Il ministro di Taiwan: "La Cina perseguita i cristiani, anche dopo l'accordo con il Vaticano"
“Non solo il Vaticano ma tutta la comunità internazionale deve pensare alla libertà religiosa in Cina”, dice il ministro degli Esteri taiwanese Jaushieh Joseph Wu in questa intervista in esclusiva per la Bussola. Dal Vaticano non arrivano segnali di voler interrompere le relazioni con Taiwan. E la causa della libertà religiosa in Cina è una questione gravissima perché la persecuzione continua, nonostante gli accordi fra Pechino e il Vaticano.
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“Non solo il Vaticano ma tutta la comunità internazionale deve pensare alla libertà religiosa in Cina”. È stato l’appello del ministro degli Affari Esteri della Repubblica di Cina (Taiwan), Jaushieh Joseph Wu, durante l’incontro con una delegazione di giornalisti stranieri a Taipei, in cui la Bussola Quotidiana era l’unica testata cattolica presente.
Joseph Wu ha approfittato dell’occasione per denunciare quanto accade all’interno della Cina comunista: “Alcune chiese sono state attaccate, tante croci sono state buttate giù e bruciate, in alcuni luoghi sono obbligati ad avere un’immagine del leader cinese e un messaggio di patriottismo, ma penso che questo sia completamente contrario all’idea di libertà religiosa”.
Infatti, “in Cina le autorità hanno aumentato la pressione sugli stessi cristiani, mediante arresti indiscriminati, chiusura forzata delle chiese e uso di sistemi di sorveglianza oppressivi”, conferma il rapporto della Fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs), diffuso lo scorso 17 novembre, dal titolo Perseguitati più che mai. Rapporto sui cristiani oppressi per la loro fede 2020-2022.
Un dramma che non solo soffrono i cristiani, ma tutte le confessioni religiose. “In Cina la gente sa cosa sta succedendo nello Xinjiang e in Tibet, dove sono oppressi (dal governo cinese) quelli che hanno una diversa cultura e religione. E non solo Xinjiang e il Tibet sono oppressi dal governo cinese”, ha ribadito il ministro taiwanese. Ad esempio, il vescovo di Xinxiang (Henan), mons. Giuseppe Zhang Weizhu è trattenuto dal 21 maggio 2021 in un luogo sconosciuto e non solo: un rapporto ONU ha denunciato gravi violazioni dei diritti umani in corso nello Xinjiang, tra cui “sistemi di tortura o maltrattamenti, compresi trattamenti sanitari forzati e condizioni critiche di detenzione”.
In questo contesto, la Santa Sede ha rinnovato per seconda volta l’accordo provvisorio e segreto con Pechino sulla nomina dei vescovi nella Repubblica Popolare, sottoscritto nel settembre 2018, mentre Xi Jinping era riconfermato per un terzo mandato presidenziale e veniva riaperto a Hong Kong il processo al cardinale Joseph Zen Ze-kiun, voce critica contro la repressione del regime, attualmente agli arresti domiciliari.
Nel frattempo, sull’isola non risiede più un nunzio dal lontano 1972, ma un semplice “incaricato d’affari ad interim”. La domanda è d’obbligo: come sono i rapporti tra la Santa Sede e la Repubblica di Cina (Taiwan)? La mancata presenza di un nunzio a Taiwan può essere conseguenza delle pressioni cinesi? "Le relazioni tra Taiwan e la Santa Sede – risponde il ministro – sono state abbastanza stabili negli ultimi anni. Anche se ci sono state delle discussioni sul fatto che il Vaticano continuava a cercare relazioni diplomatiche con la Cina, siamo stati più volte rassicurati da diversi funzionari di alto rango che questo dialogo tra il Vaticano e la Cina riguarda solo questioni di tipo religioso, non politiche, e ci hanno detto di non preoccuparci di questo".
Lo scorso 5 ottobre, Taiwan ha festeggiato gli 80 anni di relazioni diplomatiche con la Santa Sede con un ricevimento a Roma, che ha visto la presenza di diverse personalità vaticane, tra cui l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, numero 2 della Segreteria di Stato, che nel suo discorso ha confermato il rapporto di amicizia con la Cina democratica: “Ringrazio Taiwan e l'Ambasciata per le attività di solidarietà svolte di recente, in particolare nel contesto della pandemia. Desidero riconoscere il grande lavoro svolto dall'Ambasciata a sostegno dei sacerdoti e dei religiosi taiwanesi in tutto il mondo”, ha detto.
Ma va notato il fatto che monsignor Gallagher non abbia permesso ai giornalisti presenti di filmare il suo intervento. Un fatto che non si era mai verificato in manifestazioni svoltesi con altri Paesi, forse per non irritare le autorità cinesi proprio in vista del rinnovo dell’accordo segreto. Ma non è la prima volta che accadono situazioni sui generis con Taiwan durante il pontificato di Francesco: nel 2018 fu rimossa da tutti i media vaticani la foto del saluto tra il Papa e il vicepresidente in carica di Taiwan, il cattolico praticante Chen Chien-jen, che si era recato a Roma per assistere alla canonizzazione di Paolo VI e di altri sei beati; e nel 2020 la Santa Sede non ha aderito all’appello affinché Taiwan potesse partecipare all’assemblea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sul coronavirus.
Nonostante tutto ciò, “le nostre relazioni con il Vaticano continuano e stiamo lavorando assiduamente per mobilitare ogni tipo di aiuto umanitario in diverse parti del mondo”, ha spiegato Jaushieh Joseph Wu alla Bussola, sottolineando la preoccupazione di Taipei per la persecuzione dei cristiani voluta da Xi Jinping. “Non solo il Vaticano, ma tutta la comunità internazionale deve pensare alla libertà religiosa in Cina… Noi, la gente di Taiwan, vogliamo lavorare con il Vaticano e con altri Paesi che amano la libertà per far avanzare la libertà religiosa in Cina e penso che questo sia fondamentale più di qualsiasi altra cosa. Quando vediamo le discussioni tra il governo cinese e il Vaticano sulle questioni religiose io penso che questa (la persecuzione religiosa) sia la cosa più importante da discutere”.
È evidente che la Santa Sede non può essere soddisfatta dei risultati dell’accordo con la Cina comunista, così come non può dimenticare che a Taiwan c’è una democrazia matura che resiste alle minacce di Xi Jinping, dove tutte le libertà sono tutelate e dove la Chiesa è rispettata.