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La conservazione della creazione - Il testo del video

La conservazione della creazione è una creazione continuata (creatio continua), che si protrae. Tutte le creature hanno bisogno di essere conservate da Dio. Creazione immediata e creazione mediata. Il modo corretto di intendere «l'autonomia delle realtà create». Due errori: il deismo e il panteismo.

Catechismo 21_05_2023

Proseguiamo le nostre catechesi sulla Creazione. Nei due incontri precedenti (vedi qui e qui) abbiamo parlato della creazione in senso stretto, cioè dell’atto della creazione; abbiamo visto che cosa significa la creazione ex nihilo e in particolare, che cos’è propriamente l’atto del creare e cioè causare l’essere delle cose. La creazione non è una trasformazione, non è provocare una mutazione delle cose, il loro cambiamento, il loro divenire, ma propriamente è causare l’essere di qualche cosa. L’atto creativo, chiaramente, è proprio solamente di Dio. Abbiamo visto la differenza ontologica fondamentale tra il Creatore - che è Colui che è l’Essere, la cui essenza è l’Essere stesso - e la creatura che invece ha l’essere, riceve l’essere, in modo partecipato e limitato secondo la sua misura.

Oggi ci dedichiamo invece alla conservazione del mondo. L’altra volta abbiamo detto che ci sono tre grandi capitoli legati alla creazione, cioè: 1) la creazione in senso stretto, e l’abbiamo vista; 2) la conservazione della creazione; 3) il governo della creazione.

Oggi ci dedichiamo al secondo capitolo.

Richiamiamo prima di tutto un testo dogmatico del Concilio Vaticano I (1870); si tratta della costituzione dogmatica Dei Filius. Nel Denzinger questo testo lo si trova al n. 3003. Nel suo primo capitolo, che è dedicato proprio a Dio come Creatore, la Dei Filius dice: «Dio, con la sua provvidenza, protegge e governa tutto ciò che ha creato, poiché essa si estende da un confine all’altro con forza, governa con bontà ogni cosa (Sap 8,1). Tutto è nudo e scoperto davanti agli occhi Suoi (Eb 4,13), anche quello che sarà fatto dalla libera azione delle creature».

Noi ci concentriamo su quel "Dio protegge e governa tutto ciò che ha creato”. Il testo latino dice: Deus providentia sua tuetur atque gubernat. Questo tuetur non significa solo “protegge”, ma anche “custodisce”, “conserva”. Dunque, è proprio il capitolo della creazione che vedremo oggi. La prossima volta vedremo il significato di “governa”.

Il fatto che Dio non solo abbia creato ma conservi è di fede, è un dogma di fede. Domandiamoci: che cosa significa la conservazione della creazione? La conservazione della creazione non è altro che una continuazione della creazione o - secondo un altro termine che abbiamo usato nelle puntate precedenti - una creazione continuata (creatio continua), che si protrae. In che senso? Se la creazione è propriamente causare l’essere delle cose (qualcosa che non c’era, non esisteva e viene posto in essere), la conservazione è mantenere l’essere causato. Mentre l’essere tratto dal nulla è l’atto proprio creativo di Dio, la conservazione è chiaramente susseguente, cioè suppone la creazione; tuttavia, pur essendo due momenti distinti, la creazione e la conservazione fanno parte dell’unico grande atto della creazione di Dio. Dunque, vediamo come la creazione intesa in questo senso non è qualche cosa che appartiene a un momento o, meglio, che ha dato inizio a un momento inteso come successione di momenti, il tempo; ma è qualche cosa che perdura.

La conservazione è appunto questa custodia dell’essere creato ex nihilo da Dio, ed è opera di Dio stesso. Questa azione positiva, nel senso di conservare, sostenere la creazione, non esclude il concorso delle altre creature ma fonda questo concorso. Vedremo come, leggendo i testi di san Tommaso. Intanto, teniamo questa idea: dire che Dio conserva le cose dell’essere, non vuol dire che lo faccia sempre e comunque in modo immediato, cioè Lui verso la creatura, e in mezzo nulla. Invece, Dio, che è la causa prima non solo della creazione ma anche della conservazione, si serve delle altre creature per conservare la sua creazione. Quindi c’è una conservazione primaria, fondamentale, che appartiene solo a Dio; e poi c’è una conservazione derivata, mediata, nella quale “entrano” in qualche modo anche le creature. Molto banalmente, alla conservazione, per esempio, della vita di un albero concorrono altre creature: l’acqua, i minerali, il sole, eccetera.

