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EUTANASIA

La giustizia francese vuole far morire Vincent di fame e sete

Secondo il Tribunale amministrativo di Châlons-en-Champagne il mantenimento delle cure per il tetraplegico Vincent Lambert risulterebbe «un’ostinazione irragionevole». Esattamente il contrario di quanto aveva stabilito la perizia medica dello scorso 2 luglio. In realtà il caso di Vincent viene usato come una testa d’ariete per allargare le maglie della legge francese sull’eutanasia. Come ha spiegato la petizione di 55 medici, il paziente non è in coma, non è in fin di vita né a rischio, ha solo bisogno di essere alimentato e idratato. Ai genitori resta la strada del ricorso al Consiglio di Stato.

Vita e bioetica 09_02_2019

Proseguiamo con gli aggiornamenti dell’incredibile vicenda che vede coinvolto il quarantenne tetraplegico francese Vincent Lambert e la sua famiglia. E questa volta le notizie sono inquietanti. Il 21 gennaio scorso il Tribunale amministrativo di Châlons-en-Champagne si è riunito per decidere della sua sorte; dieci giorni dopo, il 31 gennaio, la sentenza è stata resa pubblica: il Tribunale ha dunque deciso che dev’essere interrotta la somministrazione di acqua e cibo, condannando così a morte Vincent. Il Tribunale ritiene la propria decisione conforme alla legge che chiede di rispettare la dignità delle persone giunte alla fine della loro vita.

Quando si arriva a pensare che lasciar morire una persona di fame e di sete sia una forma di rispetto, non si può non concludere che a essere in fin di vita è certamente l’attività cerebrale di questi benpensanti. Se poi si aggiunge il fatto che Vincent semplicemente non è un paziente in fin di vita, perché non ha bisogno di altro che di essere alimentato e idratato, capite che ci troviamo di fronte a una sentenza che mira ad abbattere ogni resistenza e ogni limitazione all’eutanasia.

Il Tribunale ha così ‘argomentato’ la propria sentenza: “Da una parte risulta che il mantenimento delle cure e delle terapie costituisce un’ostinazione irragionevole […], dall’altra, che la volontà del signor Lambert di non essere mantenuto in vita nell’ipotesi di trovarsi nella condizione in cui è da più di dieci anni è stabilita”. Questa “volontà stabilita” si riferisce a un’affermazione di Vincent udita dalla moglie Rachel e da un nipote prima del grave incidente avuto dieci anni fa, nella quale Vincent avrebbe espresso il desiderio di non morire in ospedale. Bene. Adesso su la mano chi desidera ardentemente morire in un ospedale. E su la mano chi è in grado di prevedere esattamente lo stato in cui si troverà tra “x” anni; intendo non solo la condizione esterna, già difficilmente delineabile, ma anche quella interna, con quella voglia di vivere che si scatena non appena ci si accorge che la propria vita è in difficoltà o in pericolo.

In effetti Vincent non ha dichiarato nulla sull’ipotesi di trovarsi nella condizione in cui è, semplicemente perché non aveva mai previsto questa precisa condizione, ma aveva solo espresso il desiderio di non morire in un ospedale. A buon conto, sono proprio i genitori che a più riprese hanno chiesto che Vincent fosse spostato dall’ospedale di Reims, ove si trova, in un centro specializzato per le situazioni come la sua, non per morire, ma per continuare a vivere e per poter poi essere riportato a casa, cosa che molti medici valutano come assolutamente possibile. Richiesta sempre puntualmente respinta. Dunque il Tribunale “difende” il desiderio di Vincent di non morire in un ospedale, tenendolo prigioniero in un ospedale e facendolo morire di fame e di sete in un ospedale. Niente male.

Il Tribunale amministrativo ha arbitrariamente selezionato cosa tenere in considerazione dell’esito della perizia medica richiesta il 2 luglio scorso: il Rapport infatti metteva nero su bianco che “corrispondere ai bisogni fondamentali primari (alimentazione, idratazione) non rientra per Vincent Lambert nell’ambito di un accanimento terapeutico o di una irragionevole ostinazione”. Esattamente il contrario rispetto a quanto deciso dalla giustizia francese. Della perizia medica si è invece scelto di far prevalere l’asserzione che “la limitazione grave o completa delle sue capacità di accedere a una condizione di coscienza, di comunicazione, di motricità, di espressione della propria personalità, l’alterazione irreversibile della propria immagine lo danneggiano a un punto tale da non essere più accettabile per se stesso e per sua moglie, che è anche tutrice”. Affermazione, come si può capire, poco medica. E oltretutto contestata da 55 medici, specialisti di pazienti in stato pauci-relazionale, come Vincent. Queste dichiarazioni di irreversibilità della situazione di Vincent e della sua assenza o quasi di coscienza sono dovuti, secondo quanto dichiarato nella Lettre au tribunale de 55 spécialistes EVD-EPR, a una modalità errata di valutazione del caso.

Secondo quanto dichiarato dai tre medici che avevano svolto la perizia richiesta dal Tribunale, i dottori Xavier Ducrocq, Edwige Richer e Catherine Kiefer, Vincent sarebbe stato valutato per un’ora, di sera, e poi per un’altra ora e mezza di mattina, alla presenza di sette sconosciuti. Tanta è la fretta di metterlo a morte. I 55 medici fanno notare che come minimo sarebbe stato necessario osservarlo per almeno cinque volte nel giro di dieci giorni. Inoltre l’osservazione si sarebbe dovuta compiere con almeno due “condizioni favorevoli”: quella di un “ambiente stimolante e benevolo” per permettere a Vincent “di essere a suo agio”; e quella di una “valutazione da parte di un’équipe interdisciplinare con esperienza nell’osservazione, che abbia familiarità con il paziente e sia in relazione con i suoi cari”.

I 55 medici richiamano anche un principio fondamentale, secondo il quale “un’assenza di manifestazione di coscienza in un dato momento non implica l’assenza di coscienza”. Dopo aver ribadito che Vincent non è in coma, non è in fin di vita né a rischio, avvertono che la modalità errata di valutazione della sua condizione “potrà in seguito riguardare anche tutti coloro che condividono la sua stessa condizione”. E probabilmente è questo l’obiettivo della sentenza, perché questi casi, fino ad ora, non rientrano nella legge sull’eutanasia francese: Vincent Lambert dev’essere un caso emblematico, una testa d’ariete; è questo che spiega tanto accanimento nel volerlo mettere a morte, rifiutandosi di autorizzare soluzioni alternative, assolutamente sensate. Sicuramente più sensate di quella di far morire di fame e di sete un uomo che è vivo; tetraplegico, gravemente tetraplegico, ma vivo.

La lettera degli specialisti, inviata al Tribunale, non ha dunque avuto alcun effetto. Ai genitori di Vincent non resta che fare ricorso al Consiglio di Stato.