Israele, la riforma della giustizia divide il Paese
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Protesta di massa (e violenta risposta della polizia) in Israele. La Knesset ha approvato la prima delle riforme della giustizia volute da Netanyahu. L'opposizione teme la fine della democrazia. Paura di guerra civile.
Cannoni ad acqua, forze dell'ordine in tenuta antisommossa e polizia a cavallo che carica i manifestanti. Scene di ordinaria amministrazione a Gerusalemme e in tutto Israele. Da ben trenta settimane gli israeliani stanno scendono in piazza per manifestare contro la riforma della giustizia voluta dal governo di Benjamin Netanyahu, appoggiato da una coalizione ritenuta la più a destra della storia del paese mediorientale.
Un centinaio di manifestanti è partito a piedi da Tel Aviv per una sorta di un "pellegrinaggio" fino a Gerusalemme a sostegno della democrazia e in opposizione al governo. In poco meno di una settimana è giunto a Gerusalemme, ma il numero non era più quello originario, erano diventati oltre centomila. Hanno invaso le strade, le piazze e si sono accampati davanti alla Knesset. Tutti con la bandiera di Israele. Uomini, donne, laici e religiosi, docenti universitari in sciopero, riservisti, soldati, giudici, diplomatici, che oggi vengono tacciati dal governo come terroristi e anarchici.
Il primo ministro ha dato l’ordine alle forze di sicurezza di disperderli e la polizia è stata brutale. Circolano dei video che mostrano, sull'autostrada Ayalon, un agente di polizia tirare per i capelli una manifestante gettandola oltre un muro, mentre un altro ufficiale è stato visto prendere a calci in testa un manifestante. Per Moshe Redman, uno dei leader della protesta, questi casi di brutalità della polizia sono «gravi e devono essere indagati. La polizia deve condurre un’inchiesta approfondita di come ciò sia potuto accadere e deve fornire una risposta adeguata».
Nonostante questa massiccia protesta, la Knesset, con 64 voti a favore su 120, (l'opposizione compatta ha disertato l'aula) ha approvato la modifica della "clausola di ragionevolezza", uno dei punti chiave della riforma giudiziaria.
Ma non è finito, si vocifera che la protesta proseguirà, anche se martedì scorso la situazione era più calma. Per Israele, l’approvazione della legge che ha abolito il criterio di ragionevolezza (col quale la Corte Suprema poteva annullare leggi o provvedimenti ritenuti incongrui) è un prezzo alto da pagare. Il 30 luglio la Knesset chiuderà i lavori per la pausa estiva che si protrarrà fino al 15 ottobre, dopo la conclusione delle festività ebraiche autunnali.
Ma il malcontento è evidente sui volti delle persone. Un'indagine pubblicata ieri evidenzia che il 78% degli israeliani è contrario a questa politica del governo, il 28% degli intervistati sta considerando il trasferimento all'estero, oltre la metà, il 54%, ha affermato di temere che la revisione giudiziaria stia danneggiando la sicurezza di Israele, mentre il 56% è preoccupato per la guerra civile. I quotidiani hanno pubblicato la loro prima pagina tutta in nero per evidenziare il triste momento che sta attraversando la democrazia israeliana. L’agenzia Morgan Stanley, infatti, ha declassato il rating del debito israeliano a causa delle incertezze sul futuro dell’indipendenza del potere giudiziario, Moody’s già lo aveva fatto ad aprile, mentre Citibank ha sconsigliato di investire in Israele. Lo shekel, la moneta ufficiale, è stato svalutato. Uno scenario pesante per Israele che mina le fondamenta dello Stato.
Ma quello che sta accadendo a Gerusalemme è forse l'inizio di una nuova distruzione del Tempio? E se questa volta gli zeloti riuscissero a creare uno stato messianico in grado di distruggere la democrazia israeliana, perseguitando arabi, laici, donne e cittadini in genere? Sono questi alcuni degli interrogativi che si pone il professor Yuval Noah Harari, storico e cofondatore della società di impatto sociale Sapienship. «Spero che il governo di Israele fermi la sua presa di potere antidemocratica, guarisca le ferite nazionali, spenga le fiamme che ha acceso e prevenga una Terza distruzione, sia materiale che spirituale - sottolinea -. E se il governo di Israele continua con le sue pericolose politiche, allora è dovere di tutti gli ebrei, ovunque vivano, resistergli in ogni modo nonviolento che conosciamo. Per fare ciò - conclude - è importante che ci rendiamo conto che ciò che sta accadendo in questo momento in Israele non è una fugace lotta politica, ma un evento storico decisivo che plasmerà la storia ebraica per le generazioni a venire».
Noah Harari non è il solo a porsi degli interrogativi e a prendere delle dure prese di posizione. È il caso di Ehud Olmert, l'ultraottantenne ex primo ministro, che oltre ad essere quasi sempre in prima fila nelle manifestazioni, ha dichiarato: «Israele rischia di entrare in una guerra civile. È una minaccia seria e non va assolutamente sottovalutata. Il governo ha deciso di scalfire le fondamenta della democrazia israeliana. E questo non è qualcosa che possiamo accettare o che possiamo tollerare».
Intanto è iniziata la battaglia alla Corte suprema che dovrà valutare se questa riforma è valida o meno. La discussione potrebbe cominciare già il prossimo mese.
L'Autorità palestinese, Hamas e altre importanti fazioni palestinesi hanno finora evitato di commentare direttamente la crisi che sta attraversando Israele. Ma analisti politici e editorialisti di parte palestinese non hanno esitato a esprimere le loro opinioni. È difficile ignorare il tono di soddisfazione nelle loro dichiarazioni sull'aggravarsi della crisi, in particolare sul rifiuto dei riservisti e dei piloti dell'IDF di garantire i loro servizi e tra i funzionari palestinesi di Ramallah si fa più consistente la speranza che la crisi finisca per far cadere il governo israeliano.