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PERICOLI EUROPEI

La destabilizzazione dell'immigrazione islamica (che Putin sfrutta)

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Abbiamo sottovalutato il pericolo dell'islamismo di importazione. E vediamo i frutti nella destabilizzazione degli atenei. La riflessione va estesa all'immigrazione illegale, un fenomeno che ha tanti complici, fra cui la Russia.

Esteri 05_07_2024
Barcone di immigrati nel Mediterraneo

La sottovalutazione del pensiero politico islamista da parte delle istituzioni di parecchie nazioni occidentali, e in particolare quelle dell’Italia precedente il governo meloniano, non può trovare che consenzienti gli analisti delle recenti degenerazioni manifestatesi in diversi atenei al di qua e al di là dell’Atlantico (sono appena finite quelle a Torino) e le riflessioni esposte dal professore Eugenio Capozzi sulla Nuova Bussola Quotidiana. Coloro che hanno vissuto gran parte della loro vita nel mondo arabo-musulmano devono esprimere altre loro riflessioni, che vanno evocate e non solo per completare il quadro inquietante. E la prima riguarda l’abile dissimulazione delle vere intenzioni e finalità, appunto a lungo termine, che sono perseguite dalla religione musulmana: quelle primarie dell’affermazione concreta, resa visibile, degli obiettivi di supremazia insiti nella sua concezione di potere, quindi proprio quelli del potere assoluto, fondato sulla Shariah.  

Tutto questo è ben noto agli studiosi dell’islam non invece agli uomini politici occidentali e agli ignoranti docenti e studenti universitari, sicché ostentano, mettendo in pratica, i principi di libertà, umanità e solidarietà che sono propri del cristianesimo.  Considerati “valori umani”, ovvero laicamente anonimi, li hanno ereditati come tali dal loro mondo attuale. Da qui alla diffusa disattenzione, se non come si diceva ignoranza, di altre conseguenze dei principi musulmani.

Chi dei docenti dei numerosi atenei occidentali (anche illustri, come la Normale di Pisa, La Sapienza di Roma e l’Università di Torino), ostili alle direttive del Governo Meloni di porre in atto gli accordi scientifici e culturali con le università israeliane, ne ha preso le distanze in nome della libertà della ricerca e della scienza? Chi di essi ha ricordato che nelle Università del mondo arabo non esistono cattedre comparate di materie quali il Diritto, Letteratura, Scienza? E che questa obiettiva lacuna non venga considerata “normale”? La religione musulmana non ammette che si insegni altro che non sia conforme e discenda dalla Shariah. Ma lo si sa o si finge di non sapere che nelle Università palestinesi di Gerusalemme, di Gaza e in quella di Bir Zeit, nella Cisgiordania palestinese, nessun palestinese osa avanzare una richiesta che non sia conforme alla Shariah?

Lo stesso discorso va esteso a quanti, non solo politici, pure operatori del “mass-media”, dell’informazione giornalistica, televisiva e social, cavalcano la necessaria concessione della cittadinanza a chi è nato, o ha studiato, o è cresciuto in una nazione che lo ha accolto come profugo. Nessuno osa ricordare in tale contesto che migliaia di giovani profughi non accompagnati sono inspiegabilmente “scomparsi”. E soprattutto che non basta la conoscenza della lingua nazionale o gli anni di scuola. Occorre che essi accettino, per convinzione e pratica, sovente abiurando le proprie tradizioni e convinzioni, le regole democratiche dello Stato ospitante e il percorso di una vera integrazione con la comunità che ha accompagnato la loro crescita, le sue leggi, le sue consuetudini. Solo allora potranno avvertire la necessità di una nuova cittadinanza e chiederne la concessione.

Restano poi valide diverse altre considerazioni sul fenomeno emigratorio. Il primo riguarda i paesi di provenienza, sovente autoritari e con regimi dittatoriali, che non solo determinano con i loro provvedimenti di legge e il loro duro potere la necessità di fuggirne ma tollerano, se non favoriscono, le attività di individui e gruppi di trafficanti che lucrano sulla situazione (si fanno sempre ben pagare con migliaia di dollari per singola persona) e di fatto non collaborano con i paesi violati. Sono rarissimi quei paesi che collaborano alla determinazione ed effettuazione dei gruppi di emigrati regolari, un “sistema” possibile e legale insieme. Forse perché presuppone istituzioni religiose e caritative importanti come controparti che si sentono impegnati anche a viaggi aerei oltre che all’ ospitalità delle persone assistite.

Dovrebbe meravigliare in tutto questo scenario il fatto che nessun emigrante si diriga verso un paese come la Russia, che si estende dal Pacifico all’Atlantico, il più esteso al mondo, decantato ed esaltato di fatto da tanti ammiratori occidentali. Nessuno, in tanti anni, e nemmeno verso regioni o paesi confinanti. Salvo la Bielorussia, nazione alleata al regime di Mosca, che però ha subito dirottato gli emigranti al confine con la Polonia. Per destabilizzarla, nel contesto del conflitto con l’Ucraina, e di fatto contro l’Unione Europea di cui la Polonia fa parte.

E come mai nessuno si è chiesto perché la Bielorussia ha fatto questo? E perché il regime di Mosca – non solo il suo maggiore esponente, Putin – non parli mai di emigranti, né smentisca che paghi milioni di dollari a bande armate di tanti Paesi africani e della sponda mediterranea come la Libia, perché gli emigrati rappresentino sempre una spina nel fianco dell’Europa? E perché la Russia continua a restare nell’ONU, a recitare, proprio di recita si tratta, che riconosce le regole della massima organizzazione internazionale solo quando le fa comodo e le viola spudoratamente quando vuole?

Certo il discorso va esteso ai soccorsi delle Ong nel Mediterraneo e al commercio, a suon di dollari, di cui sono protagonisti tanti mercanti di uomini; alle regole europee di accoglienza; alla visita di papa Francesco a Lampedusa e alle croci di legno ricavate dai relitti di barcone. Non solo. Agli interessi di chi – l’elenco comprende anche i vertici di tanti paesi - vuole il perpetuarsi di questo evento e si oppone ai rimpatri; e di chi lo finanzia perché gli preme soprattutto la destabilizzazione dei paesi occidentali, le loro divergenze, oltre che le distrazioni mediatiche dagli orrori della guerra.