, con «veste lacera» di pericarpo, è il preferito dagli intendenti lombardi e piemontesi. Gadda lo descrive come una «monade leibniziana», che deve mantenere la propria individualità anche dopo la cottura. Il riso non deve impastarsi, né aggrumarsi: ogni chicco deve restare sé stesso, come l’uomo nel caos del mondo. Il recipiente ideale è la casseruola di rame stagnato, con manico di ferro, ormai scomparsa dalle cucine moderne. In sua assenza, Gadda concede l’uso dell’alluminio, ma con rassegnazione. Il soffritto si prepara con cipolla tenera, burro lodigiano e un mestolo di brodo di manzo. Il burro deve «untare ogni chicco, non annegarlo»: niente intingoli sozzi, niente margarina, niente burro che sa di saponette. Il vino rosso è «non da prescrizione obbligativa», il parmigiano è «appena ammesso».

Gadda scrive con ironia e reverenza, mescolando termini tecnici, dialettali e mitologici. Esculapio e Giove Xenio fanno capolino tra i fornelli. Il risotto diventa metafora della milanesità, ma anche della sua visione del mondo: un ordine possibile, una perfezione raggiungibile, almeno in cucina. In un mondo dove tutto è caos, il risotto alla milanese è l’unico piatto che può — forse — essere cucinato alla perfezione. Ma anche qui, Gadda non rinuncia alla sua ironia: «Siamo nel secolo della specializzazione», dice il personaggio, e si potrebbe pensare che anche il cuoco debba essere ingegnere.

La ricetta gaddiana

Qual è dunque la ricetta che ci propone Gadda? In una casseruola di rame stagnato si fa sciogliere il burro lodigiano insieme alla cipolla bianca tritata finemente e a un mestolo di brodo di manzo. Il soffritto deve avvenire dolcemente, senza fretta, affinché la cipolla si intenerisca e il burro si amalgami senza bruciare. Quando il fondo è pronto, si aggiunge il riso Vialone poco alla volta, mescolando con un mestolo di legno: ogni chicco deve rosolarsi e indurirsi leggermente.

A questo punto si comincia a versare il brodo caldo gradualmente, sempre mescolando con cura per evitare che il riso si attacchi o si impasti. Dopo qualche minuto, si aggiunge il brodo zafferanato, preparato a parte sciogliendo lo zafferano in una piccola quantità di brodo bollente: il colore deve virare verso il giallo intenso, quasi arancio, ma senza eccedere in tonalità canarine, che Gadda riserva agli stomaci timorati.

A metà cottura, si unisce il midollo di bue, tagliato in porzioni e rimestato delicatamente nel composto, affinché si sciolga senza invadere. La cottura prosegue per circa venti minuti, durante i quali il risotto prende corpo, profumo e consistenza. A fine cottura, si procede alla mantecatura con un poco di burro fresco e, se gradito, una spolverata di parmigiano grattugiato, purché non invadente: il chicco deve restare sé stesso, non affogare in una melma indistinta.

Il risotto va servito immediatamente, ben caldo, magari accompagnato, in base alla stagione e alla disponibilità, da funghi freschi trifolati (a settembre) o da scaglie di tartufo nero (dopo San Martino), «a opera di premuroso tavolante», che sappia onorare il piatto e gli ospiti con la dovuta reverenza.

Con Risotto patrio Gadda ci regala una pagina memorabile, in cui la cucina diventa letteratura e la letteratura si fa sapore. Un invito a cucinare con cura e a leggere con gusto.