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COMUNISMO CINESE

Esasperati dai lockdown, i cinesi continuano a ribellarsi

Zero Covid: gli operai fuggono dalla fabbrica Foxconn di Zhengzhou in quarantena. I nuovi assunti, che li dovrebbero sostituire, si ribellano per le condizioni durissime in una fabbrica in lockdown. E non è l'unica rivolta di questi giorni. Una vera sommossa cittadina è scoppiata a Canton. E gli studenti adottano forme di protesta più surreali.

Vita e bioetica 24_11_2022
Fuga di operai dalla fabbrica di Foxconn

Sui social network cinesi sono circolati video di scontri fra polizia (in tenuta anti-biologica per proteggersi dal Covid) e operai della fabbrica della Foxconn a Zhengzhou, capitale dello Henan (Cina orientale). La fabbrica, tristemente famosa per i suoi ritmi di lavoro disumani, è la filiale cinese di un’azienda taiwanese che produce dispositivi elettronici su licenza dell’americana Apple. Anche per questo è al centro dell’attenzione mondiale. La protesta che è stata documentata ieri è stata causata dalla politica “zero Covid” e dalle sue immediate conseguenze sul lavoro. E non è l’unica.

I video degli scontri con la polizia sono rimasti online abbastanza a lungo per essere poi visionati e rilanciati dalle grandi testate internazionali. La direzione della fabbrica ha quindi emesso comunicati ufficiali con cui rassicurava che avrebbe collaborato con le forze dell’ordine per prevenire ulteriori violenze. E ha smentito le tesi degli operai che hanno manifestato la loro rabbia. Il problema di questi giorni è nato a fine ottobre, dopo quasi un mese in cui gli operai erano chiusi in fabbrica in quarantena, dopo la scoperta dei primi casi positivi. Una situazione che alcuni testimoni hanno descritto come infernale, con la fabbrica sprofondata nel caos e niente cibo per chi non poteva lavorare. La quarantena ha provocato una grande fuga di lavoratori. Video di allora li riprendevano mentre scavalcavano le recinzioni esterne della fabbrica e se la davano a gambe. La fabbrica ha reagito assumendo nuovo personale, promettendo straordinari e un sussidio aggiuntivo allo stipendio. I nuovi assunti sono i protagonisti della nuova protesta: lamentano che il contratto sia stato cambiato contro la loro volontà, che non vi sia stato alcun aumento e che non siano stati protetti dal contagio, mischiando i nuovi e i vecchi assunti. “Ci hanno messo in quarantena, ma non ci hanno dato cibo”, dice un altro operaio nel video.

Vi sarebbero anche dei feriti, secondo le testimonianze dei lavoratori stessi. La direzione della fabbrica smentisce tutte le voci incontrollate e anche le cause della rivolta, nega che i vecchi assunti (molti dei quali con il Covid) siano stati mescolati ai nuovi e che il contratto sia cambiato. È difficile distinguere la realtà dalla paranoia nella fabbrica in quarantena: la fuga di ottobre sarebbe stata provocata anche dalla diceria secondo cui l’esercito avrebbe, di lì a poco, preso il controllo dell’impianto e avviato un esperimento dal vivo sul contagio, per vedere quanti operai sarebbero morti. Ma è difficile smentire il dato di fondo: la fabbrica è stata isolata dal resto del mondo. L’esperimento è già quello.

La sommossa nella Foxconn non è un caso unico in questo mese. La settimana scorsa, sempre sui social network cinesi, sono circolati altri video che documentano la protesta nel quartiere Haizhu di Canton, nella Cina sudorientale. La folla ha dato l’assalto alle barriere dei lockdown, quelle con cui vengono isolati interi distretti. Anche in questo caso la polizia è intervenuta con squadre antisommossa per placare la protesta. Nel quartiere, uno dei più poveri della città, abitano molti immigrati da altre regioni e pendolari. Con il lockdown non possono più lavorare, se non lavorano non possono guadagnare nulla. Con il lockdown, il cibo scarseggia perché il mercato delle consegne si satura e le autorità non sono ben organizzate per una distribuzione capillare. I prezzi si alzano, perché tutto improvvisamente scarseggia. Un mix letale che ha portato la popolazione di questo quartiere a insorgere.

A Haizhou sono soprattutto i poveri che si ribellano. Ma anche i più privilegiati, come gli studenti nei collegi, costretti a vivere un lockdown dietro l’altro, iniziano a dare segnali di esasperazione. Lo fanno con forme di protesta silenziose e simboliche. Gli studenti camminano a carponi, in circolo, senza parlare. Non possono essere accusati di sedizione. Le autorità e i media di Stato suggeriscono che sia una forma di esercizio fisico e lo consigliano anche ai cittadini più anziani. Ma la spiegazione migliore l’ha data una studentessa, Lin Shihou, di Chongqing. È un “rituale collettivo per i giovani, per liberare sentimenti di repressione”. È “usare il non senso per resistere ad una situazione insensata”.