«La bioetica fa riscoprire i fondamenti dell’uomo»
«Chi mette la bioetica nel “ripostiglio”, prima di essa, in realtà, ha riposto i suoi fondamenti antropologici e morali». «Le coscienze sono confuse e assuefatte da una realtà dove il male è presentato come bene tollerabile se non addirittura indifferente, sono alienate e abituate a vivere “etsi Deus non daretur”». Intervista alla professoressa Giorgia Brambilla, allieva di Mario Palmaro e curatrice del manuale “Riscoprire la Bioetica. Capire, formarsi, insegnare”.
La filosofia è quella cosa con la quale o senza la quale il mondo rimane tale e quale. Il giudizio - assolutamente fallace - potrebbe, a parere di molti, essere riprodotto in modo identico per la bioetica. Anzi, la stragrande maggioranza delle persone, anche colte e istruite, non sanno assolutamente cosa sia la bioetica, ossia di cosa si occupa.
Ben vengano quindi manuali per non addetti ai lavori che espongano i fondamenti della bioetica. Uno di questi, fresco di stampa per i tipi di Rubbettino, è Riscoprire la Bioetica. Capire, formarsi, insegnare, libro collettaneo a cura di Giorgia Brambilla, docente presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma. Le tematiche attraverso le quali gli autori, tra cui molti di giovane tempra, hanno articolato i loro interventi sono molteplici: si va dalla bioetica fondamentale al biodiritto, dall’aborto all’eutanasia, dalle neuroscienze alla morte cerebrale e molto altro.
Non potendo qui dare conto in modo analitico di ogni singolo snodo concettuale presente nel testo e commentarlo adeguatamente, ci limitiamo a dire che l’orientamento generale dello stesso - aspetto confermato in massima parte dagli autori citati - è certamente valido perché incardinato sul personalismo ontologicamente fondato.
Dal momento che, come si sente spesso dire, le questioni attinenti alla vita e alla morte interrogano le coscienze di tutti noi, abbiamo deciso di interrogare la curatrice medesima del volume, la professoressa Brambilla.
Professoressa, qualcuno potrebbe obiettare: «Ancora un libro sulla bioetica!». Il tema non le sembra un po’ frusto, un po’ superato?
Smettiamo di usare qualcosa quando non ci serve più e solitamente questo avviene non quando si rompe, il che avrebbe senso, ma il più delle volte quando quell’oggetto ci sembra inadatto, sorpassato. Con i problemi morali, purtroppo, si tende a fare lo stesso: la scienza va velocissima, cambia lo stile di vita, ci sono nuove problematiche e nuovi interrogativi che prima forse non ci si poneva neppure e, un po’ incoraggiati dalla mentalità consumista dell’“usa e getta” ma soprattutto trascinati dalla corrente relativista-eraclitiana del “panta rei” (tutto scorre), crediamo che anche i valori di sempre siano ormai sorpassati e ne cerchiamo di nuovi, o forse non li cerchiamo affatto. Chi mette la bioetica nel “ripostiglio”, prima di essa, in realtà, ha riposto i suoi fondamenti antropologici e morali.
È vero che, in un tempo in cui l’ambito assiologico e ancor prima quello oggettivo e reale sono sovrastati dalla mutevolezza di quello culturale, emotivo e soggettivo, la bioetica rischia di perdere non solo la sua utilità, ma prima ancora la sua identità. Per riscoprire la Bioetica, bisogna riscoprire una delle più importanti caratteristiche di questa disciplina: la formazione delle coscienze a partire dall’oggettività del reale. E l’unico modo per farlo è ripartire da ciò che è valido sempre: non importa dove l’uomo si trovi, in quale epoca, in quale luogo geografico, in quale cultura sia innestato; il valore della vita umana, la sua dignità, la legge scritta da Dio nella sua natura rimangono intatti, anche se il sistema economico, la prassi medica, la legge o le ideologie tentano di sovvertirli.
Nel testo vi sono molti riferimenti al Magistero. Il volume quindi si rivolge solo ai cattolici?
Non nascondo il fatto che questo libro nasce dal desiderio di offrire un servizio prima di tutto ai “nostri”, armando con una formazione solida e mirata lo zelo di chi è in prima linea nella Buona Battaglia per la vita. Il testo, infatti, si propone come una formazione di base per “non addetti ai lavori”, in particolare educatori (insegnanti, sacerdoti, catechisti, ecc.) e pro life.
