Madagascar, la rivolta della generazione Z porta al potere i militari
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Il Madagascar è uno dei paesi più poveri e disastrati del mondo, nonostante le sue ricche risorse. Una rivolta giovanile, causata dall'esasperazione della mancanza di servizi, ha innescato un golpe militare contro il presidente Rajoelina.

Un altro paese africano è in mano ai militari. Il 12 ottobre un reparto scelto dell’esercito ha preso il potere in Madagascar approfittando delle manifestazioni di protesta che per alcune settimane hanno trasformato la capitale Antananarivo e diverse altre città del paese in un campo di battaglia. A organizzarle sono stati i giovani della Generazione Z, così si chiamano in tutto il mondo i ragazzi nati dopo il 1997, che inaspettatamente sono riusciti a scuotere da rassegnata inerzia gli abitanti di uno dei paesi africani più poveri e a far scendere per strada una massa di persone come da almeno 15 anni non succedeva.
All’origine delle proteste sono state la rabbia e la disperazione per la carenza di servizi pubblici essenziali, per la mancanza di prospettive per i giovani, in gran parte disoccupati o impiegati in attività saltuarie, irregolari, anche se hanno conseguito titoli di studio che li avevano indotti a sperare per il futuro.
Il 75% dei malgasci, che sono poco meno di 33 milioni, vive sotto la soglia di povertà. Il tasso di povertà raggiunge l’80% nelle aree rurali e addirittura il 91% nelle regioni meridionali e sud orientali. In concreto vuol dire, ad esempio, che la speranza di vita alla nascita è di 63 anni (in Italia è quasi di 84 anni), che 392 donne muoiono di gravidanza e parto ogni 100mila nascite, che 50 bambini ogni mille muoiono prima di aver compiuto cinque anni. Secondo alcune stime, il reddito pro capite reale oggi è addirittura inferiore a quello del 1960, l’anno in cui il Madagascar, colonia francese dal 1897, ha ottenuto l’indipendenza. Si stenta a crederlo, tanto più conoscendo le notevoli ricchezze naturali del paese. Ma la storia del Madagascar indipendente lo rende plausibile: instabilità politica persistente, colpi di stato, la lunga, rovinosa dittatura di Didier Ratsiraka dal 1975 al 2002 (con un breve intervallo di quattro anni), la promessa di stabilità e sviluppo, subito però tradita dai leader successivi, eletti ma con pesanti e fondate accuse di brogli, e ancora un colpo di stato nel 2009 che ha dato il potere al presidente destituito il 12 ottobre dai militari, Andry Rajoelina, poi rieletto per due volte nel 2019 e nel 2023.
Ogni nuovo governo si è distinto per livelli di corruzione e disinteresse per la cosa pubblica. Sono malgasci, tra l’altro, alcuni degli esempi più scandalosi di land grabbing: la vendita o affitto di ampie estensioni di terreni a privati e paesi stranieri a prezzi irrisori togliendo i mezzi di sostentamento a intere comunità locali. La vendita più eclatante, quella alla società sudcoreana Daewoo di 1,3 milioni di ettari di terre per produrre grano e olio di palma, suscitò rivolte e proteste che nel 2009 fecero cadere il governo del presidente Marc Ravalomanana, un industriale che aveva ispirato fiducia nel 2002 quando con il suo partito “Io amo il Madagascar” aveva promesso di risollevare il paese adottando finalmente politiche economiche e sociali efficaci. Anche le razzie di capi di bestiame, una guerra tra poveri in tutto il continente, in Madagascar hanno assunto proporzioni insostenibili. Rubare degli zebù era stata una prova di virilità durante i riti di iniziazione. Con il tempo invece è diventato un traffico spesso con la complicità di funzionari e impiegati amministrativi che forniscono ai ladri documenti di proprietà falsi. Senza portare ricchezza ai ladri, razzie, rappresaglie e incursioni per recuperare il bestiame rubato hanno provocato migliaia di morti.
Il 19 settembre a provocare la scintilla è stato l’arresto di due leader politici che avevano indetto una manifestazione pacifica nella capitale per protestare contro le continue interruzioni della corrente elettrica e della fornitura di acqua potabile. “Vogliamo acqua, vogliamo luce elettrica”: gridando questo e altri slogan nei giorni successivi folle sempre più imponenti hanno sfilato sfidando le autorità. Come sempre succede in Africa, quasi subito però le proteste sono degenerate. Sono incominciati gli atti vandalici, le rapine, i saccheggi nei negozi, gli incendi. Il 25 settembre il governo ha ordinato il coprifuoco e misure repressive drastiche. Gli scontri tra dimostranti e forze di sicurezza sono diventati più violenti. Gli agenti hanno sparato ad altezza d’uomo. Secondo gli organizzatori delle manifestazioni sono state uccise almeno 22 persone.
A quel punto i dimostranti hanno deciso di chiedere le dimissioni del presidente. Il 1° ottobre Rajoelina ha provato ad accusare alcuni ministri, poi ha licenziato tutto il governo. Non è stato abbastanza. Il 3 ottobre, mentre le manifestazioni continuavano, ha chiesto un dialogo con i loro rappresentanti che è stato rifiutato. Il 9 ottobre ha chiesto un anno di tempo per risolvere i problemi più pressanti del paese assicurando che se non ci fosse riuscito allora avrebbe dato le dimissioni. Ma intanto dei militari avevano incominciato a unirsi alle proteste. L’11 ottobre il Capsat (Corpo di Amministrazione del Personale e dei Servizi Tecnici e Amministrativi), l’unità militare più potente del paese che aveva sostenuto Rajoelina quando è salito al potere nel 2009, si è unita ai manifestanti. Il giorno successivo la Corte costituzionale ha nominato il colonnello Michael Randrianirina nuovo leader. Il 15 ottobre è stato annunciato che il colonnello presterà giuramento e assumerà la carica di capo dello Stato entro uno o due giorni.
Di Rajoelina si sa che ha lasciato il paese il 12 ottobre a bordo di un aereo militare francese e si ritiene che al momento si trovi a Dubai.