Il lato positivo della conservazione è dunque il mantenere nell’essere. In negativo, lo stesso concetto della conservazione, la stessa verità della creazione-conservazione, vuol dire che se Dio volesse, se Dio ritirasse questo essere da Lui creato e partecipato, la creazione intera piomberebbe nel nulla. Quindi, parlare della conservazione vuol dire tenere insieme entrambi gli aspetti.

Dio potrebbe - di potenza assoluta - lasciare che la sua creazione ritorni nel non-essere, ritorni nel nulla, si annichilisca. Ma noi sappiamo che Dio - che di potenza assoluta potrebbe questo - non lo vuole fare e ha manifestato questa sua volontà nella Rivelazione, come nel libro della Sapienza: «Dio ha creato ogni cosa perché esistesse» (Sap 1,14). Dunque, non c’è in Dio la volontà di annientare la creazione. Dio ha creato le cose, ha partecipato loro l’essere perché esistessero, perché in questo loro essere, in questo esistere, ciascuna, secondo la propria modalità, gli dessero gloria. Abbiamo già parlato del fine della creazione come gloria di Dio, non ci soffermiamo di nuovo su questo aspetto. Questa è un po’ la visione d’insieme.

Andiamo a vedere qualche testo della Summa Theologiae (ST) di san Tommaso d’Aquino. La quaestio che ci interessa è la n. 104 della prima parte della ST; vediamo il primo articolo, che si intitola «Se le creature abbiano bisogno di essere conservate da Dio». Leggiamo nel corpo dell’articolo: «Tanto secondo la fede quanto secondo la ragione è necessario affermare che le creature sono conservate nell’essere da Dio. Per una chiara dimostrazione di ciò, dobbiamo osservare che una cosa può essere conservata da altri in due modi. Primo, indirettamente e per accidens, ed è il caso di chi tiene lontano da una cosa quanto potrebbe distruggerla». Per esempio, evitare che il fuoco si avvicini al fieno perché lo potrebbe bruciare, distruggere. Quindi, tenere lontano una causa di distruzione, per accidens. «Secondo, si può conservare una cosa formalmente e direttamente [o per sé, opposto al per accidens]: quando cioè la cosa conservata dipende talmente da ciò che la conserva, da non poter esistere senza di esso. E in questo modo tutte le creature hanno bisogno di essere conservate da Dio».

Propriamente, per sé, tutte le creature hanno bisogno di essere conservate da Dio. Perché? Ce lo ha detto prima san Tommaso. Questo vuol dire che la cosa conservata dipende da ciò che la conserva al punto da non poter essere, da non poter sussistere ed esistere senza questo principio di conservazione. E conclude san Tommaso: «Infatti l’essere di qualunque creatura dipende da Dio in maniera tale che le creature non potrebbero sussistere nemmeno per un istante, ma ricadrebbero nel nulla, se non venissero conservate nell’essere dall’azione della potenza divina». Questo brano dell’articolo 1 spiega dunque la conservazione per accidens e per sé.

Ora, la necessità di questa conservazione per sé, cioè la necessità che ogni cosa creata sia conservata nell’essere, da che cosa dipende? Dipende dal tipo di causalità che Dio esercita sulla creazione. Dio, sulla creazione, non esercita un tipo di causalità sul divenire delle cose, cioè quella che in sostanza esercitiamo anche noi: per esempio, possiamo prendere del legno di un albero e trasformarlo in un armadio oppure in travi o nel tetto di una casa. Intervenendo sul divenire, non c’è bisogno che noi conserviamo nell’essere qualcosa, al netto della manutenzione. Di per sé, una casa - una volta costruita, una volta realizzata attraverso la trasformazione di materiali - sussiste di per sé; la causa che l’ha “creata”, che l’ha realizzata, non è così essenziale da doverla mantenere nell’essere. Ora, se l’atto creativo di Dio fosse di questo tipo, la creazione non avrebbe bisogno di essere conservata nell’essere.

