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settimana di preghiera per l'unità dei cristiani

La Chiesa e l'Europa respirano con due polmoni

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Guardare alla passata unione tra Oriente e Occidente per ricomporre le fratture ecclesiali e politiche. Su La Bussola Mensile mons. Cyril Vasiľ ripercorre la via maestra indicata da San Giovanni Paolo II. Un estratto dal numero di gennaio.

Ecclesia 24_01_2025

L’elezione al soglio pontificio dell’arcivescovo di Cracovia, il cardinale Karol Wojtyła, il 16 ottobre 1978, è entrata nella storia della Chiesa in modo sorprendente, sconvolgendo i vecchi paradigmi ecclesiali e culturali. (...) Infatti, la divisione europea di quel periodo non era solo politica, ma soprattutto religiosa e spirituale. Per questo motivo, Giovanni Paolo II percepiva con urgenza la necessità di promuovere l’unità dei cristiani. In questo percorso ha fatto riferimento alla figura simbolica del poeta e pittore russo Vjačeslav Ivanov.

Il 17 marzo 1926 Ivanov aveva confessato il Credo cattolico nella basilica di San Pietro a Roma e, come scrisse a Charles du Bos, aveva avuto la consapevolezza di «sentirmi per la prima volta ortodosso nella pienezza dell’accezione di questa parola, in pieno possesso del tesoro sacro che era mio dal battesimo, e il cui godimento, negli anni, non era stato libero da un sentimento di malessere, divenuto a poco a poco sofferenza, per essere staccato dall’altra metà di questo tesoro vivo di santità e di grazia, e di respirare, per così dire, come un tisico con un solo polmone» (V. Ivanov, Lettre à Charles Du Bos, 1930, in V. Ivanov et M. Gerschenson, Correspondance d’un coin à l’autre, Ed. L’Âge d’Homme, Losanna 1992).
Parafrasando questa descrizione di un convertito russo, il 31 maggio 1980, a Parigi, di fronte ai rappresentanti delle comunità cristiane non cattoliche, papa Giovanni Paolo II affermava: «Non si può respirare come cristiani, direi di più, come cattolici, con un solo polmone; bisogna aver due polmoni, cioè quello orientale e quello occidentale» (Allocutio Lutetiae Parisiorum ad Christianos fratres a Sede Apostolica seiunctos habita, 31 maggio 1980: AAS 72 [1980] 704).

Riaccendere la sensibilità verso l’Oriente cristiano è un requisito fondamentale per poter progredire sulla strada dell’unità dei cristiani. (...) Per Giovanni Paolo II, l’eredità dei Padri, testimoniata dalla viva e vivace esperienza dell’Oriente cristiano profondamente radicato in essi, era la via maestra per il ritrovamento dell’unità di una Chiesa indivisa e un modo per superare le divisioni politico-sociali parzialmente originate dalla divisione confessionale.

La ricerca dell’unità dei cristiani era, nell’ottica di Giovanni Paolo II, inseparabile anche dalla ricerca dell’unità d’Europa, uno dei temi chiave del suo pontificato. Questo concetto è stato espresso dal pontefice nel suo magistrale discorso sull’Europa, pronunciato a Santiago di Compostela il 9 novembre 1982. Per Giovanni Paolo II, la storia della formazione delle nazioni europee è parallela a quella della loro evangelizzazione, al punto che le frontiere europee coincidono con quelle della penetrazione del Vangelo. Dopo venti secoli di storia, nonostante i sanguinosi conflitti che hanno contrapposto i popoli d’Europa e nonostante le crisi spirituali che hanno segnato la vita del Continente, si deve ancora affermare che l’identità europea è incomprensibile senza il cristianesimo. L’incontro tra il Vangelo e le culture ha fatto sì che l’Europa diventasse un “laboratorio” in cui, nel corso dei secoli, si sono consolidati valori significativi e duraturi.

Questa visione dell’unità spirituale europea non è una novità. Tuttavia, all’inizio degli anni Ottanta, Giovanni Paolo II rilanciò questa idea, aggiungendo la suggestiva immagine di un’Europa che respira con due polmoni (occidentale e orientale), identificabili nelle figure dei santi Benedetto da Norcia e Cirillo e Metodio, patroni d’Europa. Giovanni Paolo II sottolineava che Benedetto seppe unire la romanità con il Vangelo, il senso dell'universalità e del diritto con il valore di Dio e della persona umana. Con il suo famoso motto «ora et labora» (prega e lavora), ci ha lasciato una regola valida ancora oggi per l’equilibrio della persona e della società. Cirillo e Metodio, invece, seppero anticipare alcune conquiste che la Chiesa ha pienamente assunte nel Concilio Vaticano II circa l’inculturazione del messaggio evangelico nelle rispettive civiltà, assumendone la lingua, i costumi e lo spirito della stirpe in tutta la loro pienezza. Questo lo realizzarono nel secolo IX, con l’approvazione e l’appoggio della Sede Apostolica, dando così inizio a quella presenza del cristianesimo tra i popoli slavi che perdura ancora oggi, nonostante le difficoltà del momento attuale. (...)

In questo doppio richiamo di Giovanni Paolo II – cioè ai due polmoni di una Chiesa indivisa e alle figure dei santi Cirillo e Metodio come testimoni della passata unione fra l’Oriente e l’Occidente e precursori di una rinnovata unione – possiamo notare tutto l’apprezzamento che il santo Pontefice ha dimostrato alle Chiese d’Oriente durante tutto il suo pontificato.
Questa valorizzazione dell’Oriente cristiano nel suo insieme portava Giovanni Paolo II anche alla valorizzazione dell’attuale presenza delle Chiese orientali cattoliche, testimoni di fedeltà e di unità con Pietro e con la Chiesa di Roma, e portatrici della grande tradizione dell’Oriente cristiano, radicato nella tradizione degli apostoli.

A tutte queste realtà si riferiva Giovanni Paolo II nel suo discorso ai greco-cattolici slovacchi del 2 luglio 1995, nel quale possiamo cogliere il suo sentimento nei confronti delle Chiese Orientali: «L’unità della Chiesa di Cristo è abbellita dalla koinonia delle legittime diversità che, lungo la storia, hanno permesso al vivificante annuncio del Vangelo di diventare patrimonio peculiare e tradizione propria di ogni popolo. Voi, fratelli e sorelle di rito orientale, per secoli avete conservato la vostra liturgia, avete raccolto un multiforme patrimonio spirituale che caratterizza la vostra Chiesa e che si esprime negli edifici sacri, nelle icone, nei canti, nelle devozioni. Siate riconoscenti a Dio per la ricchezza che vi è stata elargita, e rimanete fedeli ai doni che Egli vi ha dato! (...)».

Le parole del Pontefice circa la necessaria salvaguardia della presenza arricchente delle comunità cattoliche orientali hanno una portata universale, oggi ancora più accentuata. Pensiamo, per esempio, a quelle comunità cattoliche orientali che si trovano a vivere in un contesto religioso e culturale maggioritario latino o, ancora di più, non cristiano, come nel Medio Oriente contemporaneo, dove si registra una diminuzione o, per meglio dire, un “prosciugamento” delle comunità a causa delle guerre e dei relativi flussi migratori. Oggi più che mai, il richiamo alla salvaguardia di queste comunità diventa profetico.

* Arcivescovo eparchiale di Košice (Slovacchia)

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