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TENSIONE

La guerra culturale avvelena il clima negli Usa

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La guerra culturale è un fenomeno crescente negli Stati Uniti di questi anni ’20. Le prossime elezioni saranno decise anche in base a come i prossimi candidati intenderanno combatterla. Gli woke l'hanno scatenata, i conservatori sono al contrattacco. Il rischio violenza è sempre più alto.
- È BATTAGLIA ANCHE SULLA CANDELA PER L'EUCARISTIA, di Ermes Dovico 

Esteri 06_05_2023
Woke contro il cristianesimo

La guerra culturale è un fenomeno crescente negli Stati Uniti di questi anni ’20. Le prossime elezioni saranno decise anche in base a come i prossimi candidati intenderanno combatterla. La guerra culturale riguarda anzitutto la definizione dell’identità americana. Da una parte si schiera il pensiero woke, della sinistra radicale, un multiculturalismo estremizzato che punta a colpevolizzare tutta la società americana e la sua storia: bianca, cristiana, patriarcale, razzista in modo sistemico. Dall’altra parte della barricata sta iniziando una reazione conservatrice sempre più forte soprattutto negli Stati del Sud, con la Florida e il Texas come epicentro. E si basa sulla difesa dei valori tradizionali americani: non solo il cristianesimo, ma anche la libertà di portare armi, la difesa della Costituzione e della storia dell’“eccezione” americana, nazione concepita nella libertà.

È ancora difficile fotografare quanto sia diffusa la guerra culturale. I sondaggi ci aiutano a capirlo, almeno in parte. Secondo un sondaggio della CBS, riguardante le prossime primarie repubblicane, l’85% degli elettori repubblicani voterebbe un candidato che promettesse di “sconfiggere le idee woke” (il 66% per chi difendesse il Secondo emendamento, dunque la libertà di portare armi, il 57% per chi semplicemente facesse “arrabbiare i liberal”). Sulle questioni riguardanti il gender si nota la maggior polarizzazione possibile. Secondo un sondaggio della NBC, alla domanda “si dovrebbe essere più tolleranti con le persone Lgbt?” l’87% dei Democratici risponde affermativamente, contro appena il 38% dei Repubblicani. Alla domanda opposta, che però riguarda solo i trans, “Siamo andati troppo oltre nell’accettare le persone trans?” risponde affermativamente il 79% dei Repubblicani e solo il 19% dei Democratici.

Un altro indicatore è la vera e propria gara fra conservatori e progressisti a far ritirare i libri da scuole e università. I libri iniziano ad essere ritirati dalle scuole, in sempre maggior numero. Non si tratta di una censura vera e propria (non vengono ritirati dal mercato), ma di una limitazione molto forte della loro lettura, negli anni della formazione delle nuove generazioni americane. I titoli che non compaiono più nelle biblioteche scolastiche e non vengono più assegnati come lettura agli studenti, sono aumentati del 28% negli ultimi sei mesi. Nell’anno scolastico 2022-23 sono stati vietati 1.477 libri, secondo il rapporto Banned in Usa, edito dalla Pen America, antica associazione in difesa della libertà di stampa. Secondo il rapporto, il tema delle minoranze, dopo la violenza e i temi che riguardano “salute e benessere dei ragazzi” è uno dei motivi principali di censura: “In questo periodo di sei mesi, il 30% dei titoli vietati è costituito da libri che parlano di razza, razzismo o che presentano personaggi di colore. Il 26% dei titoli vietati ha personaggi o temi Lgbt”.

Il quadro è lungi dall’essere completo. Il Pen si sta allarmando a fronte di quella che appare come una “reazione conservatrice” in Stati a maggioranza repubblicana: Texas, Florida, Utah, Missouri, che stanno espellendo dalle scuole centinaia di libri nell’ultimo anno, soprattutto dietro la pressione di associazioni di genitori. Ma da anni, i progressisti stavano vietando libri nelle scuole e nelle università. Il caso più incredibile è Il buio oltre la siepe, di Harper Lee, un classico del Novecento e uno dei più censurati nell’anno 2020, perché contiene “epiteti contro gli afro-americani” ed esalta la figura di un “salvatore bianco” quale protagonista (l’avvocato che difende il nero dall’accusa di stupro). Stessa fine fatta da Uomini e topi, di John Steinbeck, che contiene “insulti e stereotipi razziali”. I libri attaccati sia da destra che da sinistra sono quelli della (finora) fortunata serie di Harry Potter di JK Rowling: da destra li vogliono vietare perché “contengono vere formule di incantesimi e maledizioni”, da sinistra perché l’autrice, pur essendo femminista, è considerata razzista nei confronti dei trans.

Una guerra culturale è più violenta rispetto ad un disaccordo su questioni economiche e di politica estera, perché nega la legittimità dell’avversario, disumanizzandolo. Per questo si teme una degenerazione dell’ordine pubblico in occasione delle prossime presidenziali. Una testimonianza drammatica della nuova violenza politica è emersa fra i messaggi di Tucker Carlson, il noto commentatore recentemente licenziato da Fox. «Un paio di settimane fa, stavo guardando un video di persone che litigavano per strada a Washington – scriveva ad un produttore di Fox, all’indomani dell’assalto al Campidoglio, il 7 gennaio 2021 - Un gruppo di ragazzi di Trump ha circondato un ragazzo di Antifa e ha iniziato a pestarlo a sangue. Erano almeno tre contro uno. Saltare addosso a un ragazzo in quel modo è ovviamente disonorevole. Non è così che combattono gli uomini bianchi. Eppure all’improvviso mi ritrovai a fare il tifo per la folla contro l’uomo, sperando che lo colpissero più forte, che lo uccidessero. Volevo davvero che facessero del male al ragazzo. Ne sentivo il sapore. Poi, da qualche parte nel profondo del mio cervello, è scattato un allarme: questo non va bene per me. Sto diventando qualcosa che non voglio essere. Il verme di Antifa è un essere umano. Per quanto disprezzi ciò che dice e fa, per quanto sia sicuro che lo odierei personalmente se lo conoscessi, non dovrei gongolare per la sua sofferenza. Dovrei esserne infastidito. Dovrei ricordare che da qualche parte qualcuno probabilmente ama questo ragazzo e sarebbe distrutto se venisse ucciso. Se non mi preoccupo di queste cose, se riduco le persone alla loro politica, come faccio a essere migliore di lui?». I commentatori sono inorriditi di fronte a questo messaggio, perché Carlson parla di “uomo bianco” per identificare il suo gruppo. Quindi è stato ancor più accusato di razzismo.

Ma il messaggio assume un altro significato se lo si legge per quello che è il suo reale intento: la paura di una guerra civile e il senso dell’umano che impedisce di demonizzare l’avversario, vedendolo come uomo e non come “verme Antifa”. Carlson dimostra di mantenere quell’umanità che da un secolo e mezzo a questa parte ha sempre impedito lo scoppio di una guerra civile, anche in momenti di estrema polarizzazione politica.