«Io, primo giornalista italiano ad arrivare a Medjugorje»
Le prime notizie di eventi straordinari in un piccolo villaggio dell’Erzegovina sconosciuto anche alle mappe, le reazioni del regime comunista, l’arresto del parroco, la testimonianza di un lampo di luce che solcava il cielo. Pubblichiamo alcuni estratti del capitolo dedicato a Medjugorje del libro “Verità e beffe del secolo passato” (Marcianum Press), autobiografia del nostro collaboratore Graziano Motta. All’epoca, Motta era corrispondente dell’Ansa da Belgrado ed è stato il primo giornalista italiano a raccontare degli eventi di Medjugorje.
Un paradosso: apparsa la Madonna a Medjugorje - e sono stato il primo giornalista italiano a darne notizia - né io né altri colleghi, abbiamo parlato della Madonna “di” Medjugorje. Questo toponimo era del tutto sconosciuto al mondo dell’informazione e lo sarebbe rimasto per quasi tre mesi successivi alla prima manifestazione dell’evento, il 24 giugno 1981. Da corrispondente dell’agenzia di stampa ANSA dalla Jugoslavia, ho scritto per la prima volta della “collina di Medjugorje” il 12 settembre e per la prima volta del “parroco di Medjugorje” il 23 ottobre, giorno in cui a Belgrado si seppe della condanna a tre anni e mezzo di carcere del frate francescano Jozo Zovko, per “atti di propaganda ostili” al regime comunista.
Fino a quel giorno il riferimento geografico era stato Bijakovic, un paese di 2.200 abitanti [Bijakovići è, come Medjugorje, una frazione del comune di Čitluk, ndr]. E di Bijakovic parlò il quotidiano belgradese Politika che infranse la cortina di silenzio imposta dal potere politico su scala nazionale quando non gli fu più possibile nascondere quel che accadeva a una trentina di chilometri da Mostar, capoluogo dell’Erzegovina. E che i suoi esponenti locali e regionali non erano riusciti a soffocare: innanzi tutto perché nel comune di Bijakovic, richiamati dalle apparizioni della Madonna a sei giovani della zona, continuavano ad affluire, specie la domenica, migliaia di persone, in prevalenza fedeli cattolici provenienti dalla Croazia, e per le voci di guarigioni prodigiose; e poi per i risvolti politici che si erano sovrapposti sull’evento religioso.
Era accaduto infatti che alcuni sconosciuti, nella zona collinare di Podbrdo (Sotto il monte), ove veniva accreditata la prima apparizione della Madonna, sovrastante il villaggio e la chiesa di Medjugorje, avevano disegnato la sagoma dei berretti dei nazionalisti croati di quarant’anni prima, quelli del regno “ustascia” nazi-fascista, e avevano scritto «Tutti con Cristo contro il comunismo». Abbastanza per allarmare l’establishment comunista, far entrare in azione la sua polizia segreta e la sua macchina giudiziaria con l’intento immediato di gettare discredito sull’asserito “prodigio” e di fermare il crescente interesse dei fedeli.
Così mentre il parroco Jozo Zovko era arrestato con il pretesto di una predica “ostile” e un altro suo confratello francescano, Ferdo Vlasic, subiva la condanna a 60 giorni di carcere; e mentre nel loro convento, adiacente alla chiesa, veniva compiuta una perquisizione alla ricerca di materiale compromettente, l’apparato politico imbastiva una controffensiva di stampa per sostenere che le apparizioni erano una montatura messa su con finalità politiche dai due frati, accusati infatti di aver subornato i sei ragazzi, facendo loro dire delle “menzogne”.
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Le prime notizie riferivano di quattro ragazze e due ragazzi concordi nel sostenere che la Madonna «bella e giovane» appariva loro ogni giorno vestita di azzurro e attorniata di luce. Alla prima apparizione avevano avuto paura ed erano fuggiti ma da allora avevano intrecciato con lei un dolce dialogo. Il 12 settembre seppi dell’arresto di un altro frate, Jozo Krizic, e della venuta a Belgrado del provinciale francescano per informare la Nunziatura Apostolica. Come mi avrebbe confermato l’allora consigliere della Nunziatura, mons. Giovanni Tonucci, mio carissimo amico.3
Lo stesso giorno il quotidiano Politika dava sfogo al preoccupato, e insieme indignato, spiazzamento del potere comunista riferendo le reazioni del presidente dell’Alleanza socialista di Citluk: «Il popolo è contro gli abusi della fede per scopi politici ed è pronto a difendere le conquiste della Rivoluzione e a preservare la fratellanza e l’unità dei popoli jugoslavi. Per questo dobbiamo chiaramente dire al nostro popolo che ciò che vogliono il vescovo Zanic, i frati Zovko e Vlasic ed altri estremisti è lo stesso di ciò che fa e progetta l’organizzazione terrorista ustascia. Noi non vogliamo più tacere: i clerico-nazionalisti si sono scagliati contro la rivoluzione, contro il sistema costituzionale e contro il socialismo autogestito».