Invece, la causalità che Dio esercita sulla creazione, nel creare, è proprio causare l’essere; dunque non è una generazione secondo il fieri - come si dice - ma secondo l’esse. Cosa vuol dire? Vuol dire che non è secondo un certo modo di essere, quindi secondo un divenire, secondo una trasformazione, ma proprio secondo la consistenza propria di qualcosa, il suo essere. Pensiamo alla generazione di un figlio: un figlio, poi, non ha bisogno della conservazione nell’essere da parte dei genitori, perché anche in questo caso non è una creazione dal nulla. I genitori preparano un sostrato dove poi la forma propria, che è l’anima, viene infusa direttamente da Dio: è solo Dio che è in grado di creare dal nulla. E per questa ragione le cose - proprio perché dipendono da Dio nel loro essere e non solo nella loro trasformazione, nel loro divenire - necessitano che questa partecipazione dell’essere sia mantenuta. Diversamente, ogni cosa che non è l’Essere, ma ha l’essere (quindi gli viene partecipato l’essere nel modo che gli è proprio, limitato), precipiterebbe nel nulla.

Nella risposta alla seconda obiezione, sempre nell’articolo 1, san Tommaso scrive: «Dio non può comunicare a nessuna creatura il potere di conservarsi da sé nell’essere, al cessare della sua azione [cioè dell’azione di Dio]; come non può far sì che non dipenda da Lui l’origine della sua esistenza. Infatti la creatura ha tanto bisogno di esser conservata da Dio, quanto ne ha l’essere dell’effetto di dipendere dalla causa dell’essere». Che cosa sta dicendo qui san Tommaso? È un testo densissimo. Questo «non può», cioè «Dio non può comunicare a nessuna creatura il potere di conservarsi da sé nell’essere», ci fa tornare al discorso sull’onnipotenza: non è un «non può» in quanto limite, ma è un «non può» perché sarebbe contraddittorio. Cioè, nel momento in cui Dio crea, è proprio in virtù di quell’onnipotenza creatrice che le cose sussistono. Ora, che cos’è il creare per definizione? È dare l’essere. Se la creazione è questo ed è l’unico modo per cui esista altro da Dio, quindi, se esiste qualcosa di diverso da Dio, qualcosa che appunto non è Dio, questo qualcosa che non è Dio, per sua natura, l’essere lo deve ricevere: ciò vuol dire che [l’essere] non lo ha per sé, non gli è proprio. Ed ecco perché non solo lo deve ricevere nell’atto della creazione, ma questo essere deve essere mantenuto, conservato, custodito. In altre parole, sarebbe come dire che Dio non può non essere l’Essere per essenza. È la sua, per così dire, identità. E allora, se esiste altro da Dio, questo altro da Dio non può essere l’ente per essenza, ma deve essere l’ente per partecipazione dell’essere; ed ecco perché [questo essere] lo deve ricevere e gli deve essere custodito. Ontologicamente è così.

Nel secondo articolo della quaestio 104 della prima parte della Summa, san Tommaso si chiede «Se Dio conservi immediatamente ogni creatura». Cioè, questa conservazione che Dio ha nei confronti della creazione avviene in modo immediato, ossia senza mediazione, o attraverso delle mediazioni create (ovviamente sempre da Dio)? La risposta alla prima obiezione dell’articolo 2 spiega: «Dio ha creato immediatamente tutte le cose, ma nella stessa creazione delle cose stabilì un ordine, in modo che alcune di esse dipendessero e fossero conservate nell’essere da altre; presupposta, però, la conservazione primaria che proviene da Lui», cioè da Dio. Che cosa si sta affermando?

