Il probabile miracolo eucaristico che imbarazza la Diocesi
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Ravenna. Ostia caduta a terra viene raccolta, il giorno dopo inizia a cambiare d'aspetto. Il parroco la fa analizzare in un laboratorio di anatomia patologica e si trovano tracce ematiche. Ma il vescovo si fa consegnare tutto e nega che si tratti di sangue. Però non fornisce un referto pubblico e mette tutto a tacere, tanto che oggi l'Ostia sembra scomparsa o peggio ancora buttata.
Un probabile miracolo eucaristico sta mettendo in fermento la Diocesi di Ravenna, ma il vescovo non sta fornendo ai fedeli che chiedono spiegazioni, i necessari chiarimenti per arrivare ad una risoluzione in un senso o nell’altro della vicenda. Anzi, stando alle prime risposte della Chiesa ravennate, sembra che tutto il materiale precedentemente analizzato sia stato fatto sparire o peggio ancora buttato.
I fatti, che la Bussola è in grado di ricostruire dopo aver sentito i testimoni di questo evento che interroga la fede e la ragione, prendono avvio nella parrocchia di Savarna, frazione a nord della cittadina romagnola verso i Lidi di Comacchio. È qui, il 28 di gennaio 2023, memoria di San Tommaso d’Aquino, il cantore per eccellenza dell’Eucarestia, autore dell’inno eucaristico più noto che va sotto il nome di Pange Lingua, che al termine della Messa delle 18, la sagrestana ritrova sotto a una panca una particola consacrata caduta dopo la distribuzione della comunione.
Piccola digressione semantica: utilizziamo l’aggettivo “probabile” per un motivo preciso. I primi esami istologici effettuati dal parroco sulla particola, infatti, hanno dato esito positivo: sono state trovate tracce di sangue nell’ostia in decomposizione. Pertanto, le probabilità che siamo di fronte a un vero e proprio prodigio sono molto concrete. Per poter avere una prova ulteriore, però, servono altre indagini scientifiche che competono al vescovo diocesano. Ed è qui che le cose si fermano in un modo che non può non lasciare perplessi.
L’OSTIA A TERRA
Torniamo al 28 gennaio.
Manuela Segurini è la sagrestana della chiesa di Savarna, retta dal parroco don Nicolò Giosuè. «Ho trovato l’ostia al termine della Messa in una delle panche, era per terra. L’ho fatta raccogliere al parroco, che ha deciso di conservarla nel “purifichino”, il piccolo calice di vetro che viene utilizzato per la purificazione delle dita dopo la Comunione e chiusa nel tabernacolo. Una volta sciolta nell’acqua, sarebbe stata poi riversata nel sacrario come previsto». Il giorno dopo la scoperta sensazionale: «Alle 9 di mattina di domenica 29 gennaio, l’ostia era diventata rosso sangue – prosegue -. Ho chiamato subito il parroco. Stupiti da questa reazione abbiamo deciso di fare delle foto».
Anche il parroco ha confermato la ricostruzione in uno scritto inviato in diocesi: «Sapevo che esistono dei batteri rosso sangue – ha raccontato don Nicolò Giosuè - che intaccano la farina, ma quel che mi ha stupito è stata la rapidità con la quale l’ostia si era trasformata, di solito infatti questa colorazione causata dai batteri emerge dopo diversi giorni».
«BUTTATE VIA TUTTO»
Don Nicolò allora, telefona al professor Pierluigi Baima Bollone di Torino, famoso sindonologo, del quale aveva un contatto grazie al fratello. Questi gli consiglia di lasciar passare almeno un paio di mesi per dare tempo all’ostia di sciogliersi. E così fa.
Il 4 febbraio, però, in parrocchia arriva un altro sacerdote dalla curia di Ravenna per sostituire il parroco nella Messa vespertina. «Si tratta di don Alberto Graziani, ex vicario della Diocesi. Ho mostrato anche a lui quanto avevamo scoperto – prosegue nel suo racconto la sagrestana –, ma mi disse di fare una preghiera e di buttare tutto in giardino. Ma non lo ascoltai perché volevo prima avere il via libera dal parroco». Il parroco, una volta tornato a Savarna decise allora di trasferire il composto in un contenitore di vetro a chiusura ermetica e di conservarlo nel tabernacolo della cappella privata delle vicine suore.
