La Cina minaccia Taiwan, contro il suo nuovo presidente
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Nuova crisi nello stretto di Taiwan. A Taipei si è appena insediato il presidente Lai. Pechino risponde con minacce ed esercitazioni.
- Vietato cantare Gloria a Hong Kong di Angelina Tan
Nuova crisi in arrivo nello stretto di Taiwan, che separa le due “Cine”. La Cina democratica, Taiwan, ha appena inaugurato il presidente Lai Ching-te (nome inglesizzato: William Lai), del Partito Democratico Progressista, più indipendentista dei suoi predecessori, eletto con una solida maggioranza. E la Cina comunista risponde con grandi esercitazioni navali, a ridosso delle acque dell’isola di Taiwan e nei suoi cieli. Non è solo un’esercitazione: è un’intimidazione.
Lai Ching-te ha vinto le elezioni presidenziali proprio grazie alla sua fiera opposizione alle ingerenze della Cina comunista, a testa alta contro un regime che impiega mezzi economici, diplomatici e anche giudiziari, per strangolare la sua isola. La Cina continentale ha dimostrato di non rispettare la parola data a Hong Kong, violando la sua autonomia con l’imposizione della nuova Legge sulla sicurezza nazionale e una riforma elettorale che impedisce a qualsiasi politico anti-Pechino di avere un seggio nelle istituzioni locali. Se non regge il principio “un Paese due sistemi” su cui finora si era basato il rapporto fra Pechino e Hong Kong, anche il principio analogo su cui si è retto quello fra Pechino e Taipei potrebbe essere disatteso dal regime comunista.
Il discorso di insediamento di Lai Ching-te, a orecchi occidentali, può apparire come un inno alla pace e un appello alla calma. «Voglio anche esortare la Cina a smettere di intimidire Taiwan politicamente e militarmente, e ad assumersi davanti al mondo la responsabilità con Taiwan di lavorare duramente per mantenere la pace e la stabilità attraverso lo Stretto di Taiwan e nella regione, per garantire che il mondo non abbia paura che scoppi una guerra - ha detto Lai - Vogliamo anche dichiarare questo al mondo: Taiwan non fa concessioni sulla democrazia e sulla libertà. La pace è l’unica opzione e la prosperità è il nostro obiettivo per la pace e la stabilità a lungo termine».
Questo discorso già suona come una provocazione per i comunisti cinesi. Infatti Lai parla di “Cina” e di “Taiwan” come se fossero due paesi distinti. Per Pechino, al contrario (ufficialmente anche per tutta la comunità internazionale), Taiwan è una provincia della Cina. Finora si è usato il termine di “Cina continentale” per distinguerla dalla “Repubblica di Cina”, nome ufficiale di Taiwan. «Concittadini, abbiamo l’obiettivo di perseguire la pace, ma non dobbiamo farci illusioni - ha proseguito Lai - Prima che la Cina rinunci a usare la forza per invadere Taiwan, i cittadini devono capire questo: anche se accettiamo tutte le rivendicazioni della Cina e rinunciamo alla nostra sovranità, l’ambizione della Cina di annettere Taiwan non scomparirà», ribadendo poi che la Repubblica di Cina e la Repubblica Popolare Cinese «non sono subordinate l'una all'altra».
La risposta cinese non si è fatta attendere. Tre giorni dopo il discorso di insediamento di Lai, il 23 maggio, le forze del Comando Orientale cinese hanno dato il via a una grande esercitazione. Le forze armate taiwanesi hanno finora contato 49 aerei, 15 navi, 16 unità della guardia costiera, a ridosso dello spazio aereo e marittimo della Repubblica di Cina (non esiste un vero confine) schierate tutt’attorno all’isola di Taiwan. Per i cinesi si tratta di un’esercitazione per coordinare le forze aeree e marittime in azioni combinate, bloccare i porti taiwanesi, preparare uno sbarco. Ci sono alcune novità, rispetto alle manovre precedenti: sono coinvolte anche le isole periferiche, al largo della costa orientale cinese: Kinmen, Matsu, Wuqiu e Dongyin, le terre più esposte della Repubblica di Cina. Droni cinesi hanno anche circumnavigato completamente l’isola di Taiwan.
Secondo quanto annunciato da Pechino, le esercitazioni dureranno due giorni, dunque meno rispetto a quelle lanciate a seguito della visita di Nancy Pelosi (allora speaker della Camerca del Congresso Usa) a Taipei, nell’agosto del 2022, manovre imponenti che erano durate quattro giorni. Meno rispetto a quelle dell’anno successivo, quando ad incontrare l’allora presidente taiwanese Tsai Ing-wen era stato il successore della Pelosi, il repubblicano Kevin McCarthy. Anche lo schema delle esercitazioni, a parte le parziali novità viste prima, non è differente rispetto alle precedenti.
Quel che fa la differenza è la retorica bellicosa delle massime autorità cinesi, un’escalation di parole che non può lasciare indifferenti. Ad esempio, il portavoce ufficiale dell’Esercito Popolare di Liberazione (l’esercito cinese, ndr) parla delle esercitazioni a Taiwan come di una «severa punizione per gli atti separatisti delle forze indipendentiste di Taiwan» e ovviamente anche di un «forte avvertimento contro l’interferenza e le provocazioni di forze esterne». Peggio ancora il ministero degli Esteri di Pechino che ha rilasciato una nota a dir poco brutale, in cui si afferma che «Le forze indipendentiste di Taiwan resteranno con la testa rotta e il sangue che scorre dopo essersi scontrate con la grande... impresa della Cina di raggiungere la completa unificazione». In un editoriale dell’agenzia ufficiale Xinhua, si accusa Lai di aver proclamato, nel suo discorso di insediamento, un “manifesto” per l’indipendenza di Taiwan.
Le parole hanno un senso e la Cina ha fallito tutti i tentativi di riunificazione pacifica di Taiwan al suo sistema. Ha fallito nell’integrazione economica e le sue intimidazioni militari hanno sortito l’effetto contrario, con l’elezione del più indipendentista fra i candidati alla presidenza. Per questo Pechino non esclude l’azione militare. Per Xi Jinping l’annessione completa di Taiwan al resto della Cina vorrebbe dire chiudere quel che Mao lasciò aperto nel 1949, quando sottomise al Partito Comunista tutta la Cina continentale, ma non l’isola di Taiwan.
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