Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
SECONDA ECONOMIA DEL MONDO

Il secolo cinese è già finito? Tutti i sintomi di una crisi

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La crisi di Evergrande, colosso cinese immobiliare, può essere solo l'inizio di una crisi sistemica. Altri sintomi sono la crisi del mercato delle auto elettriche, la disoccupazione giovanile (i cui dati sono d'ora in poi nascosti) e l'esplosione del debito. Il "secolo cinese" è già finito?

Economia 24_08_2023
Un quartiere di Danzhou costruito da Evergrande

La crisi di Evergrande, colosso cinese immobiliare, è solo il sintomo più visibile. Proprio mentre Xi Jinping assume un ruolo di guida dei BRICS (gruppo dei Paesi emergenti) al vertice di Johannesburg, la crescita dell’economia cinese rallenta bruscamente. Potrebbe essere l’inizio di una crisi sistemica che cambierebbe le sorti del mondo.

Il sintomo più visibile, appunto: Evergrande ha presentato istanza di fallimento ai sensi del Capitolo 15 negli Stati Uniti, chiedendo l'approvazione del tribunale per la ristrutturazione di oltre 19 miliardi di dollari di debiti offshore, in gran parte regolati dalla legge americana. Evergrande sta negoziando da quasi due anni la ristrutturazione dopo che, nel 2021, non è riuscito a pagare i debiti, avendo esaurito la liquidità e non avendo pagato appaltatori e fornitori. Lo stesso tipo di crisi potrebbe aver colpito un altro colosso immobiliare, Country Garden.

Quella dell’edilizia cinese è una bolla che sta scoppiando. Secondo uno studio dell’Università di Economia e Finanza della Cina Sudoccidentale, circa un quinto degli appartamenti nelle città cinesi, dunque 130 milioni di unità, non era occupato nel 2018, stando agli ultimi dati disponibili. Il Paese si sta anche riempiendo di vere cattedrali nel deserto, come la stazione della ferrovia ad alta velocità di Danzhou, nello Hainan, che non ha mai aperto per mancanza di passeggeri. O il boom di infrastrutture nel Guizhou, una delle province più povere (con un Pil pro capite di appena 7200 dollari) dove sono stati costruiti 1700 ponti e ben 11 aeroporti. In tutti questi casi, sono opere pubbliche che hanno costituito un costo, ma non hanno prodotto un boom economico. Restano sul territorio come esempi di spreco e speculazione pubblica.

Non solo l’edilizia, ma anche quella delle auto elettriche è una bolla che potrebbe scoppiare, nonostante sia il modello sia del Green Deal europeo, sia dell’amministrazione americana. Le case produttrici di auto elettriche in Cina sono sorte negli anni scorsi grazie a ricchi finanziamenti pubblici diretti e a forti incentivi per i compratori. Anche Evergrande, per diversificare il rischio, si era lanciata nel mercato delle auto elettriche. Che sta anch’esso entrando in crisi. Il governo ha esteso gli incentivi e le esenzioni fiscali, ma nonostante questo i produttori di auto elettriche devono tagliare i prezzi per stare sul mercato, rischiando di non aver più margini.

Un altro segnale di crisi è nella finanza: è rallentato il flusso degli investimenti americani in Cina. Quello che era considerato un mercato molto promettente (se non il più promettente) ora viene visto come un rischio. Contano le previsioni mancate di crescita per il 2023: si prevedeva una ripartenza rapida dopo la fine dei lockdown, invece la crescita è inferiore al 5%, l’obiettivo che si era posto Xi Jinping. Conta il protezionismo cinese che non ha mai permesso alle aziende straniere di investire e operare liberamente e con parità di regole rispetto alle concorrenti cinesi. Infine conta anche la guerra economica mossa dall’amministrazione Biden: è del 9 agosto il suo ordine esecutivo che vieta agli americani di investire nelle aziende cinesi impegnate nella produzione di semiconduttori e computer quantici, nel timore che possano sviluppare anche tecnologia militare avanzata.

Infine, ma non da ultimo, i funzionari cinesi smetteranno di comunicare il tasso di disoccupazione giovanile, dopo mesi di aumenti vertiginosi, privando investitori, economisti e imprese di un altro dato fondamentale sulla salute in declino della seconda economia mondiale. Il tasso di disoccupazione dei giovani di età compresa tra i 16 e i 24 anni, era aumentato costantemente per sei mesi fino al 21,3% registrato in giugno.

Sono tanti i motivi di una crisi cinese: la fine delle chiusure pandemiche non ha portato alla riapertura dei commerci internazionali, si continua con una corsa al protezionismo, con la conseguente riduzione delle esportazioni cinesi. Latitano sempre di più gli investimenti stranieri, per gli stessi motivi. Inoltre il governo cinese, con la sua politica di aiuto diretto alle imprese, ha contribuito a gonfiare le bolle immobiliare e delle auto elettriche. Tagliando i tassi di interesse, la Cina rischia di scongiurare una crisi facendo altri debiti. Ma i debiti cinesi, sia quello nazionale che quelli locali, stanno già raggiungendo il 300% del Pil.

Per questo si pensa che la crisi sia sistemica, accelerata anche da una tendenza al calo demografico, effetto di lungo termine della ormai abbandonata “politica del figlio unico”. “Stiamo assistendo a un cambio di marcia in quella che è stata la traiettoria più drammatica della storia economica”, ha dichiarato al Wall Street Journal il professor Adam Tooze, docente di storia della Columbia University specializzato in crisi economiche. Il Fondo Monetario Internazionale prevede che nei prossimi anni il Pil crescerà ad un ritmo inferiore al 4% annuo. Abbastanza per rovinare i piani di Xi Jinping che mirava a raddoppiare il Pil cinese entro il 2035.