Il panico irrazionale delle società irreligiose
La vicenda della cosiddetta “variante inglese” del virus Covid-19 è solo l'estremo segno di quanto ormai in molti paesi occidentali il dibattito sull'”emergenza sanitaria” sia ormai stabilmente inquinato da elementi del tutto irrazionali. Più una società è irreligiosa, meno essa è “laica”, capace di ragionare pragmaticamente dei problemi che la assillano.
La vicenda della cosiddetta “variante inglese” del virus Covid-19 è solo l'estremo segno di quanto ormai in molti paesi occidentali il dibattito sull'”emergenza sanitaria” sia ormai stabilmente inquinato da elementi del tutto irrazionali, da suggestioni ancestrali, non più riconducibili alla razionalità pratica che dovrebbe governare le scelte di governo concernenti l'interesse collettivo.
Se un marziano arrivasse sulla Terra del tutto ignaro di ciò che sta accedendo, ascoltando le esternazioni di politici ed “esperti” in Europa – in Italia poi non ne parliamo - si farebbe l'idea che sia in corso un'epidemia paragonabile alla Peste nera del basso Medioevo, o al vaiolo, o all'Ebola, incurabile e ad altissima letalità. E trasecolerebbe quando venisse a sapere che si tratta invece di un agente patogeno appartenente alla famiglia dei coronavirus, che, dopo una breve punta acuta in primavera, attualmente è letale soltanto in un caso all'incirca su 200, e le cui vittime sono in larghissima maggioranza ultraottantenni gravati da serie patologie.
Alla luce di queste informazioni il marziano si chiederebbe, stupito, perché mai molti tra i governi dei paesi più industrializzati dell'Occidente a causa di questo virus hanno paralizzato le loro economie, azzerato la vita sociale e civile, recato enormi danni alla scuola, all'università, alla cultura, all'arte, allo spettacolo, allo sport. “Non si potevano attuare misure di prevenzione e sicurezza commisurate al rischio?” direbbe. “Non ci si poteva concentrare sul potenziamento delle strutture sanitarie, su specifiche politiche di prevenzione e terapia finalizzate ai soggetti più fragili, riaprendo nel frattempo, con prudenza e in sicurezza, tutte le attività economiche per evitare di far sprofondare le vostre società in una depressione di dimensioni irreparabili?”
Se poi quell'extraterrestre apprendesse che da mesi molti tra quei governi, e tra gli esperti da essi consultati, alimentano un'attesa messianica dei vaccini come unica soluzione al problema, dichiarano che sarà necessaria a tale scopo una copertura vaccinale generalizzata almeno del 60-70% della popolazione, o addirittura – come in Italia – propongono che la vaccinazione sia obbligatoria, probabilmente scuoterebbe la testa sconsolato, convinto ormai di essere approdato in un pianeta-manicomio. “Ma vi rendete conto – direbbe – che è assurdo vaccinare tutti per una malattia virale che nel 95% dei casi è asintomatica, o dà sintomi paragonabili al raffreddore, i cui i casi seri sono meno dell'1% e per cui essitono molte valide terapie che sarebbe bene invece adottare precocemente? Vi rendete conto che per la popolazione fino ai 50 anni la malattia non è assolutamente un problema? E soprattutto vi rendete conto che i coronavirus, come altri patogeni para-influenzali, mutano continuamente, dando luogo a una miriade di varianti, e dunque nulla assicura che i vaccini saranno efficaci, come dimostra il fatto che i vaccini anti-influenzali ogni anno proteggono soltanto da una parte delle infezioni stagionali?”
Infatti, a proposito di quest'ultimo punto, la “variante inglese” su cui tutti i grandi media hanno scatenato l'ennesima grancassa catastrofista non è che l'ennesima forma prodotta dal virus da quando è arrivato in Occidente dalla Cina: come tutti gli altri, anch'esso cerca di trovare sempre nuovi modi per sopravvivere e adattarsi al suo ospite, cambiando minime parti del proprio codice genetico. Probabilmente questa varietà era già in circolazione da molto tempo, e si accompagna parallelamente ad altre non censite con altrettanta precisione. E' a tali mutazioni che vanno ricondotti i “focolai” di contagi sorti volta a volta in vari continenti e paesi: tra cui quella “seconda ondata” autunnale – in realtà la continuazione della stessa epidemia in condizioni climatiche autunnali – cresciuta in Europa a partire da Spagna e Francia, e probabilmente derivata da virus “di ritorno” dall'America. Ma le mutazioni del virus significano quasi sempre anche, come in ogni esemplare della sua “famiglia”, un progressivo “addomestricamento”, che si traduce in una sempre minore pericolosità. Fino a quando anche il Covid diventerà uno tra i tanti virus stagionali fisiologicamente, ciclicamente presenti tra le varie popolazioni del mondo. Presentare le sue mutazioni come un evento apocalittico denota o una totale malafede, o la più totale perdita del senso della misura e delle proporzioni.
Alla luce di tutto ciò possiamo affermare ancora una volta che l'effetto più traumatico della pandemia da Covid-19 su gran parte delle società occidentali non è stato di natura sanitaria, e nemmeno economica, ma politica e culturale: ha rappresentato, cioè, la vera e propria desertificazione di una dialettica civile fondata sulla razionalità pratica, ed in particolare sull'analisi del rapporto tra costi e benefici. Quelle società che spesso venivano dipinte come fondate unicamente sul calcolo, sull'interesse, e spinte ad un incallito cinismo dalla sovraesposizione ai media, in poco tempo sembrano aver smarrito totalmente ogni capacità di discutere lucidamente di problemi e soluzioni: il dibattito politico è in esse ridotto ad una perenne onda emotiva, mossa volta a volta da paure e speranze smisurate, voci incontrollate, affermazioni autoritative e apodittiche.
Si tratta, in realtà, di un fenomeno che non sorge certo in questi mesi, ma ha radici profonde.
Il punto vero è che più le società si secolarizzano radicalmente, più la rimozione del sacro dalla sfera ad esso propria determina un'invasione di atteggiamenti para-religiosi nel campo della politica e in generale della vita sociale e civile. Più una società è irreligiosa, meno essa è “laica”, capace di ragionare pragmaticamente dei problemi che la assillano.
La rimozione del sacro ebraico-cristiano produce nelle società occidentali un'inflazione di millenarismo, richiesta di ritualità e sacrifici, ritorno sostanziale a forme di paganesimo e idolatria. Le ideologie otto-novecentesche, religioni secolarizzate, per molto tempo hanno svolto una funzione di “supplenza” rispetto al vuoto che si era spalancato. Da qualche decennio, con il loro inevitabile declino, quell'abisso si è manifestato nella sua forma più angosciante, determinando una vera e propria esplosione di nuove forme di irrazionalismo e superstizione mondana.
Ne abbiamo avuto un primo, potente esempio con la forma apertamente apocalittico-pagana assunta dall'ambientalismo, di cui la figura profetica di Greta Thunberg è stata la più eloquente rappresentazione simbolica. Ora, il virus cinese ha scatenato una reazione a catena psicotica di dimensioni assolutamente spropositate rispetto alla sua effettiva entità, producendo la corsa disperata di massa alla salvezza della “nuda vita”, l'affidamento fideistico alle autorità politiche e tecniche, il regime sanitocratico. Non sarà facile riportare la dialettica civile ad una sana razionalità laica.