LE INDAGINI
Passano i mesi e l’Ostia è ancora come i due la ritrovarono il giorno dopo la Messa del 28 gennaio: in decomposizione, ma con evidenti filamenti rossastri come evidenziato in foto. Don Nicolò cerca allora di parlare con uno specialista per poter accertare la natura di quel colore. E lo trova tramite un amico, Giovanni Calisesi, anche lui della provincia di Ravenna, ma di un’altra parrocchia. «Conoscevo la dottoressa Cristina Antonini, anatomopatologa di Schio – racconta lui raggiunto al telefono dalla Bussola -, le ho illustrato i fatti e si è resa disponibile per visionare il materiale».
Così i due, il 10 maggio 2023 si recano a Schio nel laboratorio di analisi della dottoressa. Al loro arrivo la dottoressa si attiva per prelevare dei campioni di tessuto. La sua prima reazione è di stupore, come confermato anche alla Bussola successivamente: «Anche uno studente di medicina al secondo anno è in grado di riconoscere il sangue in quei tessuti – ha spiegato -. Come anatomopatologa mi occupo di morfologia e di esame dei tessuti; pertanto, dire se siamo di fronte a materiale ematico è abbastanza semplice con le tecniche a mia disposizione». La dottoressa, con un curriculum di tutto rispetto - si è occupata di patologia fetoplacentare con campi di expertise tra i più svariati nell’anatomia patologica - si mette al lavoro. Dopo aver prelevato i campioni e averli disposti su un vetrino riconsegna la restante parte al sacerdote.
È SANGUE!
Dopo una settimana, per il ritiro del referto, ai due si aggiungono altri due testimoni, il giornalista Pierluigi Bianchi Cagliesi e don Federico Bortoli.
L’esito degli esami è sorprendente. Così si legge nel referto: «In un frammento presenza di materiale ematico commisto a granulociti». Quell’ostia, dunque si è trasformata in sangue.
Spiega oggi la Antonini alla Bussola: «Ho esaminato il materiale dopo che il sacerdote mi ha benedetto perché sentivo una certa responsabilità nel “mettere le mani” per la prima volta nella mia vita su un possibile miracolo. Per poter guardare al microscopio bisogna fare una lavorazione del campione in modo da dare un supporto stabile per ottenere un campione immortalizzato nel tempo.
Si chiamano “blocchetti” o “inclusi”, si tratta di materiale che non andrà mai perso e che può essere riproducibile per successivi esami. Quello che posso dire con certezza è che il materiale da cui si riscontra la presenza di sangue può essere visto da altri medici che sanno leggere il sangue, anche utilizzando altre tecniche come la tipizzazione del gruppo sanguigno, che è un esame che appartiene all’ambito della medicina legale e che non è tra i miei campi. Però il materiale trattato è quello».
L’OSTIA ARRIVA IN DIOCESI
Forte di questo riscontro scientifico, don Nicolò informa il vescovo di Ravenna, monsignor Lorenzo Ghizzoni e il 27 giugno 2023 consegna in diocesi tutto il materiale, sia i vetrini analizzati dalla dottoressa Antonini sia la restante parte di quell’Ostia che nel frattempo si era indurita fino a diventare simile a un pezzo di carne viva.
Così scrive il vicario generale: «Ricevo da don Nicolò Giosuè un vasetto di vetro contenente il materiale di colore rossastro rimasto dall’immersione di una particola consacrata trovata in terra nella chiesa di Savarna il 28 gennaio. L’ho riposta nella cassaforte del mio ufficio in attesa di approfondimenti e analisi».
«NON È SANGUE»
Passano i mesi, ma dalla diocesi tutto tace. Solo un anno dopo, siamo ai nostri giorni il parroco si decide a chiedere al vescovo che cosa ne è stato di quell’Ostia. La risposta del successore di Sant’Apollinare arriva via Whatsapp. È il messaggio che Ghizzoni avrebbe ricevuto da Vittorio Sambri, direttore del laboratorio Asl di Pievesestina di Ravenna e che con un “inoltra” viene recapitato al parroco: «Non esiste alcuna presenza di sangue né di altro materiale biologico di verosimile origine umana». La questione per la Diocesi è dunque chiusa.
