Il "pistolero" in Senato, non maleducazione ma diseducazione
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Il ragazzino che ha mimato il gesto della pistola contro Meloni e Gasparri è stato educato perfettamente, ma all'omologazione verso il basso e all'assenza di responsabilità fomentata dagli stessi adulti.
Il fatto è noto: Palazzo Madama è diventato per qualche secondo un poligono di tiro, seppur virtuale. Un diciassettenne del liceo scientifico Righi di Roma si reca con i propri compagni ad una seduta del Senato. Mentre il presidente Ignazio La Russa saluta le scolaresche lì presenti, ecco che il ragazzo mima con una mano una pistola, pistola che punta verso il premier Giorgia Meloni presente in aula, anche se poi lo studente riferirà che avrebbe mirato solo in alto. La professoressa lì accanto gli fa abbassare il braccio e subito interviene anche un commesso. Pare che l’imberbe, con la passione per la politica, si sia immediatamente scusato. Scuse di cartapesta. Infatti il ragazzo viene convocato subito dopo presso i questori Gaetano Nastri e Antonio De Poli. Il sen. Maurizio Gasparri è presente e sembra che gli abbia urlato in faccia: «Adesso, se hai coraggio, falla a me la pistola! Fammela in faccia!». E lui, placido, ha giunto le mani e mimando il gesto della pistola l’ha puntata verso Gasparri. Click. L’istituto si è scusato.
Ineducato il ragazzino? Per nulla. È stato educato benissimo, almeno secondo gli anti-valori correnti. Ad esempio siete stati bravissimi a tirarlo su senza il rispetto dell’autorità. Questo spirito anarchico è stato fatto germogliare quando spiegavate la Rivoluzione francese con lo schemino che chi sta sotto – il popolo, i poveri, i lavoratori, etc. – ha il dovere morale di rovesciare chi sta sopra – il governante, i ricchi, gli imprenditori, etc. Poi è cresciuto esautorando ogni figura paterna, maschile, virile, figura che per sua natura dà le regole e commina le sanzioni se le regole non vengono rispettate. Lo avete nutrito con lo slogan Dio è morto, per sancire la piena indipendenza da qualsiasi autorità che sta sopra le nostre teste. Figurarsi quella incarnata dalle istituzioni politiche. Solo la parola “gerarchia” provocherà al minore l’orticaria. Il pistolero di Palazzo Madama è poi il compagno equosolidale di Greta Thunberg. Lei è il paradigma di questi tiratori scelti: ha preso a bersaglio i grandi della Terra e questi si fanno impallinare volentieri. Sono loro per primi che compiono il reato di vilipendio d’autorità.
Questo annacquamento di ogni struttura gerarchica porta all’omologazione anche della comunicazione, ovviamente appiattita verso il basso: non ci sono codici linguistici propri di quando si sta con gli amici, con i parenti, con i compagni di scuola, con i docenti, con i politici, bensì il format comunicativo è il medesimo in ogni circostanza. Si dà a tutti del tu, si scrive una mail al datore di lavoro usando la stessa forma che si usa per chattare su Whatsapp con la propria ragazza o per scrivere un post su Facebook. Ergo posso mimare una pistola puntata al mio amico in palestra come al capo del governo. Non siamo forse in democrazia? Dove è finita la libertà di espressione?
L’istituto ha fatto sapere che prenderà provvedimenti disciplinari. Gli metterà 9 in condotta anziché 10, come accadde nel giugno dell’anno scorso a quello studente di un istituto tecnico di Rovigo che sparò – anche lui ma non per finta – al volto di una sua insegnante dei pallini di plastica? L’unica sanzione minimamente giusta sarebbe fargli perdere l’anno. Ma non accadrà ed è anche proprio per questo motivo che il ragazzino ha sparato a salve in Senato: sa che la farà franca. Soprattutto perché ha mirato ad un leader di destra. Ecco dunque un’altra perla della diseducazione odierna: la scomparsa della responsabilità personale. Immersi nel perdonismo più assoluto, nel garantismo cieco, i ragazzi sanno che possono fare quello che vogliono, perché l’ombrello dell’impunità degli adulti è immenso e li proteggerà sempre. Una rete di salvataggio ci sarà in ogni caso. Impossibile farsi male.
