La Corte Suprema tiene vive le speranze dei pro life
Ascoltate dai nove giudici supremi degli Stati Uniti le argomentazioni delle parti nel caso Dobbs. Alla luce delle domande delle toghe rimane aperta la possibilità di annullare la Roe o, almeno, avallare la legge del Mississippi che vieta l’aborto dopo 15 settimane. E, in quest’ultima ipotesi, ago della bilancia potrebbe essere addirittura il giudice Roberts.
La sentenza Roe contro Wade sarà ribaltata o rimarrà in vigore? Da giorni questa domanda, che divide gli americani da quasi mezzo secolo, si è fatta più pressante che mai, dentro e fuori i confini degli Stati Uniti. Mercoledì 1 dicembre la Corte Suprema ha ascoltato le argomentazioni delle parti coinvolte nel caso Dobbs contro Jackson Women’s Health Organization, che vede contrapposto lo Stato del Mississippi alle organizzazioni abortiste. Con queste ultime parteggia l’Amministrazione Biden. Oggetto della disputa è l’HB 1510, legge che vieta gli aborti dopo 15 settimane di gestazione tranne che per emergenze mediche e gravi anomalie fetali. Ciò su cui la Corte è fondamentalmente chiamata a esprimersi è se tutti i divieti agli aborti prima della viability, cioè prima della possibilità di sopravvivenza del concepito fuori dal grembo materno, siano da ritenersi incostituzionali.
Il caso Dobbs è considerato dagli addetti ai lavori il più importante fin dai tempi della Casey contro Planned Parenthood, la sentenza del 1992 che confermò il diritto di abortire introdotto dalla Roe nel ’73, ma in merito alla possibilità dei singoli Stati di introdurre restrizioni sostituì lo standard dei tre trimestri (nessuna restrizione introducibile nel primo trimestre, qualcuna nel secondo, possibile divieto nel terzo eccetto che per motivi di “vita o salute” della madre) con una valutazione sulle probabilità di sopravvivenza del bambino.
Ebbene, dopo il dibattito generale svoltosi la mattina dell’1 dicembre, con le parti che hanno presentato le loro ragioni secondo tempi contingentati e risposto alle domande dei nove giudici supremi, i commentatori pro vita mantengono in linea di massima, con qualche distinguo, un cauto ottimismo che la Roe possa essere ribaltata o quantomeno limitata, con effetti a cascata sull’intero sistema abortista. Uno scenario ritenuto realistico anche dalla parte opposta, vista la preoccupazione espressa da diversi media liberal dopo l’udienza alla Corte Suprema.
Il cauto ottimismo di cui sopra si basa sulle domande e i ragionamenti fatti dai giudici di nomina repubblicana (6), che hanno i numeri, volendo, per riscrivere in favore della vita la storia giudiziaria statunitense. Appare scontato, nel fronte conservatore, il voto del giudice Clarence Thomas, che ben prima di Dobbs aveva sottolineato che non c’è niente nella Costituzione americana che impedisca a uno Stato federato di vietare l’aborto. Accanto a lui, la toga più affidabile per curriculum è Samuel Alito, che ha pressato nel suo interrogatorio Julie Rikelman, rappresentante legale della Jackson Women’s Health Organization e degli altri abortisti convenuti, su un punto preciso: l’inconsistenza e l’arbitrarietà della viability nel fissare la linea prima e dopo la quale è legale o no togliere la vita a un nascituro. Sempre Alito ha messo in grande difficoltà Elizabeth Prelogar, avvocato generale del governo federale, sul principio dello stare decisis, incalzandola sul fatto che una decisione «clamorosamente sbagliata» dovrebbe essere annullata in qualsiasi momento, senza altre considerazioni di sorta. Il giudice conservatore ha richiamato la famigerata Plessy contro Ferguson, sentenza del 1896 che sostenne la legittimità della segregazione razziale e che solo 58 anni dopo iniziò a essere smantellata (dai casi Brown e seguenti).
Ma al di là di Thomas e Alito, le attenzioni erano rivolte soprattutto ai tre giudici conservatori nominati da Trump che fin qui, in alcuni casi passati al vaglio della Corte Suprema, hanno deluso le aspettative, pur con differenze personali.
Neil Gorsuch, che nel 2020 ha votato con i liberal in una sentenza sui diritti Lgbt, si è limitato a chiedere alle rappresentanti del fronte abortista quale eventuale altro standard si potrebbe adottare se la Corte rigettasse lo spartiacque legale della sopravvivenza autonoma del feto (limitando in pratica l’aborto) e se, in questa ipotesi, potrebbe continuare a essere utilizzabile il principio dell’«onere eccessivo» (undue burden) già stabilito dalla Casey, ossia quel principio in base a cui le restrizioni all’aborto non possono gravare eccessivamente sulla libertà della donna di accedere all’aborto stesso.
Riguardo a Brett Kavanaugh, il giudice ha fatto una ricostruzione di alcune delle principali obiezioni pro life - tra cui il silenzio della Costituzione sull’aborto - al sistema inaugurato dalla Roe, ed esposto una lista delle principali sentenze che hanno ribaltato dei precedenti senza le quali «il Paese sarebbe un posto molto diverso». Decifrare il suo intervento complessivo in modo univoco potrebbe tradursi in una cantonata, ma commentatori di un fronte e dell’altro hanno visto nelle sue parole un’inclinazione ad annullare la Roe.
Amy Coney Barrett ha osservato che lo stare decisis è sì importante, ma «ci sono alcune circostanze in cui l’annullamento è possibile». La Barrett ha anche chiesto alla Rikelman perché non vengono prese in considerazione quelle leggi che consentono a una donna che non vuole essere madre di dare in adozione il proprio bambino a stretto giro dalla nascita.
Significativa, infine, è stata la posizione del presidente della Corte, John Roberts, giudice nominato da Bush junior che dopo 16 anni di mandato, e di giudizi controversi, è ormai considerato di area liberal. Roberts non ha dato mostra di voler annullare la Roe, ma ha fatto capire che lo status quo sull’aborto non gli sembra ragionevole. Interrogando la Rikelman, le ha chiesto perché - se l’aborto riguarda la «scelta», cioè «che le donne dovrebbero avere la possibilità di interrompere la gravidanza» in un dato lasso di tempo - «la soglia delle 15 settimane dovrebbe essere inappropriata?». E ha aggiunto: «… a me sembra che la possibilità di sopravvivenza non abbia nulla a che fare con la scelta». Roberts ha quindi detto che lo standard delle 15 settimane è quello che hanno «la stragrande maggioranza degli altri Paesi» che consentono l’aborto. Invece, quando si alza il limite dell’aborto fino alla possibile sopravvivenza del bambino fuori dal grembo materno, «condividiamo tale standard con la Repubblica Popolare Cinese e la Corea del Nord».
Anche se non ci dovessero essere i margini per l’annullamento della Roe, che non si può comunque escludere, si potrebbe quindi creare quantomeno una prima crepa in un sistema perverso, avallando la legge del Mississippi. Il passaggio non è scontato perché, com’è stato osservato, il processo decisionale dei giudici non sempre corrisponde alle impressioni lasciate nella fase dell’interrogatorio. E vanno tenute in conto, ovviamente, pure le pressioni esterne. Però, intanto, il caso Dobbs lascia la speranza di poter porre fine, nel migliore dei casi, o almeno limitare una grande ingiustizia. La sentenza non dovrebbe arrivare prima di giugno 2022.