Il pensiero di Lutero, precursore dell’assolutismo di Stato
Lutero creò di fatto una nuova religione, a misura degli interessi della nobiltà tedesca e minando il principio della libertas Ecclesiæ. I principi “riformati” si ritennero così liberi di attaccare la Chiesa e incamerarne i beni.
La lettera di Lutero ai principi tedeschi è particolarmente eloquente non solo per quello stile propagandistico che ne rivela ormai chiaramente la volontà di suscitare un movimento rivoluzionario, piuttosto che una riforma della Chiesa (vedi qui), ma anche per i contenuti teologici che tale movimento intende ispirare.
È impressionante vedere la disinvoltura con cui Lutero ha gettato alle ortiche i principi fondamentali della fede cattolica, la sommarietà della sua interpretazione delle Sacre Scritture, per creare una nuova religione dalle superficiali tinte cristiane confezionata su misura per solleticare gli interessi della nobiltà tedesca. La grave crisi che la Chiesa stava vivendo divenne per Lutero il pretesto per screditare l'intera gerarchia ecclesiastica – «sono diventati del tutto indegni» – e investire il laicato delle prerogative ecclesiastiche. Così scriveva nella lettera, ormai nota al lettore, Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca: «Perciò io sostengo che, poiché l'autorità temporale è stata preordinata da Dio per proteggere i buoni e punire i malvagi, si deve lasciarla libera nei suoi uffici, perché penetri indisturbata in tutto il corpo della cristianità, senza guardare in faccia a nessuno, sia pur esso papa, vescovo, prete, frate, monaco o quello che vuole».
Lutero ha qui evidentemente di mira la libertas Ecclesiæ; il brano sopra riportato rientra infatti tra quegli argomenti da lui sfoderati per abbattere il primo bastione dei «romanisti», ossia l'affermazione che il potere spirituale goda di un'autonomia rispetto a quello temporale e sia ad esso superiore. L'ormai ex-monaco agostiniano considera persino «un vero sacrilegio», «un tranello dell'Anticristo o un suo prossimo annunzio» che la Chiesa goda di questa libertà, «mentre Dio e gli apostoli l'hanno sottoposta all'autorità temporale». Troviamo qui un principio cardine che la modernità svilupperà e concretizzerà molto rapidamente in quell'assolutismo di Stato che non riconosce altro potere all'infuori di quello secolare e che sempre tenta di avvinghiare la Chiesa nelle proprie maglie, eliminandola fisicamente o, più fruttuosamente, riconducendola ad essere la docile cappellana del potere temporale.
Va da sé che questi discorsi suonavano come un'allettante melodia alle orecchie dei principi tedeschi, i quali non potevano trovare miglior alleato di un monaco carismatico che finalmente offriva una “convincente” copertura morale al loro porre mano alla spada contro il potere ecclesiastico e, con l'altra mano, incamerarne i beni... Giacobini, nazisti e comunisti in un prossimo futuro non faranno che attualizzare questi principi, e i laicisti, nostri contemporanei, portarli a perversa “perfezione”.
Il colpo inferto da Lutero alla Chiesa si estese fino a ferirne l'intima ed essenziale struttura gerarchica. Anzitutto, decapitandone la testa con la negazione della prerogativa del potere delle chiavi affidato ai successori di Pietro: «Le chiavi furono date solo per legare o rimettere i peccati e non per esercitare autorità sopra la dottrina o il governo, ed è pura invenzione tutto ciò che essi [i romanisti] attribuiscono al papa insieme alla potestà delle chiavi». Né si può evocare la preghiera di Cristo per Pietro, perché non venga meno la sua fede (cf. Lc 22, 32), dal momento che «la maggior parte dei papi fu senza fede»; Cristo ha in realtà pregato per tutti (cf. Gv 17, 9. 20) e dunque non vi è alcun potere particolare del papa e neppure dei vescovi relativamente alla custodia e trasmissione della retta fede. Nemmeno avrebbe fondamento la tesi che, per diritto divino, spetti solo al papa «indire o confermare un Concilio»; si tratterebbe invece di mere leggi canoniche umane, «le quali hanno valore solo fino a che non siano dannose alla Cristianità ed alle leggi divine. Ma quando il papa è colpevole, quelle leggi cadono all'istante, perché sarebbe dannoso alla Cristianità non punirlo per mezzo di un Concilio».
Ormai per Lutero, data la presente crisi, la costituzione della Chiesa non viene solo rovesciata, ma dissolta; chiunque avrebbe autorità sul papa e, più in generale, sulla gerarchia ecclesiastica. Non solo, ma in fondo tale gerarchia, intesa appunto come autorità fondata su un principio sacro, non ha alcuna ragion d'essere, dal momento che «tutti i cristiani appartengono allo stato ecclesiastico, né esiste fra loro differenza alcuna, se non quella dell'ufficio proprio a ciascuno»; un ufficio che in realtà può essere esercitato da chiunque. Lutero fonda questa sua asserzione su un'errata concezione del sacerdozio comune e della situazione di necessità: «in caso di necessità chiunque può battezzare ed assolvere [sic], ciò che non sarebbe possibile se non fossimo tutti sacerdoti».
Inoltre, il fatto che «nei tempi antichi i cristiani eleggevano dalla moltitudine i loro vescovi o sacerdoti» sarebbe per Lutero la prova che l'origine dell'autorità propria di un ufficio proviene da una non meglio precisata «comunità cristiana» e perdura fintanto che tale comunità non decida di deporre l'eletto dall'incarico: «Essendo noi tutti egualmente sacerdoti, nessuno deve elevarsi da sé e ardire di compiere, senza nostra elezione e approvazione, ciò su cui tutti abbiamo il medesimo potere […]. E se uno prescelto a tale ufficio viene poi deposto per i suoi abusi, esso ritorna ad essere quel che era prima. Per la quale cosa la condizione di un sacerdote nella Chiesa non dovrebbe differire da quella di qualsiasi altro magistrato».
Venuta meno ogni mediazione gerarchica, Lutero decise di sciogliersi da sé dai voti monastici – rectius, «Cristo mi ha sciolto dal voto monastico», scrisse in una lettera al padre nel 1522 – e si arrogò l'autorità di dispensare dai voti anche le monache, spiegando come i voti monastici e religiosi, in particolare quello di castità, fossero contrari allo stesso comandamento divino, che vuole che tutti gli uomini si sposino e procreino.
I bastioni erano abbattuti e i prìncipi potevano ora operare indisturbati: ovunque essi aderivano alla “Riforma”, i monaci venivano fatti sloggiare dai monasteri e i beni incamerati e suddivisi tra i nobili; lo stesso accadde con il clero secolare e le ricchezze che appartenevano a vescovadi e pievi. Il clero e i religiosi, secondo Lutero, non esistevano affatto, perché creazioni arbitrarie degli uomini, e la Chiesa doveva essere soggetta in tutto all'autorità secolare; i beni ecclesiastici pertanto figuravano come proprietà di enti inesistenti, senza alcuna personalità giuridica, e potevano così ricevere nuovi “legittimi” proprietari. Un furto legalizzato, anzi battezzato dalla nuova teologia dell'ex-monaco.
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