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QUESTIONE DI FEDE

Il suono delle campane, un senso da recuperare

Un sonetto di Giuseppe Gioacchino Belli ricorda, pur con ironia, quanta importanza si desse un tempo al suono delle campane, che oggi invece alcuni considerano un disturbo. Perché si è perso, anche all’interno della Chiesa, il senso del loro suono.

Cultura 25_06_2022

In un sonetto del 21 aprile 1834, Giuseppe Gioachino Belli si occupa de Le campane. Non è raro aver ascoltato negli ultimi anni persone lamentarsi per il suono delle campane, accusate di disturbare la quiete pubblica. È ovvio che questo è il segno della perdita completa del senso, anche acustico, di ciò che il cattolicesimo rappresentava nelle nostre comunità.

Il sonetto dice:

Le campàn de le cchiese, sor Grigorio, 

sò dde metall’infuso e bbattezzate, 

e vve fanno bbellissime sonate 

a cchi ha cquadrini da pagà er mortorio.


Nun c’è ddiasilla, o pprego, o rrisponzorio 

che, ar modo che le cose sò aggiustate, 

pozzi mejjo d’un par de scampanate 

delibberà cchi ppena in purgatorio. 


Da la condanna ch’er bon Dio je diede 

je se ne scala un anno pe oggni tocco, 

E ggiacubbino sia chi nnun ce crede. 


E ppe cquesto quassù, cchi nnun è ssciocco, 

ner morì llassa l’obbrigo a l’erede 

che jje ne facci dà ttanti a bbajocco.
 

In Belli naturalmente c’è l’ironia che mette in luce un certo mercimonio che era sollecitato dal fatto che si credesse che le scampanate, meglio di un Dies Irae (diasilla) o Responsorio, potessero liberare un’anima in Purgatorio. Fiorenzo Degasperi (Trentino Mese) ci riporta questa credenza: «Nei paesi di montagna era opinione diffusa che il primo di novembre, al suono delle campane, le anime uscissero dal Purgatorio: una vecchia tradizione suggeriva che fossero il suono delle campane benedette e la recita dei rosari dei fedeli a far emergere le anime dalle tombe. In molti paesi ladini le povere anime, dette les püres animes, erano ritenute gli spiriti delle persone che dopo la morte dovevano scontare le pene e purificarsi. Si diceva anche che quella sera le anime del Purgatorio potevano uscire e unirsi ai vivi. Era pertanto tradizione pregare per permetter loro di andarsene dalle tombe e raggiungere il Paradiso. Veniva quindi recitato alla sera un rosario delle anime. I bambini erano invitati a pregare “bene” per facilitare l’ascensione nell’alto dei cieli: se non pregavano in modo corretto venivano sgridati perché le anime sarebbero rimaste a vagare sulla terra. E ciò non doveva accadere».

Ovviamente, qui, una certa superstizione popolare si mischia con l’autentica fede cristiana, che si fonda sull’offerta di preghiere e altre opere buone per accorciare le pene delle anime in Purgatorio. Ma è interessante che anche Belli faccia notare come le campane fossero “battezzate” (cioè benedette) e che facessero bellissime sonate specie a chi si poteva permettere di sostenerne il servizio. Ecco perché, aggiunge il poeta, il fedele vicino al trapasso lasciava i baiocchi, le monete del tempo, affinché potessero essere suonate le campane per lui e per la sua anima.

Il fascino delle campane lo ritroviamo in altri poeti, ad esempio Clemente Rebora, rosminiano. Nel soundscape cittadino, perdendo il senso del suono delle campane, abbiamo perso una parte importante di ciò che ci legava a quella che un tempo potevamo definire una fede comune. Era “giacobino”, cioè ribelle e rivoluzionario contro la Chiesa, chi non credeva in queste cose. Oggi dove sono i “giacobini”? Non di rado, purtroppo, sono all’interno della Chiesa stessa.