San Tommaso sta spiegando che c’è un parallelo tra una creazione immediata e una creazione mediata. Cioè, la creazione propriamente parlando è immediata: come abbiamo visto, Dio è l’unica causa della creazione; e tuttavia molte cose provengono, vengono alla luce anche mediante delle cause seconde: il seme che genera il germoglio, una coppia animale che genera un cucciolo e così via. Anche nella conservazione c’è un discorso analogo: Dio è propriamente, come dice san Tommaso, il conservatore primario, perché è l’unico dal quale dipende propriamente l’essere delle cose, non il loro divenire e il loro trasformarsi. Tuttavia, questo non esclude ma fonda una conservazione secondaria, cioè una conservazione mediata.

La conservazione primaria da parte di Dio non esclude una conservazione mediata, seppur con una distinzione fondamentale, cioè: Dio conserva propriamente l’essere delle cose, mentre le creature conservano una certa modalità d’essere. La creazione viene vista come un grande concerto dove la causa primaria è Dio, ma questa causa primaria non esclude ma fonda le cause seconde, le mediazioni. È da tenere presente questa struttura mentale - causa primaria, causa secondaria, causa strumentale, eccetera - perché tornerà utile tante volte: è una strutturazione fondamentale della realtà, da Dio alla creazione.

C’è una prospettiva che ci siamo un po’ dimenticati. Sotto la spinta, l’influenza del deismo, abbiamo un po’ un’idea della creazione - posto che ci sia stato un atto di creazione, perché ci sono cristiani che ormai dubitano anche di questo - come di qualcosa che riguarda un lontano momento della storia, in principio, ma adesso “la storia va avanti da sola”, “il mondo va avanti da solo”. Ora, questa idea ha dato origine a una concezione sbagliata, propriamente eretica, della cosiddetta «autonomia delle realtà terrene». Cerchiamo di capire che cosa vuol dire questo termine e qual è invece la sua contraffazione.

Il testo di riferimento è tratto dalla Gaudium et Spes, che è la costituzione pastorale del Concilio Vaticano II, e il Denzinger la riporta al n. 4336. Spiega la Gaudium et Spes: «Se per autonomia delle realtà terrene intendiamo che le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l’uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare, allora si tratta di un’esigenza legittima: non solo è postulata dagli uomini del nostro tempo ma è anche conforme al volere del Creatore. Infatti è dalla loro stessa condizione di creature che le cose tutte ricevono la loro propria consistenza, verità, bontà, le loro leggi proprie, il loro ordine; e tutto ciò l’uomo è tenuto a rispettare, riconoscendo le esigenze di metodo proprie di ogni singola scienza o arte» (GS, 36). Che cosa si sta dicendo qui?

Si sta dicendo che c’è un modo corretto di intendere l’autonomia delle realtà create. Che cosa vuol dire? Vuol dire che ogni cosa, proprio perché creata (lo abbiamo visto quando abbiamo parlato dell’atto della creazione), riceve da Dio la propria consistenza, è buona precisamente perché è creata ed è creata in quel modo da Dio. Dunque, in questo senso, nelle creature c’è una verità, c’è una bontà che sono la consistenza del loro essere. E scoprire questo bene delle creature, scoprire il loro ordine, le leggi che le regolano, la loro destinazione, il loro posto nella creazione, tutto questo è il dovere, in qualche modo, dell’uomo. Questa scoperta, questa ricerca può essere fatta “a prescindere” - molto tra virgolette - da Dio. In che senso? Nel senso che se devo studiare la legge del moto non ho bisogno di prendere il Catechismo; in questo senso c’è quindi un’autonomia delle scienze umane, della conoscenza umana e di ogni cosa. Ma attenzione, lo stesso numero 36 di Gaudium et Spes dice: «Se invece con l’espressione “autonomia delle realtà temporali” si intende che le cose create non dipendono da Dio e che l’uomo può adoperarle senza riferirle al Creatore, allora tutti quelli che credono in Dio avvertono quanto false siano tali opinioni. La creatura, infatti, senza il Creatore svanisce». Qui torna l’idea della conservazione della creazione da parte di Dio.

L’autonomia delle cose create non è un’autonomia ontologica e non è neanche un’autonomia quanto alla finalità. Tutte le cose provengono da Dio, a Dio tornano e hanno ricevuto la propria consistenza, il proprio bonum, il proprio ordine da Dio; dunque non è lecito ad alcuno considerarle come se invece non avessero un loro bene, non avessero ricevuto questo loro bene da Dio. E quindi stravolgerne la natura, stravolgerne l’ordinamento non è lecito. Se ci fosse un’autonomia assoluta delle cose, le cose - dice la Gaudium et spes - semplicemente non esisterebbero.

C’è invece un’autonomia relativa ed è quello di cui abbiamo parlato. Ciò mette al riparo da due errori importanti:

1) l’errore deista, che sostanzialmente nega la creatio continuata. Cioè [il deismo] “riconosce” - molto tra virgolette, perché se lo riconoscesse veramente ne trarrebbe anche la conseguenza della creatio continuata - la creazione originaria, ma è il famoso “dio orologiaio”, che fa l’orologio, lo carica e poi fa altro, e l’orologio va avanti da solo; l’orologio non ha bisogno dell’essere sostenuto dalla causa che l’ha creato. Questa è una concezione che in fondo è una negazione dell’atto della creazione, perché se l’atto della creazione fosse - come è - causare l’essere, se Dio andasse da un’altra parte, l’orologio che ha creato finirebbe nel nulla. Quindi, questa idea di un deismo - Dio che crea e fa altro - è il sottofondo di quell’autonomia sbagliata delle realtà create.

2) il secondo errore è la concezione panteista. Questa è una concezione che nega la differenza ontologica tra Dio e le creature. E fa sì che non ci sia neanche un’autonomia relativa delle cose create, perché la creazione - che oggi normalmente viene chiamata “Natura” - è un’emanazione di Dio, dunque non ha un’autonomia neanche relativa.

La posizione cristiana è invece diversa ed è importante da capire e da mantenere: la trascendenza di Dio rispetto alla creazione è una trascendenza quanto all’essere. Perché? Perché Dio è l’Essere sussistente, mentre le creature ricevono l’essere, hanno l’essere secondo la misura propria; partecipano, hanno l’essere per partecipazione. Questo è il salto ontologico tra il Creatore e la creatura. Allora Dio, da questo punto di vista, è il totalmente Altro. Un’espressione che deve essere sempre corretta, tenendo conto dell’analogia, ma questo è un altro discorso che ora non possiamo affrontare. Dunque, Dio è il totalmente Altro ma non è, per così dire, il totalmente altrove. Cosa vuol dire? Proprio perché Dio dà l’essere, causa l’essere e proprio perché le creature partecipano, ricevono l’essere creato da Dio, allora Dio - causa di questo essere partecipato - è profondamente, intimamente presente nella creazione, senza confondersi con essa. Recupero questo passaggio finale che è tanto importante. Proprio perché Dio è l’Essere stesso ed è Creatore ne consegue la sua trascendenza: dunque, non c’è una coincidenza tra Dio e la creazione, tra Dio e il mondo, tra Dio e la natura. Non c’è una declinazione di tipo panteistico.

Ma dall’altra parte - attenzione, perché le due cose vanno sempre tenute insieme altrimenti si va verso un errore o verso l’altro - proprio perché lo stesso Essere sussistente, che è Dio, crea (quindi crea l’essere, lo partecipa alla sua creatura), vuol dire che mantiene una relazione importante, profonda, intima con la sua creatura. E da qui possiamo dire che la creazione è anche una creatio continuata, cioè Dio che mantiene la sua creazione nell’essere. Questo mantenerlo è principalmente opera di Dio e mediatamente anche opera delle creature. Ma per quanto riguarda le creature spirituali, la conservazione nell’essere del principio spirituale - quindi per gli angeli e per la nostra anima - avviene direttamente e immediatamente da parte di Dio.

La prossima volta, a Dio piacendo, inizieremo il capitolo del governo del mondo, quindi tutto il grande capitolo che riguarda la Provvidenza divina, il suo rapporto con l’uomo e con le realtà create.