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TRATTATIVE

Iran nucleare, ora Trump passa la palla agli europei

“Questa è l’ultima occasione” – ha dichiarato ieri Donald Trump, riguardo alla revisione dell’accordo sul programma nucleare dell’Iran. O viene riformato, o tornano le sanzioni. Contrariamente alle aspettative, l'accordo resta. Spetta ai sottoscrittori europei accettare eventuali modifiche.

Esteri 13_01_2018
Federica Mogherini con Mohammad Zarif, ministro degli Esteri iraniano

“Questa è l’ultima occasione” – ha dichiarato ieri Donald Trump, riguardo alla revisione dell’accordo sul programma nucleare dell’Iran – “In mancanza di una revisione, gli Stati Uniti non terranno ulteriormente congelate le sanzioni per rispettare l’accordo sul nucleare iraniano”. Inoltre, dice il presidente americano, “Se in un momento qualsiasi io valuterò che il negoziato non porterà a nulla, mi ritirerò immediatamente dall’accordo”. Parole che suonano come un ultimatum e, in un certo senso, lo sono. Ma contrariamente alle aspettative, hanno un altro significato: l’accordo sul nucleare, voluto da Obama e dalla Mogherini, resta, nonostante la retorica da “falco” del nuovo presidente.

Dopo molte anticipazioni contrastanti, alla fine Trump ha fatto come al solito, come per la Corea del Nord e come per il trasferimento dell’ambasciata a Gerusalemme: annuncia grandi cambiamenti e rotture unilaterali, fa capire che le può fare da un momento all’altro, ma alla fine conferma la vecchia politica estera Usa. La minaccia serve a stimolare il negoziato e ad ottenere risultati più favorevoli per gli Stati Uniti. Se con la Corea del Nord continua ad essere rinnovato l’invito al tavolo delle trattative e con Israele ad essere rinviato il momento del fatidico trasferimento d’ambasciata, anche con l’Iran è di nuovo rimandato il momento in cui le sanzioni escono dal congelatore e tornano ad essere applicate. Può trarre in inganno l’introduzione, decisa ieri, di nuove sanzioni contro 14 personalità della Repubblica Islamica, tra cui il capo della magistratura di Teheran, Sadegh Larijani, e una rete di aziende cinesi. Si tratta però di sanzioni che non riguardano il programma nucleare, bensì la repressione del moto di contestazione delle scorse settimane (20 morti e 4000 prigionieri politici) e il programma missilistico.

L’accordo sul programma nucleare, che resta in vigore, è stato firmato a Vienna nel 2015. La causa è la minaccia costituita dalla prospettiva (prossima o remota, a seconda dei vari rapporti di intelligence) che la Repubblica Islamica possa diventare una potenza nucleare e punti i suoi missili sui nemici regionali, Israele e Arabia Saudita soprattutto. Promosso principalmente dall’Ue, con Federica Mogherini in veste di Alta Rappresentante e accettato di buon grado da Barack Obama, il trattato prevede per l’Iran, in cambio del congelamento delle sanzioni economiche, la sospensione del processo industriale di arricchimento dell’uranio (materiale utile per la fabbricazione di testate nucleari), con la riduzione delle centrifughe (usate per l’arricchimento), la rinuncia al 97% delle scorte di uranio già arricchito e la riduzione del grado di arricchimento a un massimo del 3,6% (per costruire una testata nucleare serve uranio arricchito al 90%). In più, si prevede che l’Iran apra le porte agli ispettori. Ma in uno dei punti più controversi di questo accordo, Teheran può contestare l’ispezione e in tal caso gli osservatori dovranno ritardare la loro “visita” di 24 giorni. I critici dell’accordo, soprattutto i Repubblicani, ritengono che 24 giorni siano sufficienti per nascondere le prove di un eventuale programma nucleare segreto. Ipotesi da non scartare, considerando che tutto il progresso dei piani atomici iraniani rimase clandestino per un decennio, almeno finché non venne denunciato da dissidenti nel 2002. Ma anche se l’Iran dovesse accettare e rispettare alla lettera tutte le clausole, un’eventuale ripresa del programma nucleare porterebbe potenzialmente alla costruzione di armi nucleari in almeno un anno. Una finestra di tempo ancora molto ridotta per implementare eventuali contromisure da parte dei potenziali bersagli (Israele e Arabia Saudita, soprattutto).

Donald Trump, già in campagna elettorale, aveva definito l’accordo “il peggiore possibile”. In ottobre, il presidente non aveva “certificato” al Congresso la buona fede dell’Iran nel rispettare i termini del trattato. Allora il presidente aveva passato la palla al legislativo, minacciando un ritiro unilaterale in caso di mancata riforma della legge che recepisce il trattato. L’obiettivo della Casa Bianca è quello di fissare paletti: se l’Iran li dovesse passare, la nuova legge dovrebbe consentire il ritiro unilaterale degli Usa. Il testo della nuova norma è ancora oggetto di dibattito in Congresso. Trump non aveva fissato scadenze, comunque. Adesso, rinnovando il congelamento delle sanzioni, Trump passa la palla ai governi europei firmatari, i quali dovranno accettare le modifiche al testo. La minaccia è sempre quella: un ritiro unilaterale degli Usa. A latere, agli alleati europei il presidente Usa chiederà probabilmente di accettare nuove sanzioni contro il programma missilistico dell’Iran. Che per altro ci riguarda direttamente: i missili più a lungo raggio testati dalle Guardie Rivoluzionarie, gli Shehab-3, possono già raggiungere ampie aree dell’Europa orientale.