Questo non significa, però, che il manuale si rivolga solo ai cattolici. Pensare che il riferimento alla scienza teologica escluda qualcuno o addirittura che ne comprometta la scientificità è un pregiudizio di ascendenza heideggeriana, secondo cui “chi crede non pensa”. Oggi è ancora più lampante, invece, il fatto che un’etica costruita alla luce della sola ragione sarà in grado soltanto di stabilire dei limiti approssimativi all’oggettivazione dell’altro che però alla fine risulterà inevitabile: l’uomo, infatti, è sempre tentato da una forma di utilitarismo. C’è bisogno di una sapienza sull’uomo senza la quale le soluzioni etiche non soddisfano.
Lei scrive che oggi occorre «resistere contro l’ethically correct come pretesa moderna di creare un piano di morbida tolleranza che si mette a “dialogare” con il male morale, anziché denunciarlo». Cosa voleva dire?
Come scrive san Giovanni Paolo II nella Veritatis Splendor al n. 94, la crisi più pericolosa che possa affliggere l’uomo è la confusione tra cosa è bene e cosa è male. Poiché le tematiche bioetiche si svolgono nell’arena pubblica, in cui si incontrano culture e religioni differenti, si crede che il dialogo sarebbe favorito da una discussione impostata sulla sola ragione e la morale si dovrebbe accontentare di una “grammatica minima” e di un’antropologia debole. Solo che il “paravento” del pluralismo è in realtà uno strumento ideologico per escludere a priori la verità fino a considerarla dannosa, compromettendo la ragione stessa fino all’implosione della morale - e in questo caso della bioetica, che diventa incapace di indicare chiaramente cosa è giusto e cosa è sbagliato e di rispondere alla domanda di senso insita in tutti i suoi temi.
Il mondo pro life e pro family ha bisogno di bioetica?
Le coscienze sono confuse e assuefatte da una realtà dove il male è presentato come bene tollerabile se non addirittura indifferente, sono alienate e abituate a vivere “etsi Deus non daretur”. Questa è la situazione che le associazioni cattoliche si trovano davanti quando provano a difendere la vita e la famiglia: un panorama desolante in cui ogni dato di natura, e quindi essenziale, è totalmente stravolto. Per contrastare radicalmente questa situazione, non bastano “slogan”, servono contenuti e, dunque, formazione. Non basta dire no, bisogna capire perché una certa scelta è scorretta, passando dal fatto di cronaca al fondamento antropologico ed etico. È con queste basi, infatti, che si possono aiutare le persone a cogliere la validità o meno di una posizione o di un atto medico e la drammatica interconnessione tra tutti i temi legati alla vita umana.
Da due anni coordino il corso di Bioetica dell’associazione pro life “Famiglia Domani” che ha proprio questi intenti; il testo raccoglie, tra gli altri, anche i contributi dei docenti di questo corso.
Quali priorità oggi sui temi di bioetica?
Bisogna ripartire dai temi classici, quelli di cui la gente parla all’uscita da scuola o quando fa la fila alle poste; dalla contraccezione all’eutanasia passando per la fecondazione artificiale - con il coraggio da un lato di riaprire il dibattito su questioni diventate ormai tabù, come ad esempio la cosiddetta “morte cerebrale” a cui il Manuale dedica un intero saggio ad opera del professor Josef Seifert - e dall’altro di affacciarsi su temi nuovi e già controversi - come, ad esempio, la manipolazione genetica, il transumanesimo e le dipendenze giovanili. La vera sfida però è quella fondativa. Il libro, infatti, dopo la storia della bioetica e la sua proposta di revisione epistemologica, comprende una vera e propria “guida” morale e un capitolo sui presupposti filosofici; segue, tra la parte fondativa e quella speciale, una sezione biogiuridica, trattata in modo chiaro e accessibile, oggi come non mai di grande attualità.
Il manuale è dedicato alla memoria di Mario Palmaro: quanto ha inciso sulla sua formazione?
Palmaro è stato uno dei primi professori incontrati all’interno del mio percorso di studi alla Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum ed è stato il direttore della mia tesi dottorale “Il mito dell’uomo perfetto. Le origini culturali della mentalità eugenetica”.
A lezione, ogni tema veniva da lui trattato con una tale ricchezza di particolari storici, culturali, giuridici, filosofici che solo la grandezza della sua fede poteva motivare. Ma c’è un aspetto per il quale gli siamo tutti “debitori” e che lo rende un autentico pioniere di questa materia: la sua irreprensibilità argomentativa di fronte al male morale. Anche a costo di essere impopolare, nulla lo avrebbe fatto scendere a compromessi di fronte a una legge iniqua. Aveva quella forza e chiarezza per scuotere le coscienze dalla tendenza all’omologazione, a suo giudizio uno dei nemici più grandi che incontriamo nella battaglia quotidiana su questi temi e che dobbiamo vincere con la verità; perché, come diceva Palmaro, «la verità, per quanto sostenuta da un piccolo numero di persone, non muore».