Il ritorno di Trump sconvolge la sinistra e la Silicon Valley
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Se il mondo progressista piange, nel mondo digitale c'è aria di riposizionamento: gli affari sono affari e le big tech beneficeranno della svolta alla Casa Bianca. Malgrado l'ostracismo digitale subito dal tycoon.
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Nel nostro Paese le reazioni alla vittoria di Trump oscillano prevalentemente tra il perplesso e il disperato. Le fazioni si sono create anche in questa circostanza. Tra le forze di governo anche chi alla vigilia non si era espresso ora canta vittoria, ma in generale prevalgono l’attendismo e la fiducia in quello che di buono potrà fare il nuovo presidente degli Stati Uniti per rinsaldare ulteriormente l’asse con l’Italia.
A sinistra, invece, le reazioni negative si accavallano in maniera imbarazzante. C’è chi paventa il rischio della distruzione dell’Europa, chi ricorda l’odio di Trump verso gli immigrati, chi prevede catastrofi finanziarie per il nostro Paese.
Nessuno in verità può sapere cosa succederà nella nuova era Trump. Di certo la situazione geopolitica internazionale è molto diversa da quella del quadriennio 2016-2020, quando Trump alla Casa Bianca dimostrò di voler fare gli interessi degli Usa, anche a costo di isolarsi dal resto del mondo, con il vantaggio di non stimolare in alcun modo conflitti in altri continenti. Infatti in quegli anni non ve ne furono. Nell’era Biden, invece, l’industria delle armi è risorta e i conflitti russo-ucraino e mediorientale hanno risvegliato gli istinti di superpotenza mondiale degli Usa, che ora con ogni probabilità si smorzeranno nuovamente perché Trump ha altre priorità.
La verità è che in Italia ci sono lobby e giornali che rosicano perché speravano in una vittoria di Kamala Harris che potesse aprire la strada a una rivincita della sinistra di Schlein e soci. Invece, con ogni probabilità, l’unico della sinistra che potrà trarre vantaggio da questo esito delle urne statunitensi sarà Giuseppe Conte, alias “Giuseppi”, che con Trump ha avuto ottimi rapporti quando era al governo e li ha mantenuti anche dopo. Non a caso il leader Cinque Stelle non si è mai pronunciato a favore della Harris pur appartenendo all’area progressista.
C’è poi il secondo ambito destinato a subire scossoni dopo il successo di Trump, quello relativo ai rapporti tra il nuovo inquilino della Casa Bianca e le piattaforme web e social. Una variabile non sufficientemente evidenziata nei commenti post-elettorali riguarda il ruolo che la Rete potrà giocare durante la Presidenza Trump e l’impatto che la nuova guida repubblicana della Casa Bianca potrà provocare sugli equilibri nello spazio digitale, sia sul piano economico, quindi del mercato, sia su quello giuridico, cioè della tutela dei diritti degli utenti.
Per provare a disegnare uno scenario futuribile rispetto a questi ambiti non si può non partire dall’atteggiamento che le grandi compagnie mondiali del web hanno assunto progressivamente nei mesi che hanno avvicinato gli elettori americani all’appuntamento con le urne.
Il dominus incontrastato è stato indubbiamente Elon Musk, ceo di Tesla e SpaceX, che ha donato 118 milioni di dollari alla macchina elettorale trumpiana e ha dedicato al candidato repubblicano un numero infinito di post su X. Sicuramente le aziende di Musk incrementeranno i loro profitti e non è escluso che possa essere affidata al ceo di Tesla e SpaceX la guida del Doge (Department of government efficiency).
In generale, però, non sarà solo Musk a beneficiare di questa svolta della politica americana. La vittoria di Donald Trump sta già provocando un riposizionamento degli innovatori della Silicon Valley, sempre pronti a rivedere il proprio atteggiamento nei confronti dei governanti, in ragione dei propri affari.
I colossi del web sono da sempre mossi dalla logica del profitto e hanno potenti strutture di lobbying in grado di condizionare i decisori istituzionali. Nella campagna elettorale conclusasi con la vittoria di Trump tutti gli altri leader dell’ecosistema digitale sono rimasti abbottonati e non si sono esposti né a favore dei repubblicani né a favore dei democratici, anche in ragione della costante incertezza dei sondaggi. Perfino Bezos, fondatore di Amazon, avrebbe in realtà strizzato l’occhio al tycoon rompendo la tradizione del Washington Post, quotidiano acquistato nel 2013, che aveva sempre sostenuto candidati democratici, mentre in questa campagna elettorale si è mantenuto super partes.
Trump, nonostante l’ostracismo digitale di cui è stato spesso vittima, ha lasciato intendere di voler tutelare gli interessi delle big tech rispetto a eventuali trattamenti penalizzanti da parte dei giudici europei. Questo elemento potrebbe creare un vero e proprio feeling con i miliardari dell’ecosistema digitale che, mantenendo buoni rapporti con Trump, sperano di incrementare il loro business.
Trump è stato in passato una delle vittime della privatizzazione della censura e ha subìto profonde compressioni del suo diritto di manifestare liberamente il pensiero. Uno dei nodi da sciogliere, da questo punto di vista, sarà quello dell’osservanza del Digital services act (Dsa), il Regolamento europeo entrato in vigore quest’anno e che vincola tutte le aziende del settore digitale, non solo i colossi, al rigoroso rispetto di alcuni principi in materia di contrasto alla disinformazione e di protezione dei diritti degli utenti. La vaghezza del concetto di disinformazione contenuto in quel testo di legge rischia di generare abusi da parte delle piattaforme, che potrebbero sentirsi libere di censurare, oscurare, bannare contenuti e profili, in nome della difesa della qualità dell’informazione, cosa peraltro avvenuta con una certa frequenza in questi anni. Da questo punto di vista è assai probabile che ora il peso di Musk nell’economia digitale crescerà e bisognerà capire se l’effetto finale sarà quello (auspicabile) di una maggiore democratizzazione della Rete o quello della creazione di nuove posizioni dominanti in sostituzione delle precedenti. A farne le spese, in questo secondo caso, sarebbe ancora una volta il pluralismo dello spazio digitale.