Dopo alcuni articoli sulla stampa locale, la Diocesi si trova così costretta a pubblicare un comunicato stampa per dire che «dalle analisi eseguite dalla diocesi sul materiale consegnato, interamente utilizzato, non sono emersi elementi che possano confermare la natura soprannaturale dei fatti segnalati in Curia l’anno scorso. Dato il degrado dell’ostia (messa in un contenitore con l’acqua), che poteva anche non essere consacrata, non siamo di fronte all’Eucaristia come presenza reale di Cristo».
Ma la nota stampa è carente di alcune informazioni. Anzitutto non si sa nulla pubblicamente della refertazione effettuata dall’Asl. Solo un messaggio Whatsapp può essere sufficiente per sciogliere la matassa? E poi, il riferimento all’Ostia che poteva anche non essere consacrata, cosa impossibile dato che per stessa ammissione del parroco le ostie non consacrate non si trovano per terra, ma nel credenzino in sagrestia chiuse a chiave. Inoltre, come ribadito anche dalla sagrestana, la chiesa era stata preparata per la Messa e quell’Ostia prima non c’era. Impossibile, dunque, che potesse trattarsi di una particola non consacrata. Infatti, nel ricevere l’Ostia, la stessa curia ha dovuto scrivere che si trattava di un’Ostia consacrata. Perché allora derubricare la natura di quella particola come se si trattasse solo di semplice pane?
È STATA BUTTATA?
Inoltre, su insistenza della stampa locale, è stato chiesto alla Diocesi che fine ha fatto il materiale oggetto di analisi. E qui, il giallo si infittisce: una risposta ufficiale non c’è. Sembra che il materiale sia andato perduto oppure addirittura buttato dopo le analisi, ma non ci sono dichiarazioni ufficiali in merito da parte della diocesi.
Cosa che anche la Bussola ha provato a chiedere. Abbiamo scritto al vescovo di Ravenna per chiedere dove si trovano adesso i campioni analizzati dalla dottoressa Antonini e la restante parte dell’Ostia oggetto di analisi del laboratorio Asl e se è possibile leggere la refertazione ufficiale dei medici che asseriscono di non aver trovato materiale ematico. Il vescovo Ghizzoni ci ha risposto in maniera piuttosto laconica, rimandandoci ad un’omelia pronunciata da lui stesso in occasione della solennità del Corpus Domini nella quale, con un velato cenno ai fatti di Savarna si legge: Corpus Domini “Fraternità per sanare il mondo”: il vero miracolo eucaristico.
Evidentemente il prelato non ha ritenuto di dover dare ulteriori spiegazioni all’opinione pubblica e ai fedeli, i quali nel frattempo avevano chiesto attraverso una petizione di poter riavere l’Ostia per effettuare nuove analisi. Tutto sparito? O addirittura buttato? E se è stato buttato, non si tratta forse di un sacrilegio trattandosi comunque di una particola consacrata, indipendentemente dalla eventuale presenza di un miracolo?
Nel testo di quell’omelia, poi, il vescovo, a proposito dell’Eucarstia scrive: «Ci è dato quel nutrimento simbolico, ma reale, che alimenta non tanto il nostro corpo, ma il nostro spirito, la nostra interiorità, l’uomo nuovo che sta crescendo in noi dopo il battesimo». L’Eucarestia è dunque niente più che un simbolo, come la intendono i protestanti?
Quel che è certo è che i fatti di Savarna meriterebbero un’attenzione ben diversa da parte dell’autorità e – se i fatti sono come raccontato dalla Diocesi - qualche spiegazione in più affinché non si alimentino inutili devozionismi e non si dia adito a sospetti e dietrologie. Visti i tempi e considerato ciò che nella Chiesa sta succedendo per tutto ciò che ha a che fare col soprannaturale, tra miracoli ed apparizioni, maggiore chiarezza sarebbe necessaria.