In Emilia c'è qualcuno che si oppone alle politiche gender
Daniele Marchetti, consigliere della Lega nella Regione Emilia Romagna, si oppone con grande efficacia a due leggi pro Lgbt volute dalla maggioranza. Usando i dati dello stesso Osservatorio sulle violenze di genere, il consigliere d'opposizione dimostra come l'emergenza omofobia non esista. Poi chiede conto di quali associazioni debbano condurre i programmi di (ri)educazione a spese (salate) del contribuente.
Dall’Emilia Romagna viene una preziosa lezione su come contrastare, a livello nazionale, la futura legge Zan. Daniele Marchetti, consigliere del Gruppo Lega Salvini presso la regione Emilia Romagna, ha presentato ieri una interrogazione circa i dati aggiornati dell’Osservatorio sulle violenze di genere. Sul tema “discriminazione” la Regione si è dotata di ben due leggi utili agli attivisti arcobaleno. La prima è la legge quadro regionale n. 6 del 2014 «per la parità e contro le discriminazioni di genere». Nata per riconoscere parità alle donne, ovviamente viene strumentalmente usata anche per sostenere le rivendicazioni LGBT. La seconda è la legge n. 15 del 2019 «contro le discriminazioni e le violenze determinate dall'orientamento sessuale o dall'identità di genere»: dal titolo si evince che è stata varata per soddisfare gli appetiti del mondo gay e trans.
Torniamo alla interrogazione di Marchetti il quale rileva – facendo riferimento ai dati dell’Osservatorio sulle violenze di genere – «la scarsità numerica dei casi di discriminazione di genere [23 in cinque anni], la mancanza di chiarezza sui criteri di valutazione delle presunte violenze, la discriminazione verso chi non la pensa come le associazioni Lgbt». Sono anche pochi i casi di discriminazione per orientamento sessuale in tutta Italia secondo l’Osservatorio Nazionale per la Sicurezza contro gli Atti Discriminatori (Oscad): 212 in nove anni. Meno di 24 all’anno.
Nonostante quindi non si viva in uno stato di emergenza “omofobica” la Regione ha pensato bene di convocare un tavolo di confronto con le associazioni LGBT e, in piena epidemia Covid, si sono stanziati 600.000 euro per «interventi rivolti a preadolescenti, adolescenti e giovani» molti dei quali «a tutela dell’identità di genere, e a superamento degli stereotipi», ossia soldi per indottrinare al credo gender i ragazzi a scuola.
Detto tutto ciò, il consigliere Marchetti chiede alla Regione se l’Oscad figura «tra i “soggetti funzionali alla realizzazione di una Rete conoscitiva” per il citato Osservatorio […] e, in caso contrario, per quale ragione sia stata scelta l’Istat»; «se nella “raccolta dei dati” dell’Osservatorio citato venga opportunamente distinta la mera segnalazione di casi apparsi sulla stampa o dichiarati da soggetti privati da quelli che hanno intrapreso un effettivo percorso giudiziario e quale ne sia stato il definitivo esito penale», perché non tutte le segnalazioni corrispondo a veri casi di discriminazione. Infine il consigliere chiede «quali siano le associazioni LGBTI “convocate al tavolo di confronto”».
Perché l’iniziativa del leghista Marchetti può fare scuola sia a livello nazionale per contrastare leggi simili al Ddl Zan sia a livello locale per arginare o frenare derive pro ideologia LGBT? Per più motivi. Qui, per ragioni di brevità, ne vogliamo indicare solo quattro. In primis perché una strategia efficace è quella di giocare anche in attacco e non sempre solo in difesa. Bene difendere la famiglia e la libertà educativa, meglio se, accanto a queste azioni, si accompagna anche l’intento di fare i conti in tasca all’avversario chiamandolo alla sbarra degli imputati, mettendolo all’angolo. In tal modo l’avversario, di contro, non userà tutte le sue energie e tutto il suo tempo solo per attaccare, ma anche per difendersi. In secondo luogo l’approccio di Marchetti è lodevolmente pratico, non si arrocca dietro astratti principi: esige una verifica sui numeri, vuole che gli siano indicati dei nomi. In tal senso pretende, dati alla mano, di testare l’efficacia di alcune iniziative color arcobaleno, chiede conto dei risultati ottenuti e degli insuccessi incassati. Anche in tal modo si smaschera la falsità della gender theory. In terzo luogo anche così si fa cultura, a patto che i media riprendano notizie come queste, creando così dibattito e confronto. Infine l’interrogazione di Marchetti dà speranza ai pro-family: invertire la rotta o arrestare o comunque rallentare il processo rivoluzionario arcobaleno è fattibile. Di contro rimanere con le mani in mano a guardare, pur essendo dissenzienti, è il miglior servizio che si può offrire al fronte LGBT.
Se iniziative simili fossero realizzate a tappeto a livello locale – comuni, provincie e regioni – leggi come quelle proposte dall’on. Alessandro Zan probabilmente non troverebbero terreno fertile per poter attecchire. In altri termini non ci sarebbero i presupposti necessari, sia politici che soprattutto culturali, per potersi spingere a varare in Parlamento una legge per tappare la bocca ai dissenzienti. Marchetti quindi, implicitamente, chiede a quel sottobosco di politici locali virtuosi e animati da buona volontà che sono presenti nelle amministrazioni di tutta Italia – e vogliamo credere che non siano pochi – di avere coraggio e di iniziare, ciascuno per la sua parte, ad annodare e intrecciare i fili di quel tappeto che dovrà essere lungo come il nostro stivale.