Una prova che al ragazzo non succederà nulla? Le parole dello stesso Ignazio La Russa: «Spezzo una lancia affinché non vi sia una eccessiva punizione». Da aggiungere che l’impunità porta anche all’inconsapevolezza: se non paghi per i tuoi errori mai potrai pentirti e quindi mai capirai nel profondo la gravità degli errori stessi. Ed infatti lo studente, subito dopo il fattaccio, lo ha ripetuto tale e quale davanti a Gasparri. Il ragazzino quindi non si è pentito, semmai gongola vista la popolarità, dea a cui presta culto ampia fetta dei teenagers.
L’impunità è fomentata anche perchè i ragazzi sono abituati a dire e a fare quello che vogliono nel web protetti dall’anonimato. E le cattive abitudini sono difficili da perdere, anche quando sei in Senato. Guarda caso il nome del ragazzino rimane coperto dall’anonimato perché i giornalisti sono tenuti a non rivelare il nome del minore coinvolto in fatti di cronaca potenzialmente lesivi della sua personalità. Ma indicare il nome e cognome di questo adolescente non sarebbe lesivo della sua personalità, bensì arrecherebbe l’effetto opposto: lo metterebbe faccia a faccia con le sue responsabilità e di fronte alla collettività, quella stessa collettività rappresentata dal Senato. Ciò non potrebbe che concorrere al sano sviluppo della sua personalità. E inoltre è fastidioso quasi a livello epidermico constatare che vi sia tanta cura da parte nostra nel proteggerlo, quanta ne ha avuta lui nell’offendere.
La mancanza di coscienza del disvalore del gesto deriva anche dal fatto che lo studentello è parte di quella generazione che vegeta nel virtuale e non vive nel reale. Il gesto della pistola è nel suo immaginario la rappresentazione plastica di un gif – quelle immagini dinamiche che durano pochi secondi – un gif tridimensionale, quindi innocuo (lui stesso ha ammesso che il gesto «non ha un connotato violento»). La mimica da pistolero perde il rimando agli anni di piombo, alla P38 ed invece si rifà a quello dei rapper americani che spessissimo usano questa gestualità nei loro video.
Lo studente antifascista – come lui stesso si è definito – ha potuto estrarre la pistola di carne in Senato anche per un altro motivo: per decenni nelle scuole si è incentivato solo lo spirito critico dello studente. E qui emergono almeno due problemi. Il giudizio critico si articola solo a partire dai fatti e i fatti devono essere veri. A scuola non di rado o non si insegnano i fatti (sarebbe sterile nozionismo) oppure si insegnano delle falsità e di conseguenza anche i giudizi sono erronei. Secondo corno del problema: i criteri di giudizio insegnati a scuola sono proni al politicamente corretto e comunque ad un certo orientamento levantino.
Il risultato è la presunzione di credere che puoi dire tutto quello che vuoi senza aver studiato e che la tua opinione vale come quella di un politico o di uno scienziato. Tradotto: diventi saccente, perché meno sai più credi di sapere. Ecco infatti alcune perle espresse dallo studente antifascista diffuse come dogmi con la complicità di Repubblica e messe sullo stesso piano dei commenti all’accaduto articolati dai politici: «Mi scuso, ma il dissenso nei confronti di questo governo e di questa classe politica rimane. […] Questo non è un governo di santi e di bravi». Viene da domandarsi: ma quale competenza può avere un ragazzino di 17 anni nel valutare l’operato di un governo? Nessuna. E soprattutto: dopo quanto accaduto dovrebbe solo tacere. Eppure, per i motivi sopra espressi, Repubblica gli fa volentieri cassa di risonanza, quasi ascoltassimo il premier. Invece di punirlo, come premio lo facciamo intervistare da Repubblica che lo ha armato con un calibro ben maggiore di quello stretto in pugno in Senato.
Il ragazzo poi si scusa per il gesto in sé inappropriato – scuse furbe – ma non per il dissenso racchiuso in quel gesto. Fa poi il martire chiedendo che la punizione riguardi lui e non i compagni e i professori. Tutti ad assentire, tutti alla fine solidali perché, poverino, si è pentito e poi perchè esprime una coscienza civica adulta, matura. Ecco, avete sentito? Un altro click. Questa volta la pistola, impugnata sempre dallo studentello ma ora con sorriso compiaciuto, era puntata alla tempia di tutti noi.
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