La Gran Bretagna conferma: i bambini Down non nati si possono eliminare
Il respingimento del ricorso della paladina dei diritti delle persone Down, Heidi Crowter, legittima la discriminazione nei confronti delle persone disabili, che nel grembo materno possono essere abortite fino alla nascita. Protestano anche i vescovi cattolici: sentenza «illogica e ingiusta».
- «NON ABBIATE PAURA, VOSTRO FIGLIO È UN DONO», di Ermes Dovico
La notizia del 25 novembre che Heidi Crowter, affetta da sindrome di Down, ha perso il suo appello contro il governo del Regno Unito, avrebbe dovuto essere una sorpresa, ma non è stato così. Il Regno Unito si impegna a difendere i diritti dei disabili ai sensi dell'Equality Act del 2010, ma solo dopo la nascita. Invece la 27enne Heidi e la sua co-querelante Máire Lea-Wilson, che ha un figlio di due anni con la sindrome di Down, stanno combattendo per "l'uguaglianza nel grembo materno".
Avevano fatto appello contro una sezione dell'Abortion Act del 1967 che consente l’uccisione dei feti con disabilità, inclusa la sindrome di Down, fino al momento della nascita. La richiesta di Heidi era di portare tale possibilità a 24 settimane, come per i feti sani. Dice qualcosa della nostra società se la lotta per la giustizia è affidata a individui coraggiosi come Heidi e Máire, quando invece tutti dovrebbero essere allarmati da ciò che le leggi sull'aborto consentono e chiedersi a cosa porta l'uccisione sistematica di bambini non perfetti nel grembo materno.
Heidi ha sostenuto in tribunale che la legge è discriminatoria, giustifica la soppressione dei bambini malformati e porterà inevitabilmente all'estinzione della sindrome di Down in Gran Bretagna come è praticamente già avvenuto in Islanda e Danimarca.
La qualità e la durata della vita delle persone Down sono notevolmente migliorate dal 1967, ma la loro costante eliminazione impedisce al pubblico di saperlo. Peraltro il Regno Unito permette l’aborto fino alla nascita per qualsiasi tipo di malformazione del feto, anche facilmente correggibile, come il labbro leporino o il piede torto. La sfida legale di Heidi smaschera questa menzogna: donne convinte, spesso per paura, a uccidere la propria prole con il pretesto di ottenere diritti e libertà. Ma Heidi è la prova vivente che la vita con la sindrome di Down non è la realtà devastante rappresentata in modo massiccio al pubblico.
Quando Heidi si è rivolta ai giornalisti fuori dalla Corte d'Appello dicendo: «Sono molto dispiaciuta di non vincere ancora, ma continuerò a lottare perché abbiamo già informato e cambiato i cuori e le menti e cambiato le opinioni della gente sulla legge», stava infatti affermando che anni di propaganda pro-choice possono essere contrastati dalla realtà. E infatti nascondere la realtà è il modo in cui lavorano gli abortisti: per questo i monitor sono posizionati in modo che le madri non possano vedere dal vivo i loro bambini smembrati durante un aborto. Heidi sfida così con i fatti la percezione della sindrome di Down da parte delle persone: «Voglio che mi guardino e dicano 'questa è solo una persona normale'», ha detto. È proprio ciò che le lobby femministe e abortiste temono possa cambiare l'esito della prossima sfida di Heidi alla Corte Suprema.
Tuttavia, tornare indietro dopo decenni di disinformazione e propaganda ideologica non è semplice. Come è apparso evidente dalle parole dei giudici della Corte d’Appello: «La Corte riconosce che molte persone con la sindrome di Down e altre disabilità saranno sconvolte e offese dal fatto che la legge giustifichi una diagnosi di grave disabilità durante la gravidanza come causa per l'interruzione; e che possano considerare che questo implichi che le loro stesse vite hanno un valore inferiore. Ma sostiene che una percezione - che è ciò che la legge implica - non è di per sé sufficiente per consentire un'interferenza con i diritti dell'articolo 8 (alla vita privata e familiare, sanciti dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo)».
La paura del cambiamento è evidente nelle dichiarazioni di Clare Murphy, amministratore delegato del British Pregnancy Advisory Service, BPAS, che si occupa dei servizi di assistenza all'aborto: «Non c'è contraddizione tra una società che sostiene i diritti delle persone disabili e una che consente alle donne di prendere decisioni difficili in situazioni strazianti», ha affermato. «In caso di successo, questo caso avrebbe potuto avere implicazioni di vasta portata. I ricorrenti hanno sostenuto in tribunale che i feti dovrebbero avere diritti umani, questo non è mai stato deciso dalla legge e andrebbe contro molti anni di precedenti legali nel Regno Unito». La signora Murphy ha detto che il caso è stato un attacco ai diritti delle donne incinte: «Non solo all'aborto, ma a prendere le proprie decisioni durante il parto».
Ovviamente Heidi è «turbata e offesa» dal fatto che i giudici considerino che la legge sull'aborto non interferisce con i diritti dei «disabili viventi». Secondo logica il bambino nel grembo materno è un «disabile vivente» fino a quando non viene ucciso. È una strano bilanciamento di poteri quello che consente a una parte di ucciderne legalmente un'altra. Eppure i giudici sostengono che questi bambini non dovrebbero avere diritti. La popolazione è stata indottrinata a considerare termini come “anomalie”, “disabilità” e “malformazioni congenite” con orrore e paura, e troppe donne sono convinte che la vita con un figlio disabile sia insopportabile. Ma le condanna a una vita di rimpianti chiedendosi come sarebbe stato il loro bambino e come sarebbe diventato.
In realtà la presenza gioiosa e la vita contenta di Heidi sono l'antidoto a questa terribile sofferenza, proprio come testimonia un affascinante breve video su YouTube (clicca qui) realizzato da Heidi Crowter. Heidi ha la sindrome di Down ma ciò non le impedisce di essere brillante e chiara, di essere circondata da familiari e amici che la amano e ai quali a sua volta porta felicità e gioia senza fine. E come Heidi, contrariamente alla credenza popolare, il 99% delle persone con sindrome di Down è felice della propria vita. Tuttavia, nonostante ciò, si stima che il tasso di aborto nel Regno Unito sia del 90% a causa della costante pressione a cui sono sottoposte le mamme una volta che una diagnosi conferma la condizione Down.
Anche i vescovi cattolici hanno reagito al verdetto. Monsignor John Sherrington, vescovo ausiliare di Westminster e responsabile Vita per la Conferenza episcopale, ha criticato la sentenza definendola «illogica e ingiusta». «Sebbene la sentenza affermi che la sezione 1(1)(d) dell'Abortion Act 1967 non ha 'alcun ruolo significativo nel provocare atteggiamenti discriminatori nei confronti delle persone disabili in generale, o di quelle con Down in particolare', l'aumento anno dopo anno degli aborti selettivi per disabilità racconta una storia molto diversa – ha scritto Sherrington in un comunicato -. Mi associo alle parole di Papa Francesco, che ha fortemente scoraggiato l'uso della diagnosi prenatale a fini selettivi in quanto “è espressione di una mentalità eugenetica disumana, che priva le famiglie della possibilità di accogliere, abbracciare e amare i propri figli più deboli'. Dobbiamo continuare a offrire un maggiore sostegno alle famiglie che si prendono cura di un bambino disabile. E io offro la mia preghiera mentre Heidi valuta la possibilità di ricorrere alla Corte Suprema del Regno Unito».