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INCHIESTA SU MANZONI / 10

Il Seicento, luci e ombre di un secolo buio e d'oro

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Manzoni descrive il Seicento come uno dei secoli più bui della storia italiana, un secolo violento, contrassegnato da scontri militari, dalla dominazione straniera in Italia, dalla peste e dalla carestia. Ma è doveroso distinguere il Seicento del Manzoni e quello che la ricerca storica contemporanea ha in parte ricostruito e riportato alla luce.

Cultura 27_03_2023

Manzoni descrive il Seicento come uno dei secoli più bui della storia italiana, un secolo violento, contrassegnato da scontri militari, dalla dominazione straniera in Italia, dalla peste e dalla carestia. Un’epoca in cui le classi sociali più alte, fastose, vuote e ipocrite, godevano di privilegi assoluti, mentre i legislatori e i funzionari erano al servizio di una legge che si presentava spesso minacciosa per il popolo ed inefficace contro i soprusi compiuti dai signorotti locali.

In pagine dedicate alla figura dell’Innominato, che non compaiono ne I promessi sposi, ma che sono state pubblicate nel saggio Dell’Innominato (edito da Sellerio nel 1987), Manzoni riflette sul fatto che spesso le gride promettevano l’impunità, un premio in denaro e la liberazione di malfattori a chi avesse consegnato importanti ricercati. Le gride chiamate d’impunità avevano un loro nome proprio per il fatto che erano molto frequenti.
L’intento era […] d’indurre i rei medesimi a farsi ministri di giustizia, e di seminare la diffidenza fra loro. Perduta la speranza e abbandonata la pretensione di ottener l’effetto intero degli editti, si voleva almeno, col sagrifizio d’una porzione del pubblico esempio, assicurarne un’altra, e la più importante.

Queste gride non si avvalevano di certo di mezzi morali, né tantomeno favorivano il raggiungimento dell’obiettivo. Infatti, i furfanti ricercati tendevano a circondarsi di quei violenti a cui le gride non promettevano impunità: si creavano così coalizioni di nemici della giustizia.

Dal punto di vista economico con la pace di Cateau Cambresis per la penisola italiana era iniziata una fase di declino dovuta a molteplici ragioni. Le conseguenze della Guerra dei Trent’anni, gli scontri che si svilupparono sul suolo italiano tra Francesi e Asburgo per la successione di Mantova e del Monferrato, la forte pressione fiscale imposta dagli Spagnoli, le carestie, la pestilenza del 1629-1630 con la decimazione della popolazione furono senz’altro fra le cause principali che portarono l’Italia rinascimentale con il suo splendore delle corti e la sua centralità nel panorama occidentale a divenire un luogo di grave crisi economica.

La pace di Utrecht stipulata nel 1713 tra Francesi ed Inglesi pose fino alla guerra di successione spagnola e al dominio degli Spagnoli in Italia (anche se pochi decenni più tardi nel 1734 i Borboni di Spagna riconquistarono Napoli e la Sicilia).  In alcune terre d’Italia il dominio austriaco si protrasse fino al 1866, mentre quello dei Borboni si concluse nel 1861. Tra Trecento e Cinquecento grandi letterati come Dante, Petrarca, Machiavelli avevano denunciato la grave condizione di conflittualità intestina in cui versava il nostro Paese, profetizzando il rischio che le truppe mercenarie straniere, che attraversavano le nostre contrade, avrebbero aperto la strada alle potenze straniere.

All’epoca in cui Manzoni scriveva I promessi sposi gran parte dell’Italia del Nord era sotto il dominio austro-ungarico, mentre il Meridione era in mano ai Borboni. Per questa ragione con le sue opere lo scrittore voleva trasmettere anche un messaggio politico e patriottico. Con I promessi sposi Manzoni sceglieva un periodo più vicino alla contemporaneità: certamente per non incorrere nella censura nelle sue opere l’autore non poteva criticare e attaccare apertamente il dominio austriaco; poteva, però, descrivere un’epoca in cui erano evidenti le conseguenze del cattivo governo straniero. Per questa ragione nella descrizione del Seicento Manzoni si fece portavoce di un’accesa critica contro la dominazione spagnola, critica in parte ricavata dai testi di Pietro Verri e del nonno Cesare Beccaria.

A questo punto è necessario sottolineare che al degrado economico e politico dell’Italia non corrispondeva anche un declino culturale ed artistico. Pittura, scultura, architettura, musica, filosofia, scienza fecero risplendere il nome dell’Italia ancora per decenni.

L’immagine preconfezionata del Seicento richiamava, almeno in parte, la stessa sorte che l’Illuminismo settecentesco aveva riservato al Medioevo. Manzoni, che scrisse il romanzo quando era convertito da almeno dieci anni, aveva comunque nel sangue l’Illuminismo, e si era formato in gioventù su opere illuministiche italiane e francesi.

Purtroppo soltanto alla fine dell’Ottocento furono riscoperti il Seicento e il Barocco. Il merito principale fu da attribuirsi a Heinrich Wolfflin (1864-1945), autore dell’opera Rinascimento e Barocco (1888). Proprio quell’epoca tanto denigrata per la bassezza e il disimpegno della poesia era stata il secolo d’oro del teatro in Spagna e rifulse per la scultura, la pittura e la musica in tante contrade d’Europa. Fontane, giochi d’acqua, piazze e mirabolanti fuochi d’artificio, metafore ardite e iperboliche espressioni sono piene attestazioni del Barocco.

Disse Giambattista Marino, denominato «vero re del secolo» da Francesco de Sanctis, che «della poesia il fin è la meraviglia». L’arte, nel complesso, doveva stupire: brutto e bizzarro, insolito e complicato, lugubre e macabro, concretezza e fisicità, sensualità e realismo entravano a pieno titolo all’interno della rappresentazione artistica, senza alcun fine di giovamento morale.

Molte manifestazioni del Seicento, che a prima vista potevano apparire superficiali, nascondevano un tentativo di esorcizzare la paura della morte, la transitorietà del tempo, l’horror vacui. Il collezionismo era, in realtà, un tentativo di ricomporre quell’unità che l’uomo dell’epoca considerava perduta; un’unità perduta in seguito a tante scoperte geografiche e soprattutto astronomiche che avevano messo in crisi anche una visione dell’uomo all’interno della realtà e del cosmo. Allo stesso modo, la spettacolarizzazione degli eventi, perfino dei funerali (che diventavano, talvolta, occasioni mondane), era un espediente per riempire il vuoto ed esorcizzare la morte. L’esagerazione, il fasto e la teatralizzazione non erano altro che l’altra faccia della medaglia su cui era rappresentata in maniera quasi ossessiva l’imago (ovvero il calco) della morte.

Non è nostra intenzione soffermarci ulteriormente sulla ricostruzione del Seicento né tantomeno sul giudizio severo che Manzoni riservò a quell’epoca. Abbiamo voluto rilevare come la ricostruzione della verità storica cui aspirava Manzoni era indubbiamente soggetta ai pregiudizi ideologici in cui viveva e si era formato lo scrittore.

Era quindi doveroso distinguere il Seicento del Manzoni e quello che la ricerca storica contemporanea ha in parte ricostruito e riportato alla luce. Allo stesso modo era indispensabile separare l’ambito giuridico, sociale e politico da quello più squisitamente culturale e artistico per evitare generalizzazioni che nulla giovano alla ricostruzione della realtà storica.