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Nel riferire della condanna, in ottobre, del parroco Jozo Zovko a tre anni e mezzo di carcere, l’agenzia ufficiale di stampa Tanjug lo presentava come «un fanatico propagatore di devozione religiosa» e, nel ricordare che «dopo le pretese apparizioni della Madonna, nelle medesime località venivano scritti slogan dell’organizzazione pro-fascista antijugoslava degli ustascia» sosteneva che «il parroco e i suoi collaboratori avevano organizzato una farsa attorno alle apparizioni per minimizzare il quarantesimo anniversario della rivoluzione socialista e tentare di politicizzare i fedeli».4 Radio Zagabria da parte sua sferrava un attacco senza precedenti alla gerarchia cattolica jugoslava, diffuso dalla Tanjug e ripreso alla grande da tutti i giornali: «La nostra società, sosteneva, non può tollerare oltre che la Chiesa e i suoi dignitari ecclesiastici si attribuiscano il ruolo di suoi arbitri. Sono andati molto più in là della pretesa di avere dei rapporti da partner a partner (con lo Stato) arrogandosi il diritto di emettere un giudizio morale sulla nostra società, e questo è intollerabile».
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Non ricordo la data esatta del mio primo viaggio a Medjugorje, avvenne comunque la sera del 23 o del 24 ottobre di quel 1981, appena conosciuta la condanna del parroco. Da Belgrado, nemmeno con la collaborazione della mia bravissima collaboratrice, la signora Cirilla Bratic, riuscii a ben organizzarlo perché Medjugorje non appariva nelle carte geografiche di cui disponevamo. Comperai un biglietto per la stazione ferroviaria di Cjaplina, la più vicina a Citluk e a Bijakovic, che però - ebbi a scoprirlo sul posto - non aveva con queste cittadine un frequente collegamento di autobus. Per questo sarebbe stato meglio, mi fu detto, muoversi dalla precedente stazione di Mostar.
Dovetti così attendere parecchie ore per un autobus che avrebbe attraversato a semicerchio una zona aspra e povera dell’Erzegovina; ne sarei sceso a un bivio dal quale per una strada locale avrei raggiunto Medjugorje distante alcuni chilometri. A quell’ora, passato mezzogiorno, non c’erano collegamenti di autobus; decisi quindi di incamminarmi a piedi, in una mano la piccola valigia, nell’altra un borsone.
Era una bella giornata, limpida, soleggiata. Sentivo che stavo compiendo un pellegrinaggio mariano, oltre beninteso il mio dovere di giornalista, e che dovevo accompagnarmi con la preghiera. Percorso qualche chilometro, tra un’Ave Maria e l’altra, fui distratto da un improvviso lampo di luce che solcava il cielo e ne fui molto impressionato.
Dovevo poi apprendere a Medjugorje che questo fenomeno era frequente nella zona e veniva collegato alle prodigiose apparizioni della Madonna; da taluni paragonato a quello che nel 1917 aveva accompagnato quelle di Fatima. Anzi se ne parlava tanto da far escludere un fenomeno di allucinazione collettiva. Apprendevo che erano centinaia le persone, non solo di Medjugorje, ma pure di Bijakovic, Citluk e Gradnic [un'altra frazione di Čitluk, ndr], che dicevano di aver visto chiaramente il fenomeno, di non sbagliarsi, di non farneticare, di non essere prevenuti. Nei pressi della chiesa ho visto persone, e mi sono affiancato ad esse, che attendevano la ripetizione del fenomeno del bagliore luminoso che sostenevano di aver già osservato.
Avrei saputo in seguito che il 6 agosto 1981, cioè 42 giorni dopo la prima apparizione della Madonna, nella regione si era prodotto un “inspiegabile” fenomeno: dalle 18,15 alle 18,20 nel cielo si erano stagliati nitidi tre fasci di luce che componevano le lettere mir, parola slava che, dunque anche in croato, significa pace. E avrei pure saputo che la Madonna si era presentata ai “veggenti” affermando Ja sam Kraljica mira (Io sono la Regina della pace).
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Con gli anni tutto quel che è continuato ad accadere a Medjugorje - soprattutto la prosecuzione dei messaggi di Maria e il loro contenuto, la loro diffusione planetaria, oltre che la continuità e intensità dei pellegrinaggi - ha trovato una comprensione e una spiegazione che ne hanno ampliato il significato, la valenza , l’importanza. Non solo religiosa. ll mondo, e ne scrivo nelle ultime pagine di questo libro, ha preso una strada perversa, satanica, di rifiuto del sacro, non solo di Dio ma anche delle leggi di “Madre natura”, nell’ignoranza e persino nel disprezzo della storia e delle tradizioni, nell’esaltazione dell’autoreferenzialità umana, nel gioco di manipolazione e soppressione della vita. Le incidenze e conseguenze nefaste si avvertono in ogni campo, soprattutto in quello sociale. Approfondendo le divisioni. Perché la Madonna di Medjugorje, “regina della pace”, non cessa di ricordare che la salvezza è soltanto in Cristo, attraverso la incessante preghiera